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Anch’io provo a dire la mia

di Lorenzo CARRA (FRPSL, AIFSP)


Storie di Posta, la prestigiosa rivista dell’Accademia Italiana di Filatelia e Storia Postale edita da Cif/UNIFICATO offre sempre notizie, studi, approfondimenti per un lettore attento ed appassionato di francobolli e di storia della posta e delle comunicazioni. Vi invito in particolare a leggere il volume 17 del maggio 2018 (la rivista è semestrale), dove, raggruppati sotto Il punto e la virgola, potete trovare anche tre interessanti interventi di colleghi che ancora una volta mi hanno fatto pensare (e di questo li ringrazio molto) e mi hanno portato a dare in qualche modo a loro risposta. Nessun intendimento critico o polemico il mio.
Semplicemente vorrei esprimere la mia opinione ed aprire anche con voi che mi leggete una discussione pacata ed aperta sullo stato attuale della Filatelia.

Il primo spunto mi è stato dato da

Filatelia al mercato di Franco Filanci

al quale direi sì, “l’interesse del mercato è vendere, vendere, vendere” e se il mercato trova un “pollastrone” lo ingozza e lo spenna più che può. E anche i collezionisti sono diventati “mercato-dipendenti”, anzi lo sono sempre stati, perché a nessuno piace buttare soldi al vento, soprattutto quando son pochi e sudati. Quindi pensare che i collezionisti dovrebbero tenersi fuori da “svianti condizionamenti di natura mercantile” è cosa bella e nobile, ma purtroppo illusoria. È utopia pensare che “una collezione tradizionale o l’altra storico-postale di Toscana devono essere sullo stesso piano …con Repubblica post-1970 o di una tematica sulle farfalle”. Vero è che “sovente sono molto più facili a trovarsi” le costosissime “meraviglie” classiche (basta avere “un bel conto in banca”) invece “di tanti valori del Novecento o odierni ...usati per scopi non filatelici”. Bene, in ogni caso, che nella pubblicazione ideata e realizzata dall’Accademia Italiana di Filatelia e Storia Postale si trattino “tutti i possibili campi collezionistici, anche i più inconsueti e poco frequentati” non parlando “mai di rarità…anche quando si presentano pezzi unici, preferendo specificare le peculiarità che li rendono significativi e …degni di essere collezionati” e si inviti il collezionista ad agire “in base alle sue possibilità e alla sua intelligenza”.

Molto intrigante è il pezzo Scrivere e perché di Rosalba Pigini

Tema difficile, molto difficile, cara Rosalba! E Orwell, Bloch, Saviano, Pieracci Harwell, Proust, Calvino, Eco, de Goumont, Renard e altri da te citati possono aiutarci a capire, ma non possono rispondere al perché. Perché i perché sono tanti e probabilmente ognuno ha il suo o i suoi. Qualcuno perché “ha piacere di farlo”, perché “attraverso la parola scritta si possono trasmettere emozioni, evocare immagini, condividere emozioni o dubbi”. Qualcuno scrive “per mantenere la memoria del passato e trasmetterla ai posteri”, altri “per insegnare, per trasmettere conoscenza e risultati di studi e ricerche”, per comunicare scoperte e, visto, come ho sentito più volte dire da Alberto Bolaffi, che l’uomo, differentemente dalle bestie, ha una mente e capacità accumulative, quanto scritto agevola il raggiungimento di nuovi risultati. “Si scrive per raccontare storie: vere o inventate, verosimili o fantastiche, rigorose o irrazionali” e si spera “di riuscire con le parole a mutare la realtà, a cambiare il mondo”.
Però, come tu scrivi, serve “la presenza attiva e collaborativa del lettore” ed è questa una montagna ancora più difficile da scalare. Come farlo? Che scuole ci sono? Quali maestri o insegnanti? Di quali attrezzi munirci? Che penna e che inchiostro usare? E poi, scrittori si nasce o si diventa?
Altri punti interrogativi, altre domande.
Alle quali, anche qui, non penso vi possano essere risposte per tutti. Ognuno potrebbe darci la sua ricetta, indicarci i suoi metodi, spiegarci come ci ha provato, i risultati (se ci son stati) ottenuti e, se ne avrà la forza, anche i suoi dubbi ed i suoi errori. Per tanti sarà un discorso molto personale, difficilmente adattabile ad altri soggetti perché che tutti siamo uguali è una utopia, un ideale etico-politico irrealizzabile. Anch’io mi sono interrogato ed ho cercato di darmi una risposta. Non so se ci sono riuscito.
E poi perché rendere pubblici questi miei tentativi? Perché disarmarmi, perché togliermi la mia corazza, perché mostrarmi nudo? Perché farlo sapendo che forse avrei solo da perderci? L’istinto (o l’ingenuità) mi portano a rispondere: perché non ho nulla da nascondere, perché non posso non farlo, perché sento il bisogno di farlo, perché è mio dovere farlo.
È il mio ego o il mio egoismo che mi induce? O l’imprinting, l’educazione che mi è stata data? Deriva da ciò la responsabilità che sento di dovermi assumere? O è la volontà di lasciare traccia di sé e delle persone che ti sono state care e che vorresti far conoscere e ricordare agli altri?
Probabilmente tutto ciò, dosato e miscelato. Bene o male non lo so. Lascio a voi giudicare.
Certo nei miei scritti, anche in qualche mio studio che qualcuno ha giudicato “scientifico”, mi scappa, mi viene spontaneo (o cerco di proposito?) inserire riferimenti o ricordi personali. Per me è come dare colore ad un quadro, una pennellata che ravviva, vivacizza una pagina forse grigia. Spesso il lettore è più attratto dall’episodio personale raccontato o solo accennato che da quanto scritto. Penso occorra cercare di attivare la sua curiosità e forse il lettore gradisce maggiormente sapere dello scrittore più di quanto è scritto. E quella frase “galeotta” è forse un modo per entrare in un collegamento più diretto con il lettore, un’apertura che ti scopre, ma che ti avvicina al lettore, che lo rende più partecipe ed attiva con lui una sorta di complicità.
Naturalmente tutto questo senza trascurare il rigore e l’indispensabilità di una ricerca scientifica basata sui documenti. Professionalmente ho sempre ritenuto che fosse una necessità mostrare conoscenza, dimostrare le proprie affermazioni e non far promesse al vento. Non mi son mai proposto, anzi ho rifiutato, di fare il politico e di ricercare voti. Non ho mai ambito a cariche od onorificenze, preferisco avere incarichi ed impegnarmi in cose in cui credo e che sento di poter realizzare. E vi assicuro che, se lavori bene e intensamente, le soddisfazioni non possono mancare, con o senza riconoscimenti ufficiali, che il più delle volte sono solo adulazioni o “leccature” postume. Tutto ciò ti rafforza e ti fa capire che puoi osare di più.
Certe soddisfazioni sono meglio di certe droghe (che non ho mai provato) e più durature di tanti orgasmi, soprattutto ad una certa età.

Terzo, ma non ultimo visto che il titolo è Il Futuro è nel Passato di Francesco Giuliani

Anche questo è uno degli articoli che mi piacciono perché mi fanno pensare e meditare. Naturalmente non si parla di archeologia, uno studio che mi ha appassionato fin da bambino, ma di filatelia e si fa un bel racconto dove noi che abbiamo i capelli bianchi ci troviamo a meraviglia e gongoliamo nel sentire che i francobolli continueranno ad esistere. E, alla fine, dopo che Poste, Federazione e C. hanno provato in tutti i modi e senza riuscirci, ad avvicinare i giovani, si vuole cercare di riconquistare quelli che non lo sono più. Perché noi andando alla ricerca di francobolli esotici o di paesi strani andremmo un po’, come scrisse Marcel Proust Alla ricerca del tempo perduto, ricordando le pagine di Salgari e di Verne. E come ci spostavamo con la geografia, andavamo indietro con la storia ed eravamo affascinati dai francobolli degli Antichi Stati e attratti dagli alti valori delle belle serie del Ventennio che non avevamo mai visto o avuto la fortuna di trovare sulle buste delle lettere che riuscivamo a farci regalare da nonni, parenti o conoscenti. Allora era facile collezionare francobolli: ogni ditta, ogni famiglia, anche la più umile, riceveva e conservava lettere e cartoline. Provateci ora! Sarebbe come andare a pescare nel deserto.
Con questo l’idea di andare nel Passato non è sballata e da scartare, anzi è un po’ quanto anch’io ho sempre sostenuto. Ed è anche una partita più facile da giocare, in un terreno più favorevole, col campo già predisposto, più fertile, economicamente molto più ricco, già abituato ai francobolli. Però, però... che le nostre Poste con i loro francobolli o prodotti filatelici riescano a convincere gente non di primo pelo lo dubito molto.
D’accordo rivolgersi a persone mature e di una certa età, ma occorre andare nel Passato anche in un altro modo offrendo prodotti adatti e di gradimento, puntando sulla filatelia vera e sulla storia postale. Quindi sulla filatelia antiquariale o specializzata, non necessariamente antica, e su francobolli nuovi od usati per la loro funzione, non sulle figurine dentellate o senza valore che non si riesce a capire a cosa servano.
In questo caso forse non potrebbe essere “mamma Posta” a portare avanti questa iniziativa, ma dovrebbero essere i commercianti. Non vedo chi altro al loro posto. Però li vedete concordi nell’intraprendere e finanziare queste azioni pubblicitarie? Ne comprenderanno l’indispensabilità ? Ne saranno capaci sapendo che non vi saranno incassi certi e immediati? Ne dubito, ma ci spero molto, perché sta anche in loro il futuro della Filatelia.