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La LIRA che non c'è più, nella Mostra del Circolo Filatelico e Numismatico "Sette Comuni" dal 30 giugno all'8 luglio

di Danilo Bogoni

 

E’ verde, come il dollaro, ma con la moneta a stelle e strisce non ha nulla da spartire. Si tratta difatti di una rara banconota italiana, stracarica di storia. Ad emetterla, con valore da 250 lire, fu la Banca Nazionale del Regno d’Italia, nata dalla trasformazione della Banca Nazionale negli Stati Sardi, dopo che il Regno di Sardegna venne trasformato in Regno d’Italia. Una trasformazione che, assicura Guido Crapanzano, tra i massimi esperti in fatto di banconote, “avvenne senza clamore e senza annunciare questo cambiamento”.

Prodotta nel 1873 la banconota può essere ammirata dal vero nella mostra che il Circolo filatelico e numismatico “Sette Comuni” ha allestito nel Palazzo della Spettabile Reggenza, un tempo stazione ferroviaria. Aperta dal 30 giugno all’8 luglio (ingresso gratuito, orari: 10-12 e 16 – 19 sabato e giorni festivi, 16-19 i restanti giorni) la rassegna costituisce un excursus sulla vecchia cara lira. A partire dal 1818 e fino al 2001, quando è stata mandata in pensione dall’euro.

Tra i numerosi pezzi esposti, non manca, s’intende, la banconota da 1.000 lire della Banca d’Italia, creata nel 1893 dopo lo scandalo della Banca Romana, dalla fusione della Banca nazionale del Regno con la Banca nazionale di Toscana e la Banca toscana di credito. Talmente grande, per dimostrarne l’importanza, da dover essere piegata più volte per essere messa nel portafoglio.

Non mancano, anche per ricordare la conclusione della grande guerra, i buoni di cassa che l’Austria mandò a produrre e distribuì nel Veneto, dopo la disfatta di Caporetto. Dopo la vittoria il Governo italiano provvide al rimborso parziale dei buoni riconoscendo prima il 40 per cento del valore e, in seguito, un ulteriore 20 per cento.

L’interessante rassegna sulla lira che non c’è più si conclude con le 500.000 lire, l’ultima banconota della Banca d’Italia inneggiante, nelle immagini al genio di Raffaello Sanzio.