vai ai comunicati delle manifestazioni

Due Legnaghesi volarono su Vienna con D'Annunzio

di Danilo Bogoni


Cent’anni fa con Gabriele D’annunzio anche due “legnaghesi” volarono su Vienna, lanciando sulla città migliaia di volantini. Sopra c’erano scritti due diversi messaggi propagandistici italiani, che invitavano a smettere di combattere per l’Impero. Si tratta di Aldo Finzi (Legnago 1891-Roma, Fosse Ardeatine, 1944) e di Giordano Bruno Granzarolo (Carpi di Villa Bartolomea 1894- Padova 1948).

La cartolina stampata per la manifestazione

I due aviatori – quando l’aviazione era ancora agli albori – presero anche parte alla Grande guerra, che il Circolo filatelico e numismatico legnaghese “Sergio Rettondini” ricorda con la tradizionale mostra filatelica del 29 settembre -7 ottobre (ingresso gratuito orari: 9.30 12.30 – 15.30 – 18.30 sabato e domenica, nei restanti giorni su appuntamento 0442 27732), allestita al Museo Fioroni con la collaborazione del “Circolo del 72”. Mostra che idealmente si riallaccia a quella, sullo stesso tema, di mezzo secolo fa.

Sabato 29, nell’ambito dell’inaugurazione prevista per le ore 16, Alessio Meuti, presidente dell’Associazione di cultura aeronautica “Il Circolo del 72”, tratteggerà le figure dei due aviatori. Di Aldo Finzi, nato a Legnago nel 1891, il quale visse l’infanzia e l’adolescenza a Badia Polesine, e Giordano Bruno Granzarolo, che cominciò a vagire nel 1894 a Carpi di Villabartolomea, mentre gran parte della gioventù la trascorse a San Vito di Legnago. Uniti, ricorda il giovane, ma preparato storico locale, Stefano Vicentini, dalla passione per le motociclette (Finzi fu il primo pilota ufficiale della “Moto Guzzi” in una competizione sportiva); per il volo aerostatico (parteciparono a diverse edizioni della coppa “Gordon Bennet”, conseguendo ottimi piazzamenti) e per il volo allora agli albori.

Considerato un po’ il padre dell’aviazione italiana, Aldo Finzi, come ha ricordato dalle colonne del “Corriere della Sera” l’ambasciatore Sergio Romano, “è un personaggio drammatico e controverso. Apparteneva ad una famiglia impeccabilmente risorgimentale. Uno zio, Giuseppe, fu coinvolto nel processo ai martiri di Belfiore, partecipò all’organizzazione dell’impresa dei Mille, fu deputato e senatore. Dopo la Grande guerra divenne un fascista della ‘prima ora’. Nell’agosto del 1922, in occasione del grande sciopero generale, fu tra coloro che, sfidando i sindacati, si misero alla guida di un tram nelle vie milanesi”.
Irruento e focoso. Fu lui che dopo le elezioni del 1924, quando era già sottosegretario agli interni, contestò aspramente il discorso con cui Giacomo Matteotti denunciò alle Camere le violenze e le intimidazioni delle squadre fasciste nei seggi elettorali”. “E’ questa – si chiede l’ambasciatore Sergio Romano – una delle ragioni per cui venne accusato di complicità dell’assassinio del segretario del partito socialista e costretto a dimettersi?”.

La risposta è che Finzi “Fu quasi certamente un capro espiatorio”. Diventato antifascista, il 15 marzo 1944 venne arrestato dai tedeschi e il 24 ucciso alle Fosse Ardeatine. Dove la targa lo ricorda come tenente dell’Aeronautica, agricoltore, giornalista. Non uomo politico. Su una lapide della Sinagoga di Roma il suo nome figura tra quelli degli ebrei caduti durante la Resistenza.

Più lineare, e anche per questo meno conosciuto, il profilo di Giordano Bruno Granzarolo. Entrato in Aeronautica nel 1917, prese parte alla Grande guerra, pilotò i più diversi aeroplani effettuando tutta una importante serie di rilievi fotografici. Medaglia d’argento al valor militare, nel dopoguerra partecipò a numerose manifestazioni sportive, come le prime edizioni della Coppa Baracca.

Oltre che sulla cartolina stampata per l’occasione, la sagoma dei due aviatori campeggia pure sull’annullo ricordo che Poste italiane utilizzeranno il pomeriggio del 29 settembre nell’ufficio provvisoriamente aperto all’interno dei Museo.


Esposte, nella Sala Orientale, la “Grande guerra” messa insieme da Giuseppe Vincenzo Badin.
Si tratta di documenti postali dei soldati al fronte. Lettere, e soprattutto cartoline con i quali i nostri soldati mantenevano i rapporti con coloro che erano a casa.

Affettuosamente struggente il ricordo che Valeriano Genovese tributa al padre, “ragazzo del ‘99”. Un tardivo omaggio, assicura l’autore della collezione, “di un figlio verso la memoria del padre, che a soli diciott’anni venne brutalmente gettato nella mischia della Grande guerra”. La narrazione, fatto di documenti postali (ma non solo, perché c’è anche la lettera di precetto), ruota intorno al diario, compilato a partire dal 22 febbraio 1917 e fino al 7 luglio dello stesso anno, da Domenico (Memi) Genovese. Il padre di Valeriano, appunto.
A proposito della ritirata di Caporetto Domenico Genovese annota:” si sente da lontano un bombardamento infernale; si vide ritornare della truppa sudicia, mal vestita, senza fucile e senza ogni oggetto di corredo. Si videro altri reggimenti freschi andare contro il fronte con un passo veloce e sicuro sotto la pioggia che cadeva a catinelle. Infatti c’era un movimento per le strade che era impossibile passare”. Non manca neppure la decorazione con la Croce al merito di guerra, ottenuta in riconoscimento per una pericolosa azione sul Col del Roccolo.