FRANCO FILANCI - email del 14 luglio 2018:
Se il signor Gianni Vitale si informasse un po’ meglio prima di scrivere – magari acquistando e consultando il catalogo InterItalia che tratta gli interi postali non solo come oggetto di mercato, o procurandosi il volume delle Poste La serie della ricostruzione Democratica con tutte le informazioni utili a chi specializza questa serie – eviterebbe di scrivere cose incomplete o inesatte, tali da togliere gusto al piacere della filatelia.
Più che ai cartoncini di controllo, i quali erano destinati al solo funzionamento delle affrancatrici Francotyp calibrate di tipo A, B e C (Piccoletta) della Audion, in uso dal 1927 a fine secolo, mi riferisco ai biglietti postali da 4 e 5 Lire, di cui non è detta la cosa più importante: che il francobollo includeva la soprattassa da 1 lira richiesta da questi interi proprio a partire dal 1946. Quindi il biglietto da 4 lire (3+1 lira) era destinato alla corrispondenza nel distretto, mentre quello da 5 lire (4+1 lira) valeva per l’interno, come documentato dal comunicato presente a pag. 81 del volume delle Poste: un fatto che fu subito causa di errori, come mostra il bp da 4 lire riprodotto dal Vitale, usato il 20.3.1947 da Castronovo per l’interno, uso errato non segnalato.
Tanto più dopo il 24 marzo 1947, quando il biglietto passò a 7 lire (6+1) e dopo neanche 5 mesi a 11 (10+1 lira), richiedendo integrazioni che in molti casi erano incomplete, e non sempre tassate: il che rende appassionante la raccolta dei bp di questo periodo. Una fonte di malintesi a cui si mise fine solo coi nuovi biglietti da 10+1 lira, con francobollo da 10 lire e prezzo di vendita indicato a chiare lettere nel margine inferiore.
Per concludere, i biglietti postali di questo periodo, tipo lettercard, come indicato anche nei decreti sono “in cartoncino” e quindi non si possono definire “un foglio piegato una o più volte”: tale definizione va bene per i successivi valori Siracusana, tipo lettersheet.
GIANNI VITALE - email del 20 luglio 2018:
Ringrazio il Sig. Franco Filanci per l’attenta lettura della nostra rubrica di storia postale della Democratica e mi spiace di aver “tolto il gusto al piacere della filatelia”. Non era mia intenzione.
Negli spiragli di tempo che ritaglio alla mia attività di radiologo cerco di documentarmi su quanto di volta in volta scrivo sulla storia postale nel periodo di mio interesse. Purtroppo non ho avuto modo di consultare le pubblicazioni segnalate. Avevo a diposizione il testo “Filagrano I.P.”, “Il Novellario”, l’Unificato e Sassone di storia postale ed i vari siti specifici pubblicati in rete. Grazie comunque per la segnalazione.
La scelta di “scrivere cose incomplete o inesatte” ossia il mancato riporto del costo per l’acquisto del B.P. è scaturita da due motivazioni:
1 - un noto giurato nazionale, in una collezione esposta in rete, nel suo giudizio scrisse: “Evitare di mettere in evidenza specifiche-tecniche dei supporti dando loro il minimo spazio (siamo in classe storia postale)” invitando quindi a non addentrarsi in settori non strettamente pertinenti all’indirizzo storico-postale. Bontà sua!
2 – La maggioranza dei tariffari consultati non descrivono il prezzo del biglietto postale (“X + Y”), ma ne danno l’importo completo riportando a volte nelle note solo “sovrapprezzo da aggiungere al costo” o “sovrapprezzo incluso nell’affrancatura” ancora come “aumento per i primi 15 gr”, etc.
Insomma un gran garbuglio (pag. 80 Unificato 1996/97) o come definito dal Sig. Filanci: “Una fonte di malintesi a cui si mise fine solo coi nuovi biglietti.......”. Non essendo quindi un tuttologo di storia postale ho preferito non cimentarmi in un campo minato e peraltro non mio dando per scontato il solo prezzo cumulativo.
Se si voleva che si specificasse che nel 1946 i Biglietti Postali subirono un aumento rispetto alla tariffa lettere avendo le Poste applicato un sovrapprezzo per il costo del supporto cartaceo del biglietto (Cesaretti), va bene. Mi pare esagerata la Sua affermazione “si informasse un po’ meglio prima di scrivere”!
Con i due B.P. 4 lire notati dal Sig. Filanci, messi appositamente in quell’ordine, si voleva far risaltare che mentre il primo era in tariffa distretto (sottointeso 1 lira costo B.P. + 3 lire servizio distretto), il secondo del 20 marzo 1947 era in semplice tariffa 4 lire (sottointesa lettera fuori distretto senza aggravio del costo B.P.). Qualcuno doveva pur chiedersi come poteva essere corretta una stessa tariffa sia per il distretto che fuori nello stesso periodo? Non a caso non si specifica “esatta, corretta, perfetta, etc.”, come sovente trascrivo nelle didascalie, appunto per valorizzarne la “stranezza tariffaria”. Quindi mi fa tanto piacere che il Sig. Filanci l’abbia notata perché a volte quello che non si evince dallo scritto lo si deduce ponendo semplicemente attenzione.
Circa i cartoncini di controllo delle affrancatrici credo di aver detto a sufficienza.
Infine le notizie introduttive sui biglietti postali sono state volutamente semplici perché dovevano arrivare immediatamente. Ho scelto la definizione riportata da Wikipedia per pura stringatezza ed efficacia. Peraltro non si specifica la “natura del foglio”.
Nel mio lavoro quotidiano sono costantemente alla ricerca dei minimi particolari, a volte “salvavita”, e la differenza carta/cartoncino mi ha incuriosito. Sono andato alla ricerca di come i tecnici differenziano i supporti:
• carta leggera o carta semplice, con spessore tra 35-60 g/m2;
• carta da stampa, con spessore tra 60-115 g/m2;
• carta ruvida, con spessore tra 115-220 g/m2;
• cartoncino, con spessore compreso tra i 220 g/m2 e i 300 g/m2;
• cartone, ovvero tutti i materiali cartacei che superano i 350 g/m2 di spessore.
Altri:
• Carta (10÷150 g/m² con spessore 0,03÷0,3 mm),
• Cartoncino (150÷450 g/m² con spessore maggiore di 0,3 mm)
• Cartone (450÷1.200 g/m² spesso fino a 2 mm).
Numerose ancora sono le classificazioni con variazioni di peso che diversificano i prodotti delle ditte.
Per un ulteriore approfondimento ho chiesto lumi ad un tecnico del settore, tipografo di vecchia data, nonché collezionista e autore di testi filatelici: Luigi Guido che così mi ha risposto:
“Ho esaminato i biglietti postali della serie Democratica e tutti presentano una grammatura di circa 150 g/m² con ovvia tolleranza come convenzionalmente dichiarato dalle fabbriche a causa delle variazioni di peso stagionale. Il tipo di carta è liscia o semiruvida. La definizione tecnica corretta e corrente non può essere di cartoncino in quanto è ai limiti tra carta da lettera e il semicartoncino (termine improprio ma utilizzato nel settore), sicuramente comunque non cartoncino in quanto dovrebbe superare i 200 g/m². La definizione di “foglio piegato” non è errata. Ad essere pignoli potrebbe essere aggiunta la specifica: foglio di lettera spessa o semicartoncino piegato”...........e con buona pace a decreti ed affini la termino qui!
La nostra rubrica vuole essere una pagina semplice, snella che narra uno spaccato della storia postale della Democratica senza inoltrarsi in specificità e tecnicismi che al contrario appesantirebbero. In primis privilegio alle immagini.
Sempre aperti a critiche che arricchiscano l’argomento. Pertanto come già fatto per l’amico Fabio Petrini che ci ha fornito immagini di oggetti molto rari, aggiungeremo le specifiche richieste dal Sig. Filanci con un articolo d’aggiornamento.
Per concludere credo che nel settore storico postale tanto si ha da imparare e quotidianamente ci si accorge che qualcosa manca ancora, qualcos’altro mancherà domani e altro dopodomani. L’importante e non cadere in quel che recitava Seneca: “Molti potrebbero arrivare alla saggezza se non avessero la presunzione di esserci già arrivati”.
Cordialmente,
Gianni VitalE
FRANCO FILANCI - email del 27 luglio 2018:
Controrisposta
Seneca parlava di saggezza, non di conoscenza. La saggezza si può raggiungere (e non è il mio caso, visto che sono venuto in Grecia come al solito in auto da solo, a quasi 80 anni) mentre la conoscenza è irraggiungibile, di qualunque pur iperspecializzatissimo argomento tecnico, scientifico, storico ecc. si tratti: col tempo qualcosa di nuovo sbuca sempre. E se ho citato qualcuna delle mie opere non è tanto per fare il saputo ma per dire che, conoscendole, si poteva evitare di incorrere in errori o male interpretazioni, e magari di scoprire l’acqua calda. Almeno nel mio modo di pensare, ovvero di uno che dai suoi Maestri (diretti come Giuseppe Talpone e Danilo Bogoni, o tramite i loro scritti, come i Diena, i Fiecchi, Cadioli e Cecchi e pochi altri) ha imparato che prima di parlare e scrivere occorre trovare tutto quel che è stato pubblicato sull’argomento, poi leggerlo davvero e farne tesoro, e solo alla fine rielaborarlo aggiungendo possibilmente dati nuovi oltre alle proprie considerazioni, possibilmente anch’esse inedite. Perché, in oltre mezzo secolo di praticaccia filatelica, ho appurato che l’abitudine imperante è ripetere cose già dette, inesattezze e cretinate comprese, e ripetere modi al limite dell’assurdo, come le descrizioni delle lettere per le partecipazioni a concorso. Spesso prendendo per vangelo certe cose (dai regolamenti fip a certi cataloghi che vanno per la maggiore, non si sa bene perché) che invece andrebbero attentamente riconsiderati e controllati. Secondo lei, si può chiamare definizione quella fip di storia postale, che a leggerla fa a pugni con il concetto stesso di definizione? Come se in un dizionario ci fosse scritto “Mutande, insieme di fili che possono essere di lana o di cotone, di colore bianco ma anche nero, rosso e altro, fatto per stare a contatto con le pudenda”. Senza contare che per diventare giudici internazionali (come scopersi ai tempi di Ermentini, che mi sollecitava in tal senso) non occorreva essere esperti di filatelia, autori di studi e simili, ma avere fatto parte di giurie: non mi meraviglia quindi l’assurda raccomandazione di un “noto giurato nazionale” (!?) di non considerare granché i supporti, quando nella realtà storico-postale possono averne tantissima, specie nel caso di interi postali. Già, ma io parlo di storia postale come storia delle poste, non in senso filatelico: parlo di una storia che parte dai documenti (leggi, decreti, regolamenti, istruzioni, fogli d’ordine ecc) per affondare nella vita politica di una certa epoca e in quella quotidiana di personale, postale e non, e utenti. E che su quell’epoca, quei documenti, quelle usanze si deve basare. Lo so anch’io, avendo a lungo lavorato con stampatori e su confezioni, quali sono i termini relativi alle carte in funzione del peso o della fattura, ma la posta è un’altra cosa: lì la differenza è tra il foglio rapportabile a quello della lettera, e il cartoncino, tipico della cartolina. E infatti gli inglesi definiscono lettersheet le Mulready e i nostri biglietti postali Siracusana, e lettercard quelli italiani precedenti, che la terminologia postale definiva “in cartoncino” anche quando, per poterli stampare con le rotative, la consistenza dovette essere molto ridotta.
Mi scusi, dottor Vitali, per questa filancica (non avendo altro da fare, mi è scappata). Quello che ho sempre tentato di fare coi miei scritti – studi, cataloghi, articoli, editoriali – è di invitare il collezionista (e magari anche il commerciante) ad evitare la superficialità e l’approssimazione, perché ho sempre pensato che il meglio che possono dare filatelia, storia postale e anche la tematica sia il piacere dell’approfondimento e della sua documentazione: il sapere, e magari l’avere, quello che gli altri non sanno e non hanno, o se l’hanno non sanno apprezzarlo. Ovvero un’esclusiva che batte di gran lunga qualità e rarità. Come mi fece capire, alle mie prime esperienze in campo filatelico-letterario. Alessandro Glaray, forse il massimo esperto (vero) della storia postale di San Marino: la cui collezione mostrava lettere, cartoline ecc. in ordine strettamente cronologico, consentendogli questo sistema molto originale e insolito alcune valutazioni altrimenti impossibili a farsi.
GIANNI VITALE - email del 7 agosto 2018:
“Un buon allievo deve saper ascoltare. Un buon maestro deve trasmettere conoscenza e curiosità.
Gianni VitalE
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