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Possedere edizioni originarie di canti popolari è assai difficile, ricercarle è per tutti appassionante, ritrovarle può sembrare fortuna ma è soprattutto curiosità e impegno dei collezionisti.
Questi pensieri sono attestati da esperienze personali tra cui in particolare quella relativa all'edizione originaria dell'Inno del Saracino, divenuto emblema, oltre che della storica giostra in costume, della stessa città di Guido.
L’inno, su incarico del podestà Pier Ludovico Occhini, fu musicato nel 1932 da Giuseppe Pietri (Sant'Ilario nell'Elba 1886 - Milano 1946), su parole dello scrittore e poeta vernacolare aretino Alberto Severi (Arezzo 1883 - 1958); nello stesso anno fu pubblicato dalla stamperia musicale Mignani di Firenze (fondata nel 1862 e tuttora attiva ma col nome "Tipografia Arti Grafiche Bandettini").
«E' il 1932: Pietri assiste alla "carriera" in Piazza Grande e si cala nello spirito della manifestazione. La grandiosità dello scenario, la partecipazione della folla, la tensione dei cavalieri e la spasmodica attesa del risultato colpiscono il maestro che già pensa ad un ritmo incalzante cui si sovrappongono accenti marziali, evocatori di un passato che ha toni da leggenda e inflessioni di maestosità festosa.
Gli sovvengono (come attestato dalla vedova del Maestro) i famosi versi danteschi "corridor vidi pe la terra vostra, /o Aretini, e vidi gualdane,/fedir torneamenti e correre giostra..."» (Claudio Santori, Giuseppe Pietri prigioniero dell'operetta, Setticlavio, 1985).
Primo spartito ritrovato: nel 2002 in vacanza in Versilia conobbi in un mercatino locale un rigattiere fiorentino che aveva in bella mostra una raccolta di spartiti popolari degli anni venti - trenta (periodo di grande fioritura musicale italiana) , perfettamente conservati; riuscii a comprare a buon prezzo tutto il lotto, salvo l'Inno del Saracino, da me mai prima visto, che il proprietario affermò di voler tenere per sé. Dopo un paziente corteggiamento telefonico di alcuni mesi, riuscii ad incontrare il rigattiere a Firenze, (scoprendo con l'occasione che si trattava di un falegname collezionista di canzoni di folclore toscano) e ad avere lo spartito che, oltre a costituire un pezzo di particolare rarità e valore sentimentale della mia collezione, mi permise di suonare correttamente l'inno della giostra. L'edizione Mignani è di piccolo formato (24 x 17 cm), con canto e pentagramma per mandolino-fisarmonica, copertina illustrata con in primo piano un musico con chiarina sullo sfondo della torre del palazzo comunale, il tutto con colori rosso-amaranto; l'esemplare riporta in copertina il timbro "Rag. Aldo Giuliattini, via Ippolita degli Azzi, Arezzo". Fino a quest'anno non ne ho, con mia grande sorpresa, veduta altra copia in circolazione neppure sul web.
Ultimissimo spartito ritrovato: a fine settembre 2016, completato il mio impegno per la celebrazione di Giuseppe Pietri nel nostro museo del collezionismo (Munacs), sono andato nella Biblioteca Comunale di Arezzo per verificarne la dotazione di documenti musicali; ho saputo che vi è da circa trenta anni un Fondo di oltre 5000 spartiti, donati da Norina Vieri, a me nota solo come titolare di uno storico negozio musicale cittadino e per essermi stata indicata da musicologi vari, durante le ricerche su Pietri, come proprietaria di una straordinaria collezione di dischi sull'operetta (creata dall'aretino dottor Marchi, ritenuto il massimo collezionista nazionale del genere); da una rapida consultazione del catalogo informatico della Biblioteca ho intuito trattarsi di un Fondo di rilievo, meritevole di essere approfondito.
Ho così scoperto con emozione l'esistenza di un esemplare dello spartito originale dell'Inno, unico e straordinario, recante in copertina la dedica autografa dei due autori (Pietri e Severi) "al N H Paolo Burali Forti, amantissimo di cose aretine, per ricordo", probabilmente figlio del geniale matematico Cesare (Arezzo 1861- Torino 1931) e nipote del poliedrico musicista ed artista Cosimo (Arezzo 1835 - 1905). La scoperta del Fondo mi ha spinto a conoscere Norina Vieri, che ho potuto apprezzare per la giovanile e indomita volontà, malgrado le molte delusioni, di contribuire alla cultura della città.
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Sono due storie di collezionismo diverse, entrambe con tipici interrogativi e misteri irrisolti e forse irrisolvibili: come può essere che lo spartito dell'Inno della Giostra sia praticamente scomparso e divenuto rarissimo? Quante copie ne furono stampate? E se poche , perché? Quanti esemplari sono nascosti o conservati in case o soffitte aretine da, proprietari incuranti o gelosi (come il caso riferitomi di un parroco del circondario che lo ritiene documento quasi sacro)? Come finì lo spartito del ragioniere di Arezzo al falegname di Firenze? Fu forse comprato alla Fiera antiquaria e poi rivenduto a Firenze? Come è successo che un omaggio autografo di due così celebri autori sia stato ceduto dal "nobiluomo destinatario" ad un collezionista borghese? Come poté il dottor Marchi (credo dentista) divenire collezionista massimo ed esperto di fama internazionale? Quale fu la sua storia, la sua cultura e ambizione? Come è potuto accadere che la copia autografata sia finora rimasta ignota proprio nella Biblioteca comunale della città della Giostra? Come accade che queste ricerche e scoperte siano fatte da un espatriato da oltre 50 anni che si è sempre occupato di ricerca tecnica e non invece da cittadini e studiosi letterati residenti? Etc. etc.
Alcune morali di questa storia emblematica. La prima è che in Italia siamo sopra una miniera inesplorata di tesori culturali , senza esserne consapevoli. Una seconda è che le scoperte maggiori non si fanno sul web ma nella vecchie "nostrane" biblioteche. Una terza è che non di rado oggetti nati in un luogo se ne vanno in giro per il mondo per poi tornare all’origine. Una quarta indica che il collezionismo ha molle e tragitti che sfuggono alle regole della ricerca convenzionale ed accademica ed è per questo popolare, emozionante e ricco di risultati sorprendenti, contribuendo non poco alla conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale.
Carlo Pagliucci
Da: Luca Lunghi (a cura di), ANNUARIO 2016 dodici mesi di collezionismo nella capitale italiana dell'antiquariato, Museo Nazionale del Collezionismo Storico, Arezzo, 2016
Dal 3 al 28 settembre 2016 sono stati dedicati a una serie di eventi, a cura di Carlo Pagliucci, mirati a celebrare, nel 130° della nascita, Giuseppe Pietri, il musicista rinnovatore dell’operetta italiana, autore di pagine immortali e legato da profondi legami con Arezzo dove soleva passare l’estate con la famiglia nella villa degli zii della moglie Giovanna e da cui trasse ispirazione per immortali melodie e per quell'Inno del Saracino (Terra d'Arezzo) divenuto simbolo dell'intera città della Giostra.
Il Maestro, nato a Sant'Ilario dell'Elba nel 1886, diplomato al Conservatorio Verdi di Milano, debuttò all'età di vent'anni con !opera lirica Calendimaggio su libretto del conterraneo "anarchico gentile" Pietro Gori; seguirono molti successi nell’operetta, genere del quale Pietri si autodefinirà "prigioniero", la sua notorietà rimane legata indissolubilmente ad "Addio giovinezza!" e "L’acqua cheta...", capolavori di celebrità mondiale che rinnovano l’operetta italiana, sostituendo il bel mondo dorato e irreale di nobiltà e champagne d'impronta austro-ungarica con ambienti e sentimenti semplici e quotidiani d'impronta popolare, spesso toscana.
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Evento di calibro nazionale è stata la Mostra "GIUSEPPE PIETRI TORNA AD AREZZO ...insieme ai grandi dell'operetta”, basata sulla collezione del curatore Pagliucci e su preziosi gentili apporti dell'archivio Pietri concessi dalla signora Donatella (ultima vivente dei tre figli del Maestro) e del Museo dell'Operetta Sandro Massimini e del suo direttore Giampiero Pacifico. La mostra ha riscosso interesse di qualificati visitatori provenienti da ogni parte d'Italia e apprezzamenti per la sua qualità, rarità e varietà; la personale su Pietri, per la prima volta comprensiva dell'intera produzione del Maestro, è stata integrata da testimonianze dell'Operetta internazionale, richiamando i maggiori compositori e successi e dedicando singole vetrine al grande Franz Lehar (dell'insuperabile Vedova Allegra) e al dinamico Carlo Lombardo (dei popolari Il Paese dei Campanelli e Cin-ci-là), entrambi amici ed estimatori di Pietri. Accanto a spartiti finemente illustrati da rinomati artisti, foto, bozzetti e documenti musicali, unici o rarissimi, si sono ammirate splendide locandine teatrali della "piccola lirica': introvabili dischi di storiche incisioni ed eleganti costumi di scena femminili e maschili dell'epoca, tra cui il mitico ussaro di tante operette danubiane. La mostra è stata arricchita da poster didascalici ad hoc realizzati, da un sottofondo musicale con brani di Pietri e dalla proiezione in continuo di un programma RAI-TV del 1971 dedicato alla rievocazione del Maestro.
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Innumerevoli i memorabilia di valore storico-documentale e sentimentale esposti per la prima volta: l'originale edizione di Calendimaggio ritrovata di recente presso un collezionista; le foto d’epoca e di oggi della suggestiva villa con giardino sul colle di San Fabiano dove Pietri compose l'opera Maristella con l'ultima straordinaria romanza italiana Io conosco un giardino, celebre cavallo di battaglia tuttora dei maggiori tenori e presente in mostra con un disco di capolavori operistici di un giovanissimo Pavarotti; l'edizione annotata autografa di Arsa del Giglio, ultima opera del Maestro, terminata anch'essa ad Arezzo e rappresentata postuma a Portoferraio. Un documento di straordinaria emozione reso pubblico è la lettera "Memorie aretine”, che Donatella Pietri ha scritto per l’occasione per ingraziare gli organizzatori e la cittadinanza per la celebrazione del babbo e ricordare i legami con la città, così concludendo " ... Arezzo mi ha insegnato tante cose, mi ha aiutato a crescere e a capire meglio le vicende che ti circondano, ed è con infinita nostalgia e con sincero affetto che sempre rimarrà nel mio cuore”.
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La giornata clou è stata sabato 17 settembre con una serie di eventi speciali rivolti alla cittadinanza, aperti , sul sagrato della Chiesa di San Bartolomeo, da un'esibizione straordinaria dei Musici della Giostra, ciascuno dei quali ha avuto in omaggio una replica con dedica del rarissimo spartito originale dell'Inno del Saracino ritrovato anni fa presso un falegname – rigattiere fiorentino. 'E seguita la visita guidata alla mostra di un nutrito gruppo di ospiti. La manifestazione si è poi spostata nell' attigua splendida sala conferenze del Seminario vescovile per una conferenza - concerto, che ha catturato l'attenzione dei presenti per oltre due ore; all'introduzione storico - musicologica di Pagliucci (soffermatosi su aspetti di collezionismo, editoria e grafica degli spartiti) e di Claudio Santori (autore di un saggio su Pietri ancora di riferimento insuperato), che ha narrato il ritorno del Maestro alla "grande lirica" proprio ad Arezzo con l'opera Maristella e proposto all'ascolto memorabili incisioni. Ha concluso un originale concerto di musica dal vivo: Sandro e Fulvio Caldini hanno eseguito una composizione inedita per oboe e pianoforte; Pagliucci ha richiamato alla fisarmonica una fantasia di canzoni popolari del Maestro oggi dimenticate; due fanciulle aretine (Angela Maria Rossi ed Elisabetta Ricci), su idea di Santori e direzione della Maestra Gianna Ghiori, hanno deliziato il pubblico con l'angelico canto dell'Ave maris stella gregoriana, inserita nell’opera Maristella. Un programma interessante ed insolito per rimarcare e valorizzare la poliedricità, preparazione e spontaneità del compositore, aretino adottivo, definito "il cantore dei goliardi" e "il Puccini dell’operetta''.
da sinistra: Claudio Sartori, Angela Maria Rossi, Elisabetta Ricci e Carlo Pagliucci, collezionista e curatore della mostra
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