Anteriormente al 1590 Perugia poteva corrispondere con Firenze facendo transitare per Roma le “lettere ed involti” che, passando per Siena, giungevano poi a Firenze. Cammino inverso per tutto quanto doveva essere trasportato dal Granducato in Umbria.
Firenze e lo Stato Pontificio giungono ad un accordo e l’8 febbraio 1590 Nicola Rocca (o Roccia) ottiene la privativa di procaccio da Perugia a Firenze, da attuarsi una volta la settimana, per il trasporto di lettere, fagotti e mercanzie. A Nicola succedono i figli Girolamo e Giustiniano che ottengono la concessione per altri 25 anni al costo di 4 ducati l’anno. I Rocca dopo alcuni anni cedono la privativa ad un aretino: Franco Rampini.
Il Rampini il 9 febbraio 1620 ottiene la conferma della cessione e la proroga per 25 anni con il pagamento di un canone di 25 scudi. Quando si estingue la famiglia Rampini, la Camera Apostolica riunisce il Procacciato di Perugia al Generalato e stipula concessioni novennali.
Colui che otteneva in appalto il Generalato delle Poste, in genere un nobile molto vicino al Papa, conservava per sé il servizio della posta in Roma e subappaltava le restanti parti del territorio (tenenze). In quegli anni chi otteneva in subappalto la posta delle lettere e cavalli di Perugia, otteneva anche il procacciato di Perugia e la posta lettere di Arezzo, Castiglion Fiorentino e Cortona; a sua volta subappaltava i tre uffici postali.
Nel 1722 Ottavio Rinaldo Marchese del Bufalo del Valle era Generale delle poste pontificie, Carlo Antonio Costantini era tenente delle poste di Perugia, essendo succeduto a Giovan Battista Viola, dal quale, Carlo Santoli di Arezzo, aveva ottenuto la posta delle lettere di Arezzo nell’anno 1710, concessione che manterrà almeno fino al 1743.
Il gestore delle tre poste in territorio granducale non doveva trarre grossi guadagni dal proprio lavoro in quanto:
- il Mastro di Posta di Perugia non trova facilmente da subappaltare e quando ci riesce le affitta a sudditi di S.A.R.,
- Carlo Santoli è “debitore di grossa somma, e ben che più volte sia stato chiamato a far li conti, ha sempre preso lo scampo e converrà accedere a forza, con tutte le ricevute originali”,
- si determinò un contenzioso tra il Granducato e lo Stato Pontificio per la concorrenza che i procaccini aretini Bartolomeo Pieraccini e Angelo Dragoni fanno al subappaltatore della posta delle lettere di Arezzo, raccogliendo le lettere per Firenze e distribuendo quelle da Firenze in Arezzo.
La disputa trae le proprie origini da lontano, dagli “istrumenti chirografi” sottoscritti l’8.2.1590 e il 9.2.1610, con i quali lo Stato Pontificio concedeva il patentato al nuovo procaccio di Perugia per Firenze. Oggetto del contendere è stabilire se, alla data della sua costituzione, era stata concessa anche la privativa delle lettere di Arezzo, Castiglion Fiorentino e Cortona.
In altro documento citato dal Gallenga (v), il “Direttore della Posta di Perugia” in un documento del 21.7.1722 ipotizza che le Poste delle Lettere di Arezzo, Castiglion Fiorentino e Cortona, dipendenti dalla tenenza postale Pontificia di Perugia, fossero state cedute allorchè questa concesse al Granduca il procacciato Firenze-Ancona ma, nella raccolta epistolare in nostre mani, non si fa menzione di questo scambio.
Vengono invece citati tutti i privilegi dell’uno e dell’altro contendente:
Firenze ha un procaccio da Roma a Firenze,
Firenze ha una posta particolare in Roma,
Firenze ha un procaccio da Firenze per Ancona,
Roma ha tre uffici di lettere in Toscana,
visto lo sbilancio a favore del Granducato, Roma ritiene quanto meno di vantare una esclusiva nella gestione delle lettere di questi territori, ma non si trova traccia della supposta privativa.
A proposito del Procaccio Firenze-Ancona del quale si è sempre saputo ben poco, apprendiamo ora che svolgeva il proprio servizio una volta alla settimana e che raccoglie le lettere da Figline, S. Giovanni, Montevarchi, Arezzo, Castiglion Fiorentino e Cortona.
La corrispondenza dell’anno 1776 cita anche i procacci patentati dalla Posta generale di Firenze: per “Pisa e Livorno”, per “Roma”, per “Venezia” e per “Ancona” specificando che non vi era conflittualità tra questi ed i procaccini comunitativi che agivano nei medesimi luoghi: la posta poteva essere raccolta sia dagli uni che dagli altri.
La coesistenza delle due figure nel territorio toscano (non permessa nel Pontificio), la considerazione che il “Procaccio di Perugia può prendere lettere da Cortona, Castiglion Fiorentino e Arezzo per comodo di quegli abitanti” ed ancora che dal 1722 al 1777 non viene trovato alcun accordo scritto, sono gli elementi addotti dal Granduca per emettere la lettera direttoriale del 7.5.1777 da notificarsi dalla Camera Granducale ai tribunali di Arezzo, Cortona, Castiglion Fiorentino, San Giovanni Valdarno:
"Sua Altezza Reale dalle informazioni e documenti avuti sottocchio ha riconosciuto che al procaccio di Perugia non compete alcuna privativa di portare le lettere delle diverse città, terre e Castelli del Granducato per i quali transita nel suo viaggio da Perugia a Firenze… ha rigettato come destituite di ogni fondamento le domande e le pretensioni che anche di recente sono state promosse dall’istesso procaccio… si abbiano nulli e inattendibili gli ordini dati dal Generale delle Poste di Firenze al Commissario di Arezzo con le Officiali del 19 settembre 1722 e 24 aprile 1723… nel supposto che al procaccio di Perugia competesse la privativa di cui è questione."
Questa pose fine alla questione con lo Stato Pontificio e riabilitò i procaccini di Arezzo.
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