il pellicano tra leggenda e realtÀ |
Sergio De Benedictis |
La cosa mutuata anche dall’etimologia del suo nome che sembra derivi dal greco πελεκάν (pelekán, "pellicano"), la cui radice πέλεκυς (pélekys) possiamo tradurre come "scure"), per la forma del suo becco.
In realtà quando l'adulto si accinge ad imbeccare i piccoli, rigurgita il pesce precedentemente catturato, sminuzzato e sanguinolento dalla grossa tasca che ha sotto il becco, e poi preme il becco stesso sulla sacca, dando l'impressione che si apra il petto, introducendo quindi il cibo rigurgitato nella bocca spalancata dei piccoli.
In tal senso è possibile vedere la sua immagine riprodotta in diversi luoghi sacri come statue, bassorilievi, dipinti e mosaici. Ma anche altre religioni, come quella musulmana, ricordano la sua abnegazione; si narra che durante la costruzione della Ka’ba, gli operai dovettero interrompere i lavori per mancanza d'acqua; a quel punto stormi di pellicani avrebbero trasportato nelle loro borse naturali l'acqua occorrente a consentire il completamento dell'importante costruzione sacra. Le varie specie conosciute, otto in complesso, sono tutte di grossa taglia; vivono normalmente sui grandi laghi o le coste di mari interni. Il loro dimorfismo sessuale non permette ad occhio una distinzione tra i due sessi.
Hanno ali lunghe e robuste (l’apertura alare può raggiungere il metro e mezzo), coda corta, piedi palmati ed il caratteristico becco. La capace tasca può contenere fino a 12 litri di acqua; quando è piena l'uccello però non può volare perchè non riesce a mantenere l'equilibrio! Una nota casa costruttrice di penne stilografiche adottò alla sua nascita nel 1938, quando produceva solo colori ed inchiostri, un logo con l’immagine del pellicano che nutre i suoi piccoli: probabilmente volendo paragonare il becco al pennino che intinge nell’inchiostro; il marchio fu poi registrato ed è ancora utilizzato ai giorni nostri anche se in forma più stilizzata. |