Cronache dentellate

Contagio in mostra permanente all’Università San Raffaele di Milano

riprodotto, per gentile concessione, da articolo originale :

"All'Università è mostra postale permanente"

STORIE DI POSTA n. 29/2024

di Danilo Bogoni

Uno dei temi più dibattuti, che di tanto in tanto riemerge, per poi sparire, come un fiume carsico, è quello delle cattedre universitarie di storia postale. Dotte discussioni, che finora non hanno prodotto risultati significativi. Le stesse persone che si sono fatte, si fanno e si faranno portavoce di questa legittima e condivisibile richiesta, spesso - purtroppo, non vanno oltre al loro naso. Ignorando, volutamente o meno, realtà certo meno importanti, ma non per questo da trascurare. Come il caso del Fondo D’Agostino, e la godibile mostra allestita con ottime riproduzioni di alcuni documenti del Fondo stesso (ad evitare che la luce naturale e quella artificiale alla lunga possa rovinarli), presentati nel soppalco della Biblioteca dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano (via Olgettina 58). Forse l’unica Università che nella biblioteca interna ospiti una mostra permanente di documenti di storia postale circoscritti al Contagio.

Milano, Biblioteca Università San Raffale, una veduta della mostra permanente Contagio

Di questo, oltre all’Università pensata e realizzata da quel visionario che fu don Luigi Verzè, dobbiamo essere grati al professor Walter Andrea D’Agostino (1920-2016), noto diabetologo e studioso di contagi. Un Fondo, il suo, che comprende all’incirca 300 volumi, antichi e non sul contagio. Almeno due quelli che portano la sua firma: “Contagio… sudore, e sangue in tempi di pestilenze…”, pubblicato nel 1999, con un fascicolo a parte che spiega il significato di parole obsolete, o dialettali permettendo in tal modo di comprendere meglio alcuni documenti o testi riportati nel volume. O “La Peste passato e presente”, pubblicato nel 2008 con Giorgio Cosmacini.

E poi 7000 documenti, numero più numero meno, sullo stesso tema. “Una ricchissima documentazione – dicono alla Biblioteca Universitaria -, rara e preziosa, di fedi di sanità per i viaggi di terra, patenti sanitarie per i viaggi di mare, piantine originali di lazzaretti, editti, e ancora documenti sui cordoni sanitari terrestri e marittimi, disinfezione delle lettere e delle merci sequestri domiciliari e isolamenti contumaciali, quarantene, istruzioni per il popolo e magistrature di controllo”. Un tesoro documentale importantissimo in quanto tale e per luogo di conservazione e di parziale esposizione nella rassegna Contagio, che ripete il titolo del libro e che attraverso sei isole tematiche racconta la paura e le pestilenze.

Prima isola: i Lazzaretti, nome forse in origine usato per indicare piccole strutture lontane dall’abitato, in cui si ospitavano i “Lazzari”, ovvero i lebbrosi, e nei quali la vita era piuttosto dura. Non a caso attraverso una lettera scritta nel lazzaretto di Barletta U. Lampredi chiede al principe Pignatelli, a Napoli, una riduzione della quarantena, assolutamente insopportabile in mezzo al vento e alle pulci.

E proprio di quarantene tratta la seconda isola espositiva nella quale viene messo in risalto come fosse considerato straordinariamente pericoloso, quindi da doversi temere e tenere lontano ogni oggetto, persona o animale “suscettibile” di ricevere, trasportare o trasmettere il contagio. Un avviso esposto a Trento suggeriva, in caso di vaiolo, si inchiodasse una tavola nera accanto alla porta di casa dei malati, indicando così la presenza del contagiato.

Terza isola, i Cordoni sanitari che le autorità sanitarie provvedevano a mettere in pratica alle prime notizie di contagio. Impedendo, anche con la forza, l’ingresso di persone o animali che dal territorio infetti o sospetto tentassero di entrare nel territorio protetto. Erano considerati come una temibile fonte di contagio anche i naufraghi, come testimonia un reperto che fa riferimento ai cordoni di contumacia immediatamente realizzati ad Augusta, a seguito dei naufragi di due bastimenti francesi il 5 e 6 marzo 1779. Nel 1836 il colera di palesò anche a Rodi Garganico, di conseguenza l’intero paese – lo documenta una piantina acquerellata dello stesso anno- l’intero paese venne circondato da cordone sanitario.

Augusta – “Piano del cordone di contumacia” per il naufragio di due bastimenti 5 marzo 1779, acquerello.
(© Università Vita-Salute San Raffaele, Milano, Fondo D’Agostino)

Quarta tappa, i viaggi, considerati propagatori, attraverso uomini e animali, di contagi. Poiché non era possibile, come qualcuno avrebbe preferito, bloccare i movimenti, si ricorse al loro controllo attraverso le fedi di sanità. Come quella della deputazione di Brentonico rilasciata il 31 agosto 1767 a Bartolomeo Zaninel, diretto nel veronese “con peccore n. 70, capre tre, famigli, ed arnesi”. Al loro arrivo anche patenti si sanità andavano sottoposte a disinfezione. Quella rilasciata a Napoli il 5 luglio, al Padron Felice Mizzi riccamente stampata, sottolineando in tal modo l’importanza del documento, mostra evidenti segni di disinfezione con l’aceto.

Napoli, Patente di sanità rilasciata nel 1787 a Padron Felice Mizzi che, al comando della paranza “Il Crocifisso” salpò per Civitavecchia.

Alla disinfezione delle lettere, temute come causa diretta di infezione, specialmente se provenienti da zone infette o da aree considerata cronicamente infette come il levante ottomano, è dedicato la quinta isola espositiva. Nella disinfezione non si faceva sconti a nessuno. Neppure a Fillmore Millard, presidente degli Stati Uniti, che l’1° agosto 1850 scrisse a Ferdinando II per congratularsi per le nozze del fratello Francesco di Paola, conte di Trapani. La missiva mostra evidenti segni di disinfezione con la fiamma.
Qualche volta la disinfezione veniva praticata con troppa energia, tanto che alla fiamma, la patente di sanità poteva risultare più o meno danneggiata. O quasi distrutta. E’ questo il caso della lettera del 1819 “brustolata” ad Ancona.

La notificazione della conclusione della disinfezione postale venne affidata al telegramma, come quello da Roma del 9 marzo 1887 e indirizzato a Napoli, col quale si dava conto che nel 1885 la Conferenza internazionale Sanitaria dichiarò “comprovato che le corrispondenze postali non diffusero mai colera”. Sanzionando di conseguenza l’inutilità della disinfezione cui nel tempo e in varie forme erano state sottoposte le lettere.

Roma, telegramma del 9 marzo 1887 che annuncia la fine della disinfezione postale dopo le conclusioni della Conferenza Internazionale Sanitaria tenutasi a Roma nel maggio 1885 (© Università Vita-Salute San Raffaele, Milano, Fondo D’Agostino).

Agli uomini che durante il contagio si trovarono in qualche modo coinvolti, è dedicata la sesta e ultima isola, nella quale sono presentati documenti che raccontano l’impegno profuso da medici, infermieri e becchini. Ma anche di processo e l’esecuzione di alcuni untori milanesi, oppure la dichiarazione che nel 1815 a Palermo non c’era la peste. A garantirlo, con lo loro firma e con il loro sigillo di ceralacca i consoli di Francia, Spagna, Gran Bretagna, Portogallo, Sardegna, Austria, Russia, America, Impero Ottomano e Repubblica Septisulare, ossia delle Isole Ionie esistita dal 1800 al 1807 sotto sovranità congiunta dell'Impero russo e dell'Impero ottomano.

Palermo, notificazione sulle false voci: il corpo consolare assicura che a Palermo non c'è contagio (© Università Vita-Salute San Raffaele, Milano, Fondo D’Agostino)


Danilo Bogoni