La riforma postale: una vera rivoluzione
All'indomani del '48 la Toscana rappresentava una realtà politica e sociale assai meno
quieta e sonnolenta rispetto al periodo precedente; la pur breve esperienza rivoluzionaria
e la repressione che ne era seguita avevano profondamente inciso sul clima del
piccolo stato toscano. Il Granduca, dopo la coraggiosa e per certi versi sconcertante
dichiarazione di guerra all'Austria nel marzo del 1848 - che aveva portato la Toscana a
partecipare alla Prima guerra d'Indipendenza a fianco del Piemonte di Carlo Alberto -
si era visto costretto alla fuga dai suoi territori nel febbraio del 1849, ai quali poté fare
ritorno soltanto il 22 maggio 1850, preceduto e protetto da una cospicua guarnigione
austriaca destinata a rimanere in Toscana sino al 1855 a spese delle casse granducali
ed a tutela dell'ordine costituito. Questo radicale capovolgimento di prospettiva nei
rapporti tra Granduca e governo austriaco (dapprima nemico in guerra, quindi tutore
in pace), provocò un'irrecuperabile frattura nella fiducia riposta dai sudditi toscani nel
loro sovrano, poco rispettosamente soprannominato Canapone per il colore biondastro
dei capelli, fi no ad allora mite e benevolo, ed ispirò al poeta Giuseppe Giusti i graffianti
versi del sonetto Tedeschi e Granduca.
In realtà, a prescindere dall'atteggiamento del sovrano, il quale peraltro fu per molti
versi un principe illuminato, la Toscana non poteva certo rappresentare un'eccezione
all'egemonia austriaca presente a livello politico e militare su pressoché tutto il territorio
italiano. Il Granduca era infatti cugino dell'Imperatore d'Austria, e pertanto gli
Asburgo, sovrani di una delle massime potenze europee, influivano significativamente
sulla politica del piccolo ducato lorenese.
Quest'influenza fu determinante anche ai fini dell'introduzione del francobollo, avvenuta
in Toscana il 1° aprile 1851. La Toscana aveva infatti aderito il 5 dicembre 1850
alla Lega postale Austro-Italica di cui pure facevano parte i ducati di Modena e Parma,
anch'essi legati da vincoli politici e dinastici con la casa d'Austria, e poi lo Stato Pontificio. In base agli accordi gli stati aderenti avrebbero dovuto, tra l'altro, applicare una
tassa unica internazionale in ragione del peso della corrispondenza e non della distanza
del tragitto, riconoscere valore alle affrancature provenienti dai paesi della Lega ed introdurre
appunto quella grande novità chiamata francobollo.
Nella progredita Austria, crocevia di floridi commerci, si era sentita prima ancora che
nei ducati italiani l'esigenza di riformare ed ammodernare la gestione complessiva del
flusso di posta all'interno e fuori dal territorio, che poteva contare ormai su strade sicure
e veloci ferrovie: lo stato moderno veniva chiamato a gestire la posta come un
servizio pubblico di vitale importanza per la speditezza degli affari e l'efficiente organizzazione
amministrativa, in breve per la vitalità economica ed il controllo politico del
paese. Il modo antico di organizzazione postale era basato sulla varietà e complessità delle tariffe, sul loro costo elevato, sul pagamento del servizio da parte del destinatario
e sull'assenza di privativa postale (ovvero di un monopolio dello stato nell'espletamento
dei servizi postali). Da ciò derivava, per di più, la difficoltà di concludere accordi tra
Stati in materia postale, con pregiudizio delle relazioni economiche a livello internazionale;
e per i governi ambiziosi di stare al passo coi tempi questo stato di cose doveva
diventare quanto prima soltanto un ricordo.
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1 quattrino nero su grigio azzurro: striscia di tre con annullo a sbarre.
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Circolare a stampa da Pisa per città con 1 quattrino nero su azzurro utilizzato nel mese di emissione.
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1 soldo giallo oro su
azzurro con annullo
PD.
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2 soldi scarlatto su azzurro.
Esemplare con bordo di foglio
a destra ed annullo di Prato
(agosto 1851).
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Lettera da Firenze per Napoli dell'11 ottobre 1852 (ultimi giorni d'uso del 2 soldi)
affrancata con coppia
verticale del 2 soldi più 1 soldo (tariffa da 3 crazie per il regno di Napoli)
e tassata in arrivo per 5 grana. |
Il francobollo costituisce la chiave di questa rivoluzione copernicana nel modo di gestire
la comunicazione epistolare. La sua adozione da parte dei governi di metà Ottocento
presupponeva il capovolgimento della primitiva concezione di posta, e la condivisione
di alcuni principi che oggi ci appaiono scontati, ma che all'epoca erano del tutto nuovi:
posta come servizio esclusivamente pubblico; fissazione di una tariffa contenuta ed
uniforme, variabile in funzione del peso o dei fogli della lettera; pagamento obbligatorio
della tassa da parte del mittente e non più del destinatario mediante l'applicazione
del francobollo, il cui nome stava appunto ad indicare che la lettera con esso affrancata
risultava "franca da bollo", ovvero priva di quel particolare contrassegno che veniva apposto
sopra le lettere per quantificare la tassa a carico del destinatario.
Sebbene la prima riforma postale moderna fosse stata varata nell'Inghilterra della regina
Vittoria già col 6 maggio 1840 mediante l'emissione del famoso penny black, ed avesse
avuto entusiastico seguito da parte altri stati europei tra cui Francia, Belgio e Austria,
gli stati preunitari italiani non provvidero troppo tempestivamente a mettere mano alla
introduzione del francobollo, intimoriti principalmente dalle possibili conseguenze negative
sull'erario per la riduzione della tassa sulle lettere, dalla imprevedibilità del costo
della riforma e dal timore della possibile contraffazione delle nuove carte-valori.
Il Regno Lombardo-Veneto fu il primo ad emettere francobolli, che in uno stesso giorno,
il 1° giugno 1850, venivano introdotti su tutto il territorio del vasto impero austriaco;
identico il giorno di emissione ed identico il soggetto, l'aquila bicipite asburgica,
stemma imperiale, mentre variava soltanto la moneta, espressa in centesimi per il
Lombardo-Veneto ed in kreuzer o carantani per l'Austria. Il Regno di Sardegna, sotto
lo scettro del giovane Vittorio Emanuele II di Savoia, provvide il 1° gennaio 1851 ad
emettere la prima serie di tre francobolli recanti il profilo del sovrano in un elegante
ovale che ne esaltava l'immagine austera, da monarca assoluto, a dispetto del fatto che
si trattava dell'unico re costituzionale della Penisola. Sulla scorta dell'esempio austriaco
optarono invece per il simbolo della casata regnante (l'aquila estense ed il giglio borbonico)
i ducati di Modena e Parma, entrambi affacciatisi alla filatelia il 1° giugno 1852,
nonché lo Stato della Chiesa (1° gennaio 1852), che nei propri francobolli impresse i
simboli della dignità pontificia: il Triregno con le Sacre Chiavi incrociate. Ultimo il
Regno di Napoli, suddiviso nei territori di terraferma e della Sicilia, con separate gestioni
postali, che mise mano con notevole ritardo all'adozione della riforma postale;
soltanto il 1° gennaio 1858 videro la luce i francobolli napoletani, tutti di color rosa
per il timore di allusioni patriottiche attraverso pittoresche affrancature "tricolori", e il
1° gennaio 1859 quelli siciliani, raffiguranti in una raffinatissima incisione, opera del
grande Juvara, il volto di Ferdinando II, e destinati ad essere apprezzati dai collezionisti
come i francobolli tra i più belli del mondo.
1° aprile 1851: anche in Toscana arrivano i francobolli
Da un punto di vista postale, la Toscana granducale poteva vantare una assai efficace
gestione delle corrispondenze epistolari, la cui competenza era attribuita alla Soprintendenza
Generale delle Poste, a sua volta dipendente dal Ministero delle Finanze. Il
pubblico servizio non agiva però da solo, essendo presenti capillarmente sul territorio
numerosi e diversificati gestori privati di corrispondenza (procacci, staffette, corrieri, diligenze
etc.) che agivano principalmente quali collettori tra le arterie stradali più importanti
ed i piccoli centri (ma non solo: basti pensare al notevole flusso di corrispondenza
trasportato con le strade ferrate, allora di proprietà di enti privati). La compresenza di
pubblico e privato nella gestione della posta in Toscana avrebbe rappresentato nel prosieguo
uno spinoso problema, sciolto soltanto con la riforma postale del Regno d'Italia
entrata in vigore il 1° gennaio 1863.
La riforma postale che la Toscana si era impegnata ad approntare avrebbe dovuto essere
varata soltanto tre mesi dopo l'atto di adesione alla ricordata Lega Austro-Italica, precisamente
il 6 marzo 1851; per ragioni organizzative fu però necessario chiedere una
breve dilazione al 1° aprile, immediatamente accordata dal barone Hugel, funzionario
austriaco inviato a Firenze per vegliare sulla realizzazione della riforma. Tempi brevissimi,
tenuto conto della notevole mole di lavoro e della delicatezza dei compiti: scelta
del soggetto e realizzazione del conio del francobollo; creazione di un nuovo Ufizio dei
francobolli per la stampa, il controllo ed il conteggio degli esemplari, scrupolosissimamente
regolato allo scopo di evitare sottrazioni anche minime di carta filigranata; formazione
degli impiegati addetti; infine diffusione dei francobolli presso tutti gli uffici
postali del Granducato.
Già il 21 dicembre 1850 il Ministro delle Finanze G. Baldasseroni poteva comunicare
al Soprintendente delle Poste il soggetto prescelto da Leopoldo II da riprodurre sui
francobolli: il Leone d'Etruria coronato o Marzocco, che sostiene con la zampa destra
uno scudo gigliato. Se l'autorità granducale emittente non viene neppure
indirettamente richiamata dalla semplice ed essenziale iconografi a del francobollo toscano, il significato del Marzocco - simbolo dell'indipendenza della Repubblica fiorentina – potrebbe
sembrare persino un affronto al potere costituito; al contrario, rappresentò certamente
una saggia decisione quella del Granduca di non offrire ai propri sudditi in tempi così
difficili alcuno spunto di contestazione o di satira, che sarebbe stato difficilmente evitabile
qualora si fosse scelto un soggetto diverso (ad esempio, lo stemma dei Lorena,
idoneo a ricordarne le origini austriache).
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1 crazia carminio violaceo su azzurro, coppia bordo di foglio a
sinistra con annullo di Bagno, 9 dicembre 1851.
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Circolare da Firenze a Cortona affrancata in tariffa da 1 crazia
con esemplare carminio.
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2 crazie azzurro vivo
su azzurro annullato a
Volterra.
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4 crazie verde scuro su
azzurro annullato con le
sbarre sottili di Livorno. |
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Lettera da Seravezza del 17 agosto 1852 per Carrara (raggio limitrofo) affrancata con 2 crazie azzurro vivo su azzurro.
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6 crazie indaco su azzurro.
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9 crazie viola scurissimo
su azzurro annullato col
muto a cuore di Firenze. |
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Lettera da Firenze 14 maggio 1853 per Lugo affrancata con 6 crazie indaco su azzurro. |
Anche le diciture "Francobollo postale toscano" erano improntate alla massima chiarezza
e praticità, del tutto aliene da richiami politici; riprova ne è il fatto che non si sentì il
bisogno di modificarle neppure quando, col 1° gennaio 1860, al Marzocco venne sostituito
il più esplicito stemma dei Savoia, in un clima politico ormai del tutto mutato.
I conii vennero approntati da Giuseppe Niderost, capo incisore della zecca granducale.
I francobolli furono ottenuti utilizzando gli stessi stereotipi per tutti i tagli di valore
mediante la sola sostituzione del tassello inferiore che portava incisa l'indicazione della
moneta. Di tanti francobolli che furono emessi si conosce un solo errore tipografico:
un esemplare del 4 crazie della seconda emissione col tassello del valore capovolto, che
rappresenta probabilmente la più rara varietà di tutti gli antichi francobolli italiani. La
distanza tra gli stereotipi era minima, di molto inferiore al millimetro, il che spiega la
scarsità di margini che contraddistingue i francobolli di Toscana, assai diffi cili
da reperirsi coi bordi intatti. Ogni foglio, fabbricato a San Marcello Pistoiese dalla cartiera
Cini, conteneva 240 esemplari suddivisi in tre gruppi da 80 mediante un piccolo interspazio
di circa 2 millimetri, ma non si conoscono fogli interi nuovi, mentre i blocchi
a noi pervenuti sono assai rari e di ridotte dimensioni perché le rimanenze, comunque
assai esigue al 31 dicembre 1859, furono probabilmente distrutte.
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Il 60 crazie scarlatto su grigio azzurro annullato il 26 febbraio
1859 e recante l'interspazio in basso (ex coll. Caspary). |
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Lettera da Firenze 18 novembre 1852 per Parigi recante un esemplare del 9 crazie
viola scurissimo con bordo di foglio e linea della composizione in basso.
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Unici tra tutti i francobolli degli Antichi Stati italiani, quelli di Toscana furono
stampati su carta interamente filigranata, recante corone stilizzate separate da righe orizzontali
e verticali. L'adozione della filigrana fu dettata dalla invero eccessiva preoccupazione
delle Poste toscane per il pericolo di falsi. Tale timore, quasi un'ossessione, accompagnò
le amministrazioni postali sin dai primordi del francobollo: si pensi alle lettere alfabetiche
collocate nei due angoli inferiori del penny black allo scopo di scoraggiare i falsari
(precauzione abbandonata nelle successive emissioni inglesi per la sua macchinosità ed
inutilità), oppure all'iniziativa dell'incisore dei francobolli di Napoli, Giuseppe Masini,
che inserì in dimensioni minuscole una lettera del proprio nome in ognuno dei cinque
valori realizzati, come vero e proprio "segno segreto".
In realtà noi non conosciamo alcun francobollo falso per frodare la posta realizzato in
Toscana, mentre esistono pochissime prove di stampa fuoriuscite non si sa come dai
locali della Soprintendenza delle Poste ed utilizzate per frodare la posta; al contrario, in
altri ducati si ebbero tentativi più o meno riusciti di falsificazione: Lombardo Veneto,
Stato Pontificio e soprattutto Napoli, dove l'abnorme diffusione di esemplari falsi (alcuni
più comuni degli originali!) lascia immaginare una interessata collusione di impiegati
postali poco onesti coi responsabili della contraffazione. Né valse sempre a scoraggiare
i malfattori la severità con cui venivano previste ed applicate le pene per chi avesse
tentato di lucrare illegittimamente sulle nuove carte-valori: Gaetano Alberti, che aveva
contraffatto a Verona due esemplari della prima emissione lombardo-veneta, venne scoperto
nel 1853 e condannato dal governo austriaco a tre anni di reclusione.
Ma torniamo alla Toscana. Il 1° aprile videro la luce i primi cinque valori col Marzocco:
1 soldo giallo, 2 soldi scarlatto chiaro, 2 crazie azzurro, 4 crazie verde, 6 crazie
indaco, ai quali ben presto si aggiunsero: il 1° luglio successivo l'1 crazia carminio e il
9 crazie viola bruno; il 1° settembre 1852 l'1 quattrino nero; il 1° novembre seguente
il 60 crazie rosso scarlatto. Particolarmente rari il 2 soldi, presto messo fuori corso (il
20 ottobre 1852) in quanto gli altri valori sopperivano meglio alle esigenze di affrancatura,
ed il 60 crazie, il cui elevato valore facciale consentiva di evitare un sovraccarico
di francobolli di piccolo taglio per assolvere il porto di lettere assicurate o voluminose
dirette all'estero (peraltro assai infrequenti, di qui la rarità). Più facilmente reperibili
la crazia, il 4, il 6, il 9 crazie e specialmente il 2 crazie, che affrancava la tipologia di
lettera più comune, quella di primo porto per l'interno della Toscana. Rare e ricercate
le affrancature con più esemplari, e di particolare suggestione quelle recanti contemporaneamente
valori in moneta diversa (quattrini, soldi e crazie).
Le prime tirature di questi francobolli si caratterizzano per la elevata qualità della carta,
di buon spessore, e per il suo colore tipicamente azzurrino; in quelle successive la carta
risulta invece più scadente e grigiastra a causa dell'alterazione del colore dell'acqua in
cui i fogli venivano immersi prima della stampa. Le sfumature di colore tra le diverse
tirature, alcune di straordinaria bellezza e lucentezza, rappresentano una delle seducenti
caratteristiche dei francobolli toscani.
I Marzocchi vennero distribuiti a tutti gli uffici postali presenti sul territorio granducale,
suddiviso in sei Direzioni postali: Arezzo, Firenze, Livorno, Lucca, Pisa, Siena. Agli
impiegati postali venne raccomandato di annullare scrupolosamente i francobolli applicati
sulle lettere coi timbri di cui erano già in possesso o dati loro in dotazione (ma
anche con estemporanei tratti di penna), così da evitarne il riutilizzo fraudolento. Ed è
grandissima la varietà degli annullamenti toscani, per le numerose fogge e tipologie di
timbri annullatori ed accessori nonché per le colorazioni degli inchiostri utilizzati e per
la possibile diversificazione dei percorsi seguiti dalle corrispondenze: un settore collezionistico
di riconosciuto fascino ed ancora oggetto di studio da parte dei cultori di storia
postale. Senza dimenticare che la presenza tra il 1850 e il 1855 di truppe austriache sul
territorio toscano, come accennato, dette luogo a due tipologie di documenti postali
particolarmente rari e significativi, ossia lettere affrancate con francobolli toscani annullati
con timbri austriaci della posta militare "Feld-Post", e pieghi in partenza dalla Toscana
regolarmente affrancati con francobolli austriaci in possesso dei militari acquartierati
sul territorio granducale.
6 crazie indaco su azzurro annullato dalla posta
militare austriaca acquartierata in Toscana col
raro timbro FELD POST II. |
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