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Indagini aperte su due lettere inviate dal Carcere Giudiziario di Arezzo nel 1943 (I parte) | ||||||
di David Martignetti, Roberto Monticini, Samuel Rimoldi | ||||||
PERCORSO: Le schede di Arezzo > dal Fascismo alla Liberazione > questa pagina Da 3 anni l’Italia ha dichiarato guerra a Francia e Gran Bretagna e, trascorsi pochi mesi, Il generale Badoglio annuncerà l'armistizio di Cassibile, al quale seguirà quasi immediatamente l’occupazione dell’Italia da parte della Germania nazista e la costituzione della R.S.I. Nel giugno e nel luglio del 1943, dal Carcere Giudiziario di Arezzo, vengono spedite due lettere dirette in Montenegro e precisamente a Berane. Queste due buste, delle quali siamo entrati in possesso, appaiono molto poco comuni e, per questo, hanno suscitato la nostra curiosità. La prima reca il bollo in partenza: AREZZO CENTRO 11.06.1943 XXI 19, non ha testo all’interno.
Le due corrispondenze sono state affrancate per l’estero: la prima, come lettera ordinaria con € 1,25, la seconda come lettera raccomandata con £ 2,75; il Regno del Montenegro era sotto la reggenza di V.E. III e non godeva delle tariffe per l’interno. Franco Filanci ci ha informati che, fatta una ricerca su Poste e Telecomunicazioni dal 1941 al 1943, non ha trovato alcun riferimento all’introduzione di tariffe interne in Montenegro. Nel luglio 1941 il Montenegro figurava tra i Paesi europei, ma erano ammesse solo corrispondenze epistolari e giornali e periodici in abbonamento; lo stesso nel novembre 1941, marzo e novembre 1942. In quei tempi gli uffici italiani venivano informati sui cambiamenti tariffari per far sì che gli utenti non risultassero penalizzati pagando diversamente dal dovuto: tanto che, nel 1942, si riportava di un libro che, eccezionalmente, poteva essere spedito in Montenegro. Le lettere sono state spedite a Berane, ufficialmente inviate da due diversi mittenti, entrambi si domiciliano presso il carcere stesso. La grafia appare la medesima e l’interno, presente nella seconda delle lettere, è scritto in lingua italiana. La prima lettera, oltre al bollo di partenza, presenta sul retro un AREZZO RACCOMAN 11.6.43 13 e il bollo di censura: UFFICIO CENSURA POSTA ESTERA II, il bollo del controllore (14/11) e la fascetta: VERIFICATO PER CENSURA
La prima lettera è diretta a Mihailo Motovic, Direttore posta a Berane, ma non è da escludere che, nel caso, potrebbe anche essersi trattato di indirizzo di favore: il vero destinatario recandosi all’ufficio postale per ritirare la lettera, forse, avrebbe potuto avere l’opportunità di sentirsela leggere e tradurre. La seconda è diretta al figlio Milan Matovich che il padre, nella lettera, chiama Milane. Questo è quanto ha prodotto la nostra indagine compiuta sulle due lettere: il risultato però non offre nessuna risposta alla domanda che ci eravamo posti in partenza spronandoci ad esaminarle con maggior cura ed attenzione: in quale veste i due montenegrini scrivevano dal carcere? La lettura dei segni, dello scritto e dei timbri, al momento, non ha appagato la nostra curiosità. Esaminiamo le varie ipotesi: a) Guardie carcerarie assunte dal vicino Montenegro, a causa della mancanza di personale italiano perché chiamato alle armi. Si presume però che se vera questa supposizione, i soggetti non avrebbero scritto dal carcere e le loro lettere non sarebbero state sottoposte a censura interna; b) Prigionieri di Guerra o ex ufficiali dell’esercito iugoslavo. Nell’aretino erano presenti 4 Campi di concentramento: Renicci presso Anghiari, Laterina, Villa Ascensione a Poppi e Villa Oliveto a Civitella della Chiana), ma perché sarebbero stati detenuti in un carcere giudiziario?; c) Internati civili. Vale quanto scritto per i prigionieri di guerra, perché nei campi di concentramento venivano “ospitati” anche internati civili: antifascisti e politici, inoltre a molti internati era riservato oltre il campo di internamento civile, anche il domicilio coatto. Non ci risulta però che il carcere aretino sia stato adibito ad ospitare internati civili, ma, ovviamente, questo non esclude la possibilità che al momento non ve ne fossero presenti, anche solo temporaneamente in passaggio, verso altra destinazione o in attesa di processo; d) Ultima ipotesi e, per noi forse la più attendibile, è che si trattasse di detenuti per reati comuni, questa congettura risulterebbe avvalorata da: la censura interna al carcere, l’obbligo di scrivere la lettera in italiano e dover così ricorrere ad uno scrivano traduttore, agevolando in tal modo la censura interna, l’esibizione del documento rilasciato dal Ministero di Grazie e Giustizia per poter scrivere all’estero, infatti, il Ministero non rilasciava documenti o libretti ferroviari se non ai propri dipendenti od ai detenuti nelle patrie galere. L’interno della lettera di Milissav non ci ha offerto nessun indizio per comprendere il perché si trovasse in carcere: teniamo però presente alcune sue esplicitate riflessioni “L’avversità del destino... però ogni sofferenza merita una larga ricompensa... quando ogni cosa finirà e torneremo alla nostra casa... Caro fratello, non potendo avere due lettere sono obbligato a scriverti nella medesima (h)a cui scrivo al figlio mio...” David Martignetti, Roberto Monticini, Samuel Rimoldi |