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Custodi della nostra Storia


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Un giorno in Pretura:
la sentenza Salvatore Ciuffreda

Claudio Ernesto Manzati
(Il Francobollo Incatenato n. 302 - genn/2020)

Della brutta vicenda dell’amico Salvatore Ciuffreda (C.S.) di Foggia, vi avevamo parlato nel numero de “Il Francobollo Incatenato” di novembre u.s.,

Questa storia ha avuto iniziò il 4 ottobre 2017 e fortunatamente ha avuto un lieto fine dal punto di vista giudiziario il 29 novembre u.s.. A Salvatore ho prestato aiuto in questi anni con il supporto a distanza dell’Avv.to Andrea Valentinotti e l’aiuto fornito dal Sen. Carlo Giovanardi e dagli amici del Gruppo di Modena.

Rimane il disagio che Salvatore e la sua famiglia hanno subito in questi due anni, i gravi problemi di salute che lo hanno minato lasciandolo anche menomato. Fortunatamente i Dirigenti dell’INPS di Foggia dove lavora come Funzionario, hanno creduto sin da subito nella correttezza della persona e nella sua innocenza evitando che l’Amministrazione potesse anche doverlo sospendere dal servizio e/o licenziarlo.

Salvatore mi ha informato telefonicamente dell’assoluzione con formula piena “Perché il fatto non sussiste” nel pomeriggio del 29 novembre u.s. mentre mi trovavo a Monacophil 2019, questa telefonata è stata di grande gioia per il nostro amico e socio del CIFO e rappresenta, come poi segnalato dall’Avv.to Massimiliano Mari, una pietra miliare nella giurisprudenza, una sorta di spartiacque tra il prima e quello che potrà avvenire da ora in avanti.

Dobbiamo attendere le motivazioni della sentenza, ma risulta evidente che il possesso di materiale postale con l’indicazione di un comune o di una amministrazione pubblica precedente al 1942, purchè non in presenza di una denuncia circostanziata di furto, non è di proprietà demaniale ed il possesso è del tutto legittimo. Vi rimando alla pagina seguente, dove l’Avv.to Massimiliano Mari da un ampio riscontro dal punto di vista legale della vicenda.

Alcune considerazioni sul caso Ciuffreda Salvatore
Avv.to Massimiliano Mari 

Il sig. C.S., da me assistito, veniva condannato nel 2018 con decreto penale di condanna emesso dal G.i.p. presso il Tribunale di Foggia, su conforme richiesta della locale Procura della Repubblica, per il reato di cui all’art. 648 comma 2 c.p..

Secondo la prospettazione accusatoria C.S. avrebbe acquistato e detenuto, con la consapevolezza della loro provenienza delittuosa, numerose (circa 360) lettere manoscritte e/o dattiloscritte su cui erano impressi timbri in umido con classificazioni archivistiche di vari comuni ed uffici pubblici d’Italia del sec. XIX- XX, al fine di procurarsi un profitto.

Tali documenti, i quali venivano, per altro, sequestrati dai Carabinieri, erano stati acquistati dal C.S., appassionato di filatelia e collezionista sin da bambino, sul noto portale eBay ed in parte erano stati dallo stesso rimessi in vendita, sul medesimo portale.

Al sequestro si giungeva a seguito della segnalazione fatta da un solerte impiegato della Biblioteca - Direzione Comunicazione Istituzionale dell’Assemblea Regionale di Torino, alla Soprintendenza Archivistica dell’Umbria e delle Marche, con la quale si portava a conoscenza della stessa la pubblicazione di annunci aventi ad oggetto la vendita di documenti di (presunto) interesse storico – archivistico, in quanto recanti i timbri in umido di uffici pubblici, in particolare del Comune di Arcevia, in provincia di Ancona, risalenti al XIX e XX sec..

A sua volta la Soprintendenza Archivistica dell’Umbria e delle Marche delegava il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, Nucleo di Ancona, per l’espletamento delle opportune attività di indagine che portavano al sequestro dei documenti di cui al capo di imputazione, effettuato materialmente dal Nucleo Carabinieri di Bari, territorialmente competente, presso l’abitazione del C.F., individuato come l’autore degli annunci e detentore del materiale di presunta provenienza illecita.

Avverso il decreto penale di condanna emesso dal G.i.p. veniva proposta tempestiva opposizione allo scopo di dimostrare, attraverso la celebrazione del processo, la insussistenza della fattispecie delittuosa contestata sia sotto il profilo dell’elemento oggettivo (ricezione del materiale di provenienza illecita) sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo (consapevolezza della provenienza illecita dei materiale).

Nel corso del giudizio, celebrato con rito ordinario, innanzi al Tribunale di Foggia, in composizione monocratica, venivano ascoltati i Carabinieri del Nucleo di Ancona, che avevano coordinato le indagini, i Carabinieri del Nucleo di Bari, che avevano eseguito il sequestro del materiale, veniva acquisita la relazione della consulente della Procura, in servizio presso la Soprintendenza Archivistica dell’Umbria e delle Marche, che sostanzialmente si limitava a descrivere i documenti in sequestro, veniva ascoltato l’imputato, che spiegava di aver agito in assoluta buona fede, nella convinzione che i documenti acquistati non fossero di provenienza

illecita, veniva escussa la moglie dell’imputato, la quale confermava quanto già riferito dal marito, infine, venivano ascoltati i consulenti della difesa nella persona del Dott. Claudio Ernesto Manzati e Vicario Carlo, le cui dichiarazioni, estremamente chiare e puntuali, consentivano di fugare ogni dubbio in merito alla liceità della detenzione dei documenti in sequestro.

Terminata l’assunzione delle prove si procedeva alla discussione nel corso della quale, ponendo l’accento sulle risultanze dell’attività istruttoria espletata, si evidenziava come la formulazione dell’accusa elevata nei confronti del C.S. , per i motivi che si illustreranno di seguito, fosse frutto di un equivoco di fondo.

L’impressione è che la stessa si basasse sull’assunto che i documenti, per il fatto stesso di provenire da un Ufficio pubblico (nello specifico il Comune), di cui recavano i timbri in umido, fossero di proprietà pubblica, avessero carattere demaniale e, come tali, fossero inalienabili e, dunque, sottratti alla libera circolazione.

Da tale assunto conseguiva, come logico corollario, che nel momento in cui il privato cittadino avesse conseguito la disponibilità di un documento siffatto, se ne doveva necessariamente arguire che lo stesso lo avesse acquistato o ricevuto in maniera illecita, perché sottratto da un pubblico archivio.

Tale assunto, tuttavia, risulta erroneo e fuorviante. Il timbro in umido presente sui reperti è il timbro che il comune apponeva sulla corrispondenza (spesso per beneficiare della tariffa ridotta) o, più in generale, sui documenti in entrata ed in uscita.

Dalla mera presenza del timbro non si può ricavare, per ciò stesso, la prova del carattere demaniale del documento.

Deve osservarsi, per altro, che la definizione di bene demaniale veniva introdotta per la prima volta con la entrata in vigore del Codice Civile, nel 1942.

In base a tale definizione, tra i beni demaniali, rientravano, tra gli altri, le raccolte contenute negli archivi dello Stato e degli altri enti territoriali (art 822 e 824).

A partire dal 1942, pertanto, tutti i documenti facenti parte di raccolte contenute negli archivi dello Stato e dei Comuni erano da considerarsi beni demaniali e come tali inalienabili, se non a determinate condizioni, ossia nei limiti e nelle forme previste dalla legge (art. 823).

Il problema si pone per il periodo precedente all’entrata in vigore del codice, durante il quale non vi era una definizione precisa ed univoca di bene demaniale.

Non c’era un criterio che consentisse di stabilire quali documenti dovevano essere conservati nell’archivio (storico) degli enti e quali no.

Ogni ente poteva decidere liberamente quali documenti conservare nell’ archivio (storico) dopo la normale vita dell’atto.

Non è un caso che, proprio per mettere ordine nella materia e di individuare criteri di valutazione uniformi, nel Novembre del 2012, l’Ufficio Legislativo del Ministero dei Beni Culturali emetteva una nota il cui scopo era quello di chiarire quali documenti potessero rientrare nella categoria dei beni demaniali ed in quanto tali dovessero essere sottratti alla libera circolazione.

Tendenzialmente, si tratta di documenti che per la loro natura o rilevanza presuppongono un interesse storico alla permanenza della loro conservazione negli archivi.

Ciò che più importa sottolineare, in questa sede, è che la nota afferma il principio secondo il quale, prima della entrata in vigore del codice civile, non tutti i documenti contenuti negli archivi pubblici e, più in generale, non tutti i documenti provenienti dall’ente pubblico, sono da considerarsi demaniali e come tali inalienabili, rimarcando come il concetto di demanialità veniva introdotto solo nel 1942.

Tutti i documenti (in entrata e in uscita) venivano, per così dire, protocollati dall’ente ma non tutti venivano poi conservati nell’archivio (storico).

Un conto è la protocollazione e la successiva conservazione presso i singoli uffici pubblici (anagrafe, stato civile, leva, etc), un conto è la conservazione – catalogazione nell’archivio (storico), dove venivano custoditi soltanto i documenti rilevanti dal punto di vista storico, culturale ed archivistico.

Poteva accadere allora che il documento o la corrispondenza, su cui venivano apposti i timbri del Comune, una volta protocollati:
- venivano scartati subito, come spesso accadeva, ad esempio, per le buste;
- venivano conservati per il tempo previsto e poi scartati, secondo le procedure del tempo, senza mai essere conservati in un archivio (storico), poiché privi di interesse storico- archivistico;
-venivano, inseriti, conservati e catalogati nell’archivio storico dell’ente in quanto ritenuti di interesse storico- archivistico.

Fuori dall’ipotesi in cui i documenti venivano inseriti nell’archivio storico, in ragione della loro importanza, il materiale cartaceo dell’ente periodicamente veniva dismesso.
Ciò avveniva normalmente attraverso le c.d. procedure di scarto.

Non sempre vi era vi era l’obbligo di distruzione del materiale scartato e, quando c’era, non sempre veniva eseguito in modo rigoroso, ragion per cui i documenti scartati potevano entrare nella disponibilità dei privati cittadini in modo del tutto lecito.

Vi è prova, inoltre, che già a partire dalla metà del ‘800, il materiale contenuto negli archivi comunali era oggetto di pubbliche vendite cui i cittadini potevano partecipare liberamente (vedasi a titolo esemplificativo l’avviso di vendita della Intendenza di Finanza della Provincia di Parma del 1871, prodotto nel corso della causa).

Si aggiunga che negli anni successivi, sin dai primi del ‘900, venivano emessi numerosi decreti regi che, anche per far fronte alla carenza di carta, ordinavano alle amministrazioni locali la cessione in favore della Croce Rossa Italiana del materiale cartaceo contenuto negli archivi di cui non fosse ritenuta necessaria la conservazione.

In tutti questi casi i documenti originariamente contenuti negli uffici comunali e, quindi, recanti i timbri di provenienza dell’ente, potevano circolare liberamente tra privati cittadini e collezionisti.

Alla luce di tali considerazioni, per ritenere che il privato abbia conseguito in modo illecito la disponibilità dei documenti recanti i timbri in umido del Comune di provenienza, incorrendo nel reato di ricettazione, occorre allora dimostrare:
- che nel 1942 i documenti erano conservati negli archivi dello Stato, delle Regioni o dei Comuni, ciò che richiederebbe la loro catalogazione;
- che dopo tale data sono stati sottratti dagli archivi;
- altrimenti, per l’epoca anteriore al 1942, la prova della esistenza di una denuncia dell’ente interessato da cui risulta che il documento è stato effettivamente sottratto dall’archivio storico dell’ente medesimo.

In mancanza, per le ragioni esposte, si deve presumere che il privato abbia conseguito in modo assolutamente lecito il possesso del documento.

Ebbene, nel caso che ha riguardato il C. S., è stato possibile dimostrare, appurata la assenza di qualsivoglia denuncia di furto da parte dell’ufficio interessato, che i documenti rinvenuti nella sua disponibilità non erano di provenienza illecita, trattandosi, per lo più, di corrispondenza intercorsa tra Comuni o tra Comuni e privati cittadini, priva di qualsivoglia rilevanza o interesse storico-archivistico, dal valore economico era assai esiguo, che poteva circolare ed essere detenuta liberamente .

Non a caso il materiale della stessa tipologia di quello sequestrato è venduto liberamente anche sui cataloghi pubblicati da note case d’asta, che, su richiesta della difesa, venivano acquisiti agli atti.

Per completezza, in sede di discussione si rimarcava, altresì, la carenza del dolo del reato di ricettazione, ossia la consapevolezza di ricevere e detenere beni di provenienza delittuosa al fine di trarne profitto, rilevando come il Ciuffreda avesse agito in assoluta buona fede, senza porsi il minimo dubbio circa la provenienza illecita del materiale acquistato e detenuto .

Non a caso, come riferito dal C. S e confermato dalla moglie, era stato lui stesso ad indicare ai C. C. il luogo in cui era custodito il materiale, aveva pubblicato l’annuncio di vendita sul proprio sito, col proprio numero di cellulare, aveva effettuato pagamenti tracciabili mediante bonifico bancario, esibendo le relative ricevute, sapeva che quel materiale era pubblicizzato anche sui cataloghi e sui siti specializzati da cui aveva acquistato in precedenza.

Il Tribunale di Foggia, in composizione monocratica, accogliendo le argomentazioni difensive assolveva il C. S., con formula piena, “perché il fatto non sussiste”, disponendo, nel contempo, la restituzione dei beni in sequestro.

Si tratta di una pronuncia di fondamentale importanza poiché l’utilizzo della formula “il fatto non sussiste”, in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, induce ragionevolmente a ritenere che il Giudice abbia escluso la sussistenza dell’elemento materiale del reato di ricettazione, di tal guisa riconoscendo la liceità dei documenti e la conseguente possibilità di acquistarli, detenerli e venderli liberamente, tanto da disporne la restituzione all’avente diritto.

Ciò che probabilmente consente a tutti coloro che, come il C. S., per passione o per diletto, collezionano e possiedono materiale filatelico della stessa natura, di tirare un sospiro di sollievo.

Ma chi è l'Avv.to Massimiliano Mari?

L’Avv. Mari G. Massimiliano, nasce a Foggia il 13 Marzo 1974 si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Foggia con 110 e lode. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Foggia dal 2003, si è specializzato nella trattazione delle cause penali.

Iscritto all’Albo degli Avvocati Cassazionisti dal 2016 è socio fondatore della Sezione AIGA (Associazione Italiana Giovani Avvocati) di Foggia; è stato sino al 2008 componente del comitato scientifico per la organizzazione di corsi di formazione e aggiornamento professionale.

Presidente ALC (Associazione Legali di Capitanata) sino al 2012 è stato componente del comitato scientifico per la organizzazione di corsi di formazione e aggiornamento professionale.

Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Foggia in carica da Luglio 2019 è inoltre Coordinatore Commissione Giudice di Pace istituita presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Foggia. Il suo studio si trova a Foggia in via Napoli N° 6B, per chi avesse necessità di un supporto legale può scrivere a avv.marimassimiliano@libero.it

Un giorno in Pretura:
chi è Salvatore Ciuffreda?
Claudio Ernesto Manzati
(Il Francobollo Incatenato n. 300 - nov/2019)

Questa storia inizia il 4 ottobre 2017, quando un collezionista di Foggia, già segnalatomi dagli amici del Circolo Filatelico di Bergamo, mi scrive. Riporto qui di seguito il testo della lettera ricevuta a quel tempo..

Egregio Signor Manzati Claudio con questa lettera, volevo portarle a conoscenza la mia brutta vicenda . Mi chiamo Salvatore Ciuffreda ho 42 anni sono un collezionista da oltre 30 anni , la passione mi è stata trasmessa da mio nonno da quando ero bambino . Come noi tutti collezionisti partiamo dalla filatelia per poi specializzarci nella storia postale. Colleziono storia postale da oltre 20 anni, la mia collezione va dalle prefilateliche fino al periodo R.S.I. . Tengo a precisare che la mia collezione è improntata sulla storia postale della Capitanata, raccolgo documenti postali di ogni genere ma senza un interesse del testo.

Nel Luglio 2015 vidi un annuncio sul sito di Ebay, dove un collezionista o pseudo commerciante vendeva dei lotti di storia postale scatole da 3.000 documenti per 200,00 € , io ignaro di ciò di quello che mi stava accadendo, acquistai regolarmente un lotto e successivamente altri 2 lotti, al di fuori dell’asta con trattativa privata, pagandoli con relativo bonifico bancario.

Nel Dicembre 2015, per recuperare un pò di soldi che avevo speso, decisi di vendere alcune lettere tramite il sito di Delcampe, dopo circa 30 giorni mi resi conto di non avere ricevuto nessuna richiesta, decisi di ritarare le mie aste , ignaro di ciò che mi stava accadendo.

Per me quelle lettere derivano dallo scarto dei comuni o di enti pubblici consegnate alla croce rossa per il macero di essi, quindi di libera circolazione o vendita.

Il 19 Febbraio 2016 di buon mattino, circa alle 5.00, veniamo svegliati dai carabinieri del nucleo tutela dei beni di Bari che mi presentano un mandato di perquisizione , con il relativo AVVISO DI GARANZIA.

Dopo l’identificazione mi mostrato delle foto di alcune lettere che avevo inserito sul sito d’asta di Delcampe , chiedendomi dov’erano queste lettere . Io con tranquillità li ho portati nel mio studio, indicando le tre scatole (i 3 lotti acquistati in Ebay). Spiegando loro che avevo fatto l’acquisto dal signor XYZ di Vincenza. I carabinieri dopo aver finito la perquisizione, ed aver prelevato le 3 scatole, mi invitarono a seguirli c/o il comando dei Carabinieri, nel frattempo contattavo il mio legale di fiducia.

All’arrivo in caserma il maresciallo preleva da queste tre scatole circa 300 lettere , banali filatelicamente parlando, affrancature di fine del ‘800 inizi del ‘900 con 2 cent di Umberto, o con 25 cent della floreale; molte di loro erano sovracoperte quindi senza testo, le restanti mi vennero restituite.

Nella loro cernita notavo che prelevano solo lettere da o per il comune di ARCEVIA ed altre lettere che presentavano o un numero di Protocollo o il timbro ovale del comune di spedizione o di ricezione.

Dopo circa 1 anno e mezzo con precisione il 25 Settembre 2017 vengo contattato dal mio avvocato Mari Massimiliano che mi informava che il PM Di Giovanni aveva emesso un decreto di condanna di 4 mesi con la condizionale ed un multa di 10.000 € pena sospesa, ma che veniva confermata su richiesta del GIP Dott. Buccaro Antonio.

Ho spiegato al mio Avv.to che tali lettere non sono beni demaniali; come appariva dalla sentenza, ma scarti di archivio donati alla Croce Rossa.

Lunedì 2 Ottobre 2017 abbiamo presentato opposizione al Decreto di Condanna, e mi sono permesso di prendere contatto con voi, in quanto il mio legale per procedere alla difesa necessita di documentazione in merito o di altre sentenze ma anche di poter disporre di un perito di parte che possa correttamente precisare che non si tratta di bene demaniali ma solo di buste (vuote) o pieghi derivanti da scarti d’archivio. Sicuro e certo di un vostro riscontro porgo distinti saluti.

Salvatore Ciuffreda

PS io di professione sono un funzionario INPS, per legge ho dovuto comunicare alla mia amministrazione di aver ricevuto l’avviso di garanzia ed il relativo decreto di condanna.

 

Dopo questa lettera, ho suggerito all’amico Salvatore di prendere contatto con la Federazione che si era resa disponibile ad assistere vicende come questa. Ho anche indicato il nome di Carlo Vicario come esperto di parte ed ho messo in contatto l’avvocato Mari Massimiliano con l’Avv.to Andrea Valentinotti che nel frattempo stava seguendo vicende giudiziarie simili, mettendo inoltre a disposizione dell’avv.to Mari tutta la documentazione bibliografica fornita dal Gruppo di Modena e scaricabile direttamente dal link http://www.cifo.eu/risorse/il-gruppo-di-modena/bibliografia-storica/.

Il 2 ottobre u.s. era programmata un’udienza presso il tribunale di Foggia, a cui Carlo Vicario ed io eravamo stati convocati come esperti di parte, nel corso dell’udienza abbiamo potuto chiarire al Giudice monocratico ed al Pubblico Ministero, che nel frattempo è cambiato, che i bolli ovali sul fronte delle buste in alto a sinistra erano apposti dai comuni che inoltravano ad altri comuni documenti d’ufficio, quali per esempio certificati di nascita o di leva, e che tale bollo veniva apposto per giustificare la tariffa ridotta per inoltro tra pubblici uffici o se apposto al retro era per indicarne la ricezione.

Inoltre la presenza di tali bolli amministrativi e/o di numeri di protocollo d’ufficio non indicano che il documento postale o la busta sono provenienti da un archivio di stato!
Di sicuro sono stati archiviati per un certo numero di anni presso un archivio di una amministrazione pubblica o di un ente governativo, ma che successivamente è stato “spogliato” dei documenti non necessari o delle semplici buste vuote, come indicato attraverso i massimari ed i regi decreti dell’epoca che ne intimavano lo spoglio.
Lo smaltimento di queste carte doveva avvenire per legge attraverso la donazione alla Croce Rossa che ne disponeva la vendita alle cartiere o ai privati, al fine di finanziarsi.

A precisa domanda del Giudice ho indicato che le buste oggetto del procedimento giudiziario in questione, sono tutte prive di valore significativo e che di queste buste e/o documenti ve ne sono svariati milioni tra tutti i collezionisti e sul mercato.

Ho avuto modo anche di indicare il lavoro sin qui svolto dal gruppo di Modena per cercare di chiarire la situazione paradossale che si è venuta a creare in questi ultimi anni, segnalando anche la Circolare del Dr. Famiglietti.

Purtroppo i Direttori degli Archivi di Stato hanno differenti sensibilità sull’argomento e probabilmente anche una conoscenza limitata dei massimari e dello spoglio obbligatorio che gli enti erano obbligati a promuovere periodicamente; ogni busta (anche se vuota dal contenuto) o documento che reca un bollo amministrativo o un numero di repertorio è considerato di proprietà del demanio anche se questo è stato venduto proprio dallo stato che attraverso i conservatori degli archivi di stato vorrebbero riprenderli.

Un assurdo nei termini che impegna tempo e risorse da parte dell’autorità giudiziaria e delle forze dell’ordine deputate, su indicazioni del Magistrato, ad effettuare la catalogazioni di reperti di nessun valore economico e/o interesse per il patrimonio culturale del nostro paese.

Il procedimento giudiziario è stato aggiornato a data da destinarsi, non possiamo che fare un grosso “in bocca al lupo” a Salvatore