Per capire come possa
esistere una lettera simile in un contesto notoriamente tragico
occorre partire da quanto successe in Italia dopo l’armistizio di
Cassibile dell’8 settembre 1843 giorno in cui il Capo del Governo
Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, ai microfoni dell’EIAR,
comunicò la cessazione delle ostilità contro le truppe
anglo-americane, comandate dal Generale Eisenhower, secondo un
accordo già raggiunto il giorno 3 dello stesso mese. Sappiamo cosa
successe ai componenti del Regio Esercito Italiano: molti vennero
sorpresi nelle caserme subito accerchiate dalle unità tedesche e
disarmati, altri datisi alla fuga travestiti da civili incapparono
nei rastrellamenti delle SS le quali chiesero subito
“collaborazione” offrendo come prospettiva l’inquadramento nelle
unita’italiane della Wehrmacht o, dopo la liberazione di Mussolini e
la costituzione della RSI, di entrare a fare parte del neonato
esercito repubblicano. Oltre chi accettò e seguì la strada già
indicata sopra ci furono circa 700.000 tra ufficiali e soldati che,
avendo giurato fedeltà ad una bandiera e a un Re,(ora comunque
fuggiasco nei territori meridionali “liberati” o “occupati”secondo i
punti di vista) rifiutarono le offerte tedesche. Questi ex
combattenti dell’Esercito Regio subirono di conseguenza la
deportazione in Germania via treno, inizialmente negli Stammlager,
cioè in campi principali di smistamento, per poi essere assegnati a
campi minori: gli ufficiali negli Oflag, i sottoufficiali e i
soldati negli Stalag. Non vi era grossa differenza tra i due tipi se
non in servizi di corvè da cui gli ufficiali erano esentati. Fonte
diretta di questa triste vicenda e’il libro del tenente di
artiglieria G.Guareschi (1908-1968)“Il grande diario/ Giovannino
cronista del Lager 1943-1945” in cui l’autore descrive la vita
quotidiana all’interno dei diversi campi in cui transitò nei 19 mesi
di prigionia. La fame, l’autore scrive questa parola con piu’ “f”
iniziali a secondo dello stimolo che prova e segnala inoltre casi in
cui si mangiarono topi, legna arrosto e perfino episodi di
cannibalismo, la sporcizia (pidocchi, pulci e cimici: solo nel campo
di Beniaminowo si contarono 30.000 russi e 10.000 ebrei morti di
tifo petecchiale), le malattie(la piazza delle adunate ridenominata
“Piazza Polmonite”)e le umiliazioni non mancarono, anzi vennero
accentuate dal fatto che a questa categoria di militari non venne
concesso lo status di POW quindi tutelati dalle garanzie previste
dalla Convenzione di Ginevra e dagli aiuti dalla Croce Rossa bensì
vennero inquadrati come IMI cioè internati militari sprovvisti
quindi di garanzie a tutela. Praticamente il III Reich, nazione in
guerra, trattò questi ex combattenti come la Svizzera neutrale che
però concedeva ampi diritti di movimento a queste categorie di
persone. Solo agli italiani, ai russi e ai polacchi venne riservato
un trattamento così duro mitigato solo dall’arrivo di pacchi viveri
spediti dalle famiglie, pacchi che comunque arrivavano
sporadicamente a volte già aperti e che andavano a fornire il
mercato nero interno. Lo status di POW venne riconosciuto solo dopo
la liberazione per mano degli inglesi mentre gli aiuti della Croce
Rossa arrivarono solo col contagocce. Il Guareschi (“combattente
senz’armi e senz’armi combatto” si definisce) descrive il clima che
si respirava all’interno delle baracche: le razioni alimentari
ridotte all’osso erano un ottimo grimaldello per ottenere
“collaborazione”: sia i militari tedeschi che le “commissioni”
italiane composte da fascisti passavano tra i letti a cercare
“aderenti” o “optanti”, persone cioè che in cambio di vitto e
trattamento parificati ai militari volessero entrare a fare parte
dell’esercito repubblicano o delle unità italiane di supporto alla
Wehrmacht. Non era nemmeno esclusa la possibiltà di andare a
lavorare come operai presso fabbriche, nei campi come “ciliegiai” o
spaventapasseri(!) ma pochi accettarono per dignità, perchè
avrebbero perso il grado militare e soprattutto aiutato quello che
ora era diventato il nemico. Facile oggi fare moralismi e biasimare
una o l’altra scelta ma il racconto quotidiano del Guareschi
e’veramente crudo e a volte struggente: oltre alle privazioni vi fu
anche la pressione psicologica da parte delle famiglie italiane che
sollecitavano una firma di adesione per poi tornare in Italia: se
uniamo questo particolare alle condizioni di vita estreme, agli
appelli di “Voce della patria” testata filo-tedesca in lingua
italiana che premeva per l’adesione alla RSI, a Mussolini che faceva
giungere il messaggio “o lavorare o combattere”, a Badoglio che li
definì “traditori”, al console generale italiano di Amburgo che
nego’ sussidi umanitari in quanto gli internati “non meritano
niente” e, non ultimo, alle false notizie in arrivo dall’Italia che
riferivano che tutto era in ordine e si viveva bene capiamo che non
fu facile resistere alla tentazione di cedere. Difatti il giorno 19
ottobre 1943 il Guareschi annota nel diario: “ Un maggiore e un
sottotenente lasciano il Lager per raggiungere a Willhelmshafen il
loro reparto di nebbiogeni che collabora coi tedeschi (sulle rive
del Baltico opera il terzo battaglione nebbiogeni a protezione delle
basi segrete della V1 e V2). A quelli che si affollano sul cancello
il maggiore spiega:”vado a mangiare la pastasciutta”. Un colonnello
grida “Viva il Re”. Poi opterà”. Un’altra nota del 18 novembre 1943:
“ I repubblicani, ovvero i trentasei aderenti che hanno firmato la
scheda di adesione e attendono di essere portati via, vivono
separati da noi in una baracca ben riscaldata e mangiano doppia
razione di margarina, minestra, uova, e fumano”. Nella nota del 14
gennaio 1944: “I novecentoottanta repubblicani sono stati sistemati
in apposite baracche e hanno ricevuto un vitto speciale confezionato
da una cucina speciale. Mangiano almeno il triplo di noi e nella
tabella che viene ogni giorno esposta leggiamo di cose
straordinarie: sigarette, miele, vodka, caramelle…” Si intuisce
quindi che la lettera, il cui testo e’originale, venne scritta da
uno di questi ufficiali che decisero di continuare a combattere a
fianco del vecchio alleato, non sappiamo se per convenienza
personale o per sincera fedeltà, ma sicuramente la fame deve avere
avuto un ruolo decisivo nella scelta dato che anche in questa
lettera come nelle precedenti note del Guareschi il vitto viene
sempre menzionato. Alla compagnia “nebbiogeni”di cui faceva parte il
capitano X venne assegnata la sorveglianza del lager di Auschwitz e
le condizioni di vita a cui accenna (ambiente sano, vitto buono, un
po’di divertimento), unitamente al fatto che comunque si trova in
Germania e che indica il proprio reparto in tedesco, fanno pensare
che si tratti proprio di un deportato che poi decise per l’opzione
tedesca.