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Barullare - Tra gli Aretini significa cader rotolone. Rotolar per terra. Ma tra' Fiorentini vale significar l'arte del barullo; e barullo significa colui, che compra cose da mangiare in di grosso, per rivenderle con il suo vantaggio a minuto.
(mod. barullàre) (1)
Quello del barullo è uno dei tanti mestieri oramai scomparsi. Personaggi caratteristici e necessari nella civiltà contadina.
Quasi tutti i giorni, passava dai borghi e dai casolari sparsi nelle campagne schiamazzando per annunciare il suo arrivo. A dire il vero nelle aie cercavano di far meno rumore possibile, perchè, se non c'era nessuno nei paraggi, potevano afferrare con disinvoltura qualche animale da cortile senza chiedere il permesso!
Viaggiavano solitamente con un carrettino trainato da un asino o da un cavallo mal messo. Acquisivano uova, polli, pelli di coniglio o di lepre e come baratto offrivano stringhe, sapone o altri generi di poco prezzo. Le contrattazioni erano lunghe, ma alla fine gli affari si concludevano tra due "volpi": la massaia ed il "barullo”. Il baroccio era sempre pieno perché da una parte c'era la roba da cedere e dall'altro quella barattata.
Nonostante le diffidenze c'era una certa complicità tra le due parti e non era raro il caso che il barullo alloggiasse per una notte presso la famiglia contadina.
Era un mestiere di pura sopravvivenza e lo stava a dimostrare l'animale da traino che non se la passava certamente bene, almeno dall'aspetto.
I barulli erano persone astute e sono protagonisti di aneddoti raccontati durante le "veglie". Si narrava infatti di un barullo che aveva venduto gli aghi da seminare ai "Matti di Gello" (2), oppure di quel barullo che , esperto ballerino era capace nel vortice della danza di far alzare il vestito alla ragazza da marito in modo da far vedere allo spasimante la caviglia della ragazza. Naturalmente veniva ricompensato con qualche fiasco di vino o qualche altro prodotto della campagna.
Nell'immaginario collettivo il barullo era spesso sinonimo di "fanfarone “, di "trappolone", perché cercava di appioppare roba scadente come se fosse stata di prima qualità.
In definitiva era una figura utile in quel mondo contadino, perché ne soddisfaceva alcune esigenze. A volte era richiesto per ottenere informazioni su potenziali aspiranti fidanzati o fidanzate ed anche per mettere insieme giovani che vivevano ad una certa distanza.
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L'immagine è quella di un "pezzàro" del Cilento, mestiere molto simile a quello del nostro "barullo" |
NOTE:
1. Alberto Nocentini, Il vocabolario aretino di Francesco Redi, con un profilo del dialetto aretino, Edizioni Librarie Italiane Estere, Firenze, 1989,
2. https://www.ilbelcasentino.it/castiglion-fibocchi-seq.php?idcat=&pag=36&idimg=2525
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