L’industria siderurgica italiana muove i suoi primi passi agli inizi del XIX secolo, frammentata sul territorio dei vari Stati, e impegnata in modeste attività legate a risorse minerali, idriche e boschive locali. L’innovazione introdotta da Carl Wilhelm Siemens e Pierre-Emile Martin con l’impianto che porta il loro nome, incrementò notevolmente la capacità produttiva degli stabilimenti, portando sul finire del secolo XIX l’Italia a circa 160.000 tonnellate annue di acciaio.
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In quei primi anni dell’Italia unita si avviano alcune iniziative:
• Giuseppe Tardy (1817-1902) e Stefano Benech (1825-1877) costruiscono un grosso impianto a Savona per il rimpasto del rottame di ferro.
• a Piombino, di fronte all’isola d’Elba, nasce prima la Magona (1865), poi la ferriera Perseveranza che, con alterne vicende, testimoniano la vocazione siderurgica della zona, che si protrae fino a oggi. La Magona, fondata tra gli altri dall’italo-inglese Joseph Alfred Novello (1810-1896), resta in vita per due anni, ma torna in attività nel 1891, dedicandosi alla produzione di latta.
Dopo qualche anno, nella zona maggiormente industrializzata della Lombardia, risultano già attivi diversi stabilimenti, tra cui quelli di Castro, Dongo, Vobarno, Tavernole e Carcina, mentre sono in fase di completamento quelli delle Acciaierie milanesi di Rogoredo e quelle di Vanzetti.
Fu proprio la famiglia Rubini, proprietari delle Acciaierie Dongo che, per colmare il divario tecnico con gli stabilimenti del Nord Europa, chiamano nel 1833 in Italia l’alsaziano Georges Henri Falck , al fine di progettare e gestire i nuovi impianti. Questa collaborazione farà nascere uno dai più forti gruppi privati dell’acciaio: le Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck.
Dall’Umbria viene la novità più importante: nel 1884, grazie soprattutto all’azione dell’ammiraglio Benedetto Brin (1833-1898), ministro della Marina, dell’ingegnere belga Cassian Bon (1842-1921) e dell’imprenditore Vincenzo Stefano Breda (1825-1903), le attività già esistenti nell’area di Terni evolvono nella costituzione il 10 marzo 1884 della Società degli alti forni, fonderie ed acciaierie di Terni (SAFFAT), fortemente supportata dalle commesse dello Stato, con l’obiettivo di garantire la fornitura di materiale navale (piastre per la corazzatura delle navi) e ferroviario.
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Dopo la Seconda guerra mondiale l’apparato industriale dell’Italia era ridotto ad un cumulo di macerie e l’agricoltura, poco meccanizzata, non copriva i fabbisogni della popolazione. La sopravvivenza era garantita dalle importazioni di cibo e macchinari dal continente americano, in particolare Stati Uniti e Argentina.
Per risolvere questi problemi, nel giugno del 1947, gli Stati Uniti decisero di finanziare un grande piano di aiuti chiamato European Recovery Program (ERP), meglio conosciuto come piano Marshall.
La figura chiave della rinascita dell’industria dell’acciaio in Italia fu Oscar Sinigaglia, già presidente dell’ILVA all’inizio degli anni Trenta, ma in seguito ostracizzato dal regime in quanto ebreo. Dopo la caduta del fascismo, fu nominato presidente di Finsider, il ramo dell’IRI che comprendeva le aziende siderurgiche in mano pubblica, tra cui l’ILVA, la Terni, la Dalmine e la SIAC (Società Italiana Acciaierie di Cornigliano).
Lo scenario vede quindi da un lato il gruppo pubblico facente capo alla FINSIDER e dall’altro i gruppi privati capeggiati dalla famiglia Falck.
Il supporto più importante a Sinigaglia venne dalla Fiat di Vittorio Valletta. L’azienda torinese sosteneva la propria produzione meccanica attraverso impianti siderurgici e rappresentava il secondo maggior produttore privato d’acciaio nella penisola. Nel primo dopoguerra, Fiat ordinò la costruzione di un impianto di laminazione, ma Valletta abbandonò l’idea. L’imprenditore cedette l’ordine allo stabilimento pubblico di Cornigliano e si accordò con Finsider per acquistare ad un prezzo di favore almeno il 50% dei laminati prodotti dallo stabilimento genovese.
Il resto è storia dei nostri giorni. La grave crisi economica che ha portato ad un forte calo nella produzione di manufatti legati all’industria dell’acciaio, ha causato prima un ridimensionamento e poi una chiusura dei grossi impianti.
Emblematico è poi il caso dell’impianto Italsider di Taranto, che alla grave crisi economica ha sommato l’inadeguatezza a produrre in condizioni dii sicurezza per la salute dei cittadini del capoluogo pugliese. Un primo intervento, chiaramente speculativo, da parte del gruppo Riva ha poi portato all’acquisizione della proprietà da parte del gruppo indiano ArcelorMittal.
Concludo l’articolo con una impronta a me particolarmente cara, essendo stata l’azienda presso cui ho svolto la mia prima attività lavorativa.
Le Acciaierie e Ferriere Pugliesi sono state una piccola anche se importante realtà pugliese nel settore, che partendo dal riutilizzo del materiale ferroso rottamato, produceva nel suo altoforno lingotti in acciaio di qualità. Gli stessi venivano poi lavorati nell’attiguo laminatoio per produrre rotaie per l’industria ferroviaria e putrelle delle più svariate misure per l’industria edile.
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