Ho pubblicato gli interventi di Maurizio Bortolin e di Sebastiano Cilio nonché, da ultimo, quello di Lorenzo Carra (vedi: gli Editoriali). Ciascuno ha manifestato ed argomentato le proprie ragioni: Maurizio Bortolin, collezionista, lamenta che i Cataloghi esprimono prezzi eccessivamente elevati rispetto a quelli di mercato; Sebastiano Cilio, Presidente dell’A.N.P.F., lamenta e dichiara che l’Unificato ha adeguato al ribasso le valutazione espresse nel suo Catalogo, ma, nonostante questo, non ravvisa alcun apprezzamento sull’iniziativa adottata constatando che il Catalogo viene giudicato alla stessa stregua degli altri.
Entrambi, consumatore e commerciante, nell’ambito dei loro interessi di genere patrocinano le loro ragioni. Io però non intendo spendere tempo e nemmeno soffermarmi nel ricercare un colpevole cui addebitare il marcato calo di interesse per la filatelia, in quanto, personalmente, non escludo l’ipotesi che probabilmente i fruttini Althea siano giunti al termine del loro glorioso ciclo e quindi la filatelia, stia cambiando il suo volto, cogliendo noi impreparati a scoprire ed individuare il nuovo con il quale essa si presenta: siamo connessi solo al vecchio e notorio conosciuto e cerchiamo di assicurargli perenne continuità.
Premesso che il Catalogo non è la Bibbia del collezionista, soffermiamoci invece sulla definizione di Catalogo mutuandola dall’Accademia Italiana di Storia Postale e Filatelia: “Catalogo. Termine filatelico per indicare un volume con l’elenco cronologico-pratico di carte-valori postali e/o bolli postali, con illustrazioni dei vari tipi, sintetiche descrizioni e quasi sempre le relative valutazioni commerciali. ... Malgrado alcuni tentativi di cataloghi svincolati da interessi commerciali – ... – la maggior parte dei cataloghi è più o meno apertamente legato a operatori del settore, così che catalogazioni e quotazioni in qualche caso vanno opportunamente ponderate”.
Il Catalogo è quindi in primo luogo “un elenco cronologico-pratico”, cioè “mette in fila” e numera i francobolli. A tal proposito ho riscontrato che, (affermazione valida fino a comprovata smentita) ciascun catalogo numera i francobolli secondo una propria metodica, pur intuendone la possibile ragione mi chiedo: perché non viene adottata un’unica numerazione da parte dei cataloghi italiani? Certamente non mancherà una fonte giuridica che possa dirigere la scelta da prediligere… sarebbe davvero necessario incontrarsi, condividere e concordare un’unica linea!
In secondo luogo, proseguendo ancora: “…la maggior parte dei cataloghi è più o meno apertamente legato a operatori del settore”: limpida ed innegabile verità! I Cataloghi, se non sono svincolati da interessi commerciali, hanno la funzione di “offerte di vendita”. Cosa significa? Significa che il prezzo è oggetto di contrattazione tra il venditore e l’acquirente consumatore. Quest’ultimo confronterà i prezzi di offerta, pondererà il valore di quel bene, commisurandolo alla soddisfazione che potrà derivargliene dal possederlo e, avvalendosi della sua forza contrattuale, negozierà.
Quindi il prezzo di Catalogo è indicativo per un negoziato che porteranno avanti i due attori, con interessi e bisogni diversi tra loro. Non deve turbare il dover contrattare: commercianti e consumatori esercitano l’arte quotidianamente, il prezzo offerto e domandato è condizionato da molteplici fattori: per il commerciante il prezzo d’acquisto, le spese sostenute per l’attività ed altro; per l’acquirente … la necessità di soddisfare un proprio bisogno, onorando però la propria capacità economica.
Occorre ricordare i concetti di bene e di bisogno.
L’oggetto che ci occupa tende a soddisfare un bisogno secondario, quindi non necessario per la sopravvivenza e la vita della persona, e la scelta ottima dell’acquirente ha luogo quando il saggio marginale di sostituzione eguaglia il rapporto fra i prezzi dei beni, compatibilmente con il vincolo di bilancio del consumatore. Pertanto, il prezzo dell’offerta e quello della domanda dipendono da fattori dissimili che, impropriamente, definirei “della persona”.
Nulla di scandaloso quindi se, uno stesso bene “filatelico”, è trattato nello stesso mercato e nello stesso momento a prezzi diversi.
Ogni volta che si realizza uno scambio, denaro contro bene filatelico, si ha la presenza di un mercato.
Ovviamente, la realizzazione di uno scambio presuppone che i prezzi di riserva di acquirente e venditore siano in un punto identici, dando vita al prezzo di mercato. Se nel mercato è presente un solo offerente, o un solo acquirente, il mercato è detto in monopolio (di offerta o domanda); se sono presenti pochi operatori e quindi si realizzano pochi scambi, il mercato è definito sottile. Ovviamente, il prezzo di un bene che si è formato in un mercato sottile è soggetto a variare nello spazio e nel tempo. Infatti, per avere dei prezzi meno volatili è importante avere un gran numero di scambi effettuati da tanti differenti operatori.
Per cercare di raccogliere il maggior numero di operatori in acquisto e in vendita, vengono organizzate le aste. Come decidono il proprio prezzo di riserva acquirente e venditore? Sulla base delle informazioni che hanno sul bene oggetto di scambio. Il prezzo presente su un catalogo è senz’altro un’informazione che può essere interpretato in modi molto differenti. Può essere l’indicazione di un prezzo storico formatosi in un preciso mercato in un dato momento; può essere il prezzo medio di tutti gli scambi avvenuti in un determinato periodo di tempo; può essere, infine, l’auspicio di chi sta scrivendo quel prezzo.
In conclusione, pur potendo influenzare l’informazione su cui compratore e venditore formano i propri prezzi di riserva, il prezzo di mercato resta distinto e separato dal prezzo presente in un catalogo. D’altra parte, se tanti venditori volessero contemporaneamente vendere lo stesso bene e fosse presente un solo acquirente disposto ad acquistare un solo bene, il prezzo di mercato crollerebbe, con buona pace del prezzo presente nel catalogo.
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