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Porte di accesso e Dazi ad Arezzo | ||||||||||||
di Roberto Monticini | ||||||||||||
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LE PORTE E LE BARRIERE DI ACCESSO AD AREZZO Agli inizi dell'ottocento la cinta muraria aretina presentava 4 porte d'ingresso alla città: Porta S. Spirito, poi Barriera Vittorio Emanuele
Nell'immagine della cartolina si legge che la porta fu abbattuta nel 1895 (altri 1893) per creare la Barriera Vittorio Emanuele:
Porta S. Lorentino
Le due fotografie mostrano le ristrutturazioni fatte alla porta prima della versione attuale:
Porta S. Clemente
Porta Crucifera o di Colcitrone poi Barriera Colcitrone
Questa immagine lasciataci da Ugo Viviani sembra essere l'unica della Porta Crucifera.
Alle quattro porte aretine se ne aggiunse una nuova nel 1816: Porta Ferdinanda o Porta Nuova
Per mettere in comunicazione la nuova Via Guido Monaco con la nuova Piazza ndella Stazione, nel 1869, fu abbattuta parte della cinta muraria e creata la: Barriera Guido Monaco
IL DAZIO In epoca comunale fiorirono le imposte sul commercio, gravanti sia sugli scambi che avvenivano nei mercati, sia sui transiti delle merci, con riscossione agli approdi marini, fluviali, lacustri, sui ponti, alle porte delle città. In seguito, il passaggio da un'economia di tipo chiuso a un'epoca di fiorenti commerci interni e internazionali favorì il sorgere di un vero e proprio sistema doganale. Accanto a tutti i vecchi “diritti di mercato” che assunsero l'aspetto di tasse, cioè di controprestazioni obbligatorie per la richiesta di un servizio pubblico (uso di magazzini, pesi e misure, ecc.), si svilupparono i dazi percepiti per l'entrata e l'uscita delle merci dai confini di un territorio. Durante il periodo comunale i dazi ebbero uno scopo puramente fiscale, ma, nella successiva epoca delle signorie, dei principati e delle monarchie nazionali, si manifestò una progressiva evoluzione. Apparve evidente che, allo scopo di aiutare e difendere le attività esistenti in un territorio, occorreva eliminare il più possibile gli ostacoli che si frapponevano al commercio interno e, di contro, proteggere, con opportuni dazi doganali, le attività nazionali dalla concorrenza estera. Ed è così che alla fine del sec. XVIII vennero quasi ovunque soppresse le dogane interne, pur continuando a essere percepiti dazi comunali, con scopi puramente fiscali. Le finanze locali si fondavano da tempo su queste imposizioni che colpivano taluni principali beni di consumo al momento della loro introduzione nei comuni dotati di una cinta daziaria (comuni chiusi) o al momento in cui erano immessi nei negozi di vendita al minuto (comuni aperti). Benché i dazi interni alimentassero anche le finanze centrali, quasi tutte le autorità statali rinunciarono, nei sec. XIX e XX, ai pur alti gettiti, in favore delle finanze locali. In Italia tale riforma fu attuata nel 1923. È da ritenere che ad ogni porta o barriera d'accesso alla città stazionasse un Daziere per riscuotere l'imposta relativa, al momento le testimonianze che ho potuto raccogliere sono tre:
legna, vino ed olio i beni colpiti dall'imposta nelle tre quietanze.
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