Voglio anch'io aggiungere alcune considerazioni alle numerose voci che da più parti hanno trattato gli stessi argomenti negli ultimi tempi, sperando che esse possano essere recepite "in alto loco" (sempre che "l'alto loco" legga tutti gli scritti di settore pubblicati).
Cominciamo dal principale elemento della nostra passione: il francobollo. Starei per dire "questo sconosciuto" poiché, in circolazione, se ne vedono pochissimi. Per la verità la gente trova non più usuale ricorrere alla lettera e preferisce l'e-mail e i messaggi sui telefonini. Non è questa l'occasione per esaminare il problema, ma certo l'e-mail è più rapida, economica e di sicuro recapito (e, quindi, non esiste la possibilità di concorrenza da parte della lettera tradizionale); i messaggi telefonici, d'altra parte, sono informali, immediati, telegrafici, consentendo quindi di ignorare bellamente la lingua italiana che, però, col tempo, è divenuta aulica e rappresenta meno il "parlare comune".
E', però, lo stesso francobollo ad essere usato sempre più sporadicamente, sostituito da contrassegni di pagamento, sicuramente postali, ma non altrettanto collezionabili. In questo caso, le motivazioni per tale scelta, da parte delle Poste S.p.A., sono tutte da scoprire. Forse la tp label costa meno di un francobollo (ma non credo, basti pensare al costo delle apparecchiature), forse consente un inoltro più rapido della corrispondenza (ma ho forti dubbi in proposito), forse elimina una serie di "errori" (rapporto peso-tassa, importo da controllare, etc.) inevitabili senza la meccanizzazione, forse riduce le fasi di lavorazione (non occorre più il bollo di partenza che è incorporato, nell'etichetta, insieme alla data), ma certo l'affrancatura si è ridotta ad un mero fatto sostanziale, priva cioè di qualsiasi concessione all'estetica.
A questo punto si pone un'ulteriore domanda: a cosa serve la "divisione filatelia" delle Poste s.p.a.? Se l'uso dei francobolli (persino degli ordinari) è divenuto episodico, la stampa di 60.000.000 circa di pezzi, solo commemorativi e per la tariffa "lettere primo porto", nel periodo gennaio – giugno di quest'anno, appare eccessiva. A parte lo scarso assorbimento filatelico, dove si nasconde questa massa cartacea che, certamente, raddoppierà entro l'anno? Nei magazzini del Poligrafico? Nelle casseforti delle agenzie regionali e provinciali? E che fine farà? Le poste italiane si comportano sempre più come quelle del Vaticano o di San Marino, con tutto il rispetto per i due microstati che, almeno, seguono una tradizione, i francobolli li usano, ne emettono in numero contenuto e non hanno certamente colpa se la maggior parte di essi finisce, da nuovi, negli album dei collezionisti.
La "divisione filatelia" delle Poste è accompagnata dalla "divisione corrispondenza e pacchi" e dalla "divisione bancoposta". Anche in esse le novità dell'ultimo periodo sono state notevoli, all'insegna, però, più del risparmio che dell'efficienza. La soppressione di alcune voci del tariffario, quale quella delle "stampe non periodiche", e la crescita abnorme del costo di altre, hanno inciso profondamente sulle possibilità effettive di comunicare. Se io, ad esempio, da non editore, volessi inviare un mio libro, dovrei spendere una consistente cifra, anche utilizzando un pacco "j + 3", [e neanche so, lo giuro, se mi converrebbe]. La soppressione del diritto di "privativa", per molti "oggetti", ha ridotto ancor più l'uso dei francobolli. Per restare nell'ambito dei pacchi, una volta, le ricevute affrancate rimanevano negli archivi ma, prima o poi, finivano sul mercato collezionistico, ora l'intero servizio deve essere svolto senza francobolli.
La bollatura occupa una casistica a parte. Un'aliquota, piuttosto consistente, di lettere e cartoline (naturalmente solo se affrancate) non è bollata in partenza (e in questo modo "italiano" sono nascosti i tempi di recapito più lunghi del dichiarato) e non lo è neppure in arrivo (poiché tale tipo di bollatura non è più previsto). Dio sa quanta posta viene recapitata franca e ciò dimostra che il problema dei "dispacci ordinari" è considerato, tutto sommato, marginale. Si potrebbe dire: "Il bollo …questo sconosciuto". Ho scoperto che i "manuali" sono ormai usati in modo episodico, visto che i megacentri di smistamento, dove avviene il "concentramento", prevedono (quando è effettuata) la bollatura automatica. Tutto ciò può essere spiegato abbastanza semplicemente. La diminuzione costante del personale e lo spostamento di molte unità ai servizi di bancoposta, hanno reso impossibile la bollatura, in partenza e in tempi ragionevoli, del "dispaccio ordinario". Da ciò, l'invio dei sacchi con corrispondenza non bollata ai centri di meccanizzazione, deputati, appunto, sia alla bollatura, sia allo smistamento. Basta però un nulla per far saltare la prima fase con il conseguente recapito, intonso, della corrispondenza. Un'altra ipotesi plausibile si può formulare considerando che l'uso delle tp label esclude ogni bollatura e quindi i centri di meccanizzazione preferiscono "rischiare", piuttosto che perdere tempo, non "postalizzando", di proposito, i "dispacci ordinari". Fin qui poco male, a rimetterci sono solo le Poste S.p.A. Il problema sorge quando qualche "agente" in vena di zelo, non potendo usare il bollo in arrivo, utilizza la penna, rendendo inservibili, in tutti i sensi, i già scarsi francobolli circolanti. Una volta il fenomeno era molto meno frequente, oggi rischia di diventare una prassi consolidata.
Qualche parola sul vecchio c.a.p. Quando le poste distribuivano milioni di copie del "libretto avorio", tutto concordava, anche sui bolli o le targhette. Oggi non più. Iniziarono alcuni uffici in provincia di Salerno alcuni anni fà, all'epoca si disse per errore, che, in una nuova fornitura, recavano uno strano numero nel bollo. Era il "frazionario" di regia memoria che sembrò riesumato per un vezzo. In seguito si è passati ad un suo revival in campo nazionale ed ecco che un numero sempre maggiore di bolli e tutte le targhette di accettazione dei servizi in danaro recano, quale unico numero identificativo, quello frazionario. A dire il vero, a dare il "la" al tutto, era stata l'amministrazione finanziaria che, già negli anni '80, a tergo dei conti correnti di pagamento dell'IRPEF, ILOR, ISI, etc., richiedeva l'indicazione del "numero dell'ufficio" in cui si era effettuato il pagamento, che era proprio lo storico "frazionario". Oggi l'F/24 richiede ben altri e più complessi codici, ma la moda del "frazionario" è rimasta. L'ultima novità è, però, il bollo anonimo ("Poste italiane" e la data), che potrebbe essere la soluzione per molti problemi poiché è usabile, indifferentemente, in partenza e in arrivo, senza che si possano contestare i tempi di recapito. Non so quanto questo nuovo "modo" di bollare o meno la corrispondenza sia "legale", ma tale è certamente l'andazzo e non resta che adeguarsi.
Per quanto riguarda il bancoposta, nulla da dire. La parte postale del servizio è quella che è, la parte valutaria segue ormai, nel bene e nel male, le regole bancarie. La posta, venditrice di prodotti finanziari, mi potrebbe pure stare bene se a tale settore fossero destinate apposite risorse e non si gravasse sui già insufficienti sportelli. Anche l'unificazione delle "code", concepibile in ambito bancario, lo è molto meno in quello postale. Si ha l'impressione che, sovraccarica di incombenze (e sempre più ne assume), la posta voglia penalizzare i vecchi c.c.p. e le altre forme di risparmio tradizionali. Le attese diventano sempre più lunghe e snervanti, alcuni servizi, come i "libretti di risparmio" sono gestiti ancora in modo farraginoso e peggio può capitare con i "buoni postali fruttiferi" che, il più delle volte, mancano nei tagli più richiesti, offrono un interesse irrisorio e sono riscuotibili (e questo è un difetto importato dalle banche) con estrema difficoltà. Resta cioè in vita il principio che, per ricevere, non ci sono problemi, per pagare, è meglio attendere e far attendere. So di combattere una battaglia di retroguardia, odiando la moneta elettronica (e ancor più gli ingiustificati balzelli che gravano su di essa). Sono stato anche educato al risparmio, che oggi, invece, è disincentivato in tutti i modi. Riconvertirsi alla mia età, anche se per lo Stato sono ancora da svezzare, non è facile. Un'ultima piccola annotazione sull'argomento: perché lasciare sulle targhette delle macchine bollatrici dei servizi in danaro il solo, incomprensibile, "frazionario" e tagliare via il nome dell'ufficio? Forse il nome sul bollo, memorizzato e trasmesso ogni volta ai centri principali di bancoposta, occupava un tale spazio da rallentare le operazioni. O, più verosimilmente, se ormai il luogo di partenza di un oggetto postale deve essere sempre meno certo, perché continuare a dare "certezza" proprio ai movimenti di danaro?
Passerò ora ad esaminare il rapporto intercorrente tra le "divisioni" di Poste s.p.a. Una volta l'argomento non si sarebbe neanche posto, oggi, invece, con la "vaticanizzazione" della "divisione filatelica" e lo scollamento dagli altri servizi, si pone in modo grave. Esaminando il tutto dall'esterno, si ha l'impressione di una serie di sottosocietà in concorrenza sfrenata tra loro. La "divisione corrispondenza e pacchi" non vuole, o forse non può, permettersi che la tariffa degli "oggetti" sia pagata con francobolli, soprattutto se "commemorativi", perché ciò significherebbe dover fornire, gratuitamente, un servizio per qualcosa che ha rimpinguato le casse di un'altra "divisione". La cosa è stata già adombrata, ma di ufficiale non c'è nulla. Posso ancora acquistare francobolli "filatelici" (orrore !!!) e con quelli affrancare della generica posta, senza essere punito. Ma tale atteggiamento è ostacolato in tutti i modi. Ad esempio, se oso affrancare una raccomandata, devo assumermene la responsabilità, firmando una minidichiarazione sulla ricevuta; ufficialmente, si dice, per questioni di contabilità, ma la scusa regge poco. Su tutta la questione, mi sembra che un richiamo da parte del ministero, che in ogni caso è l'unico azionista delle Poste, non sarebbe inopportuno. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti i dirigenti che la "divisione filatelia" opera in regime di "guadagno", quella di "corrispondenza e pacchi", ai limiti della convenienza, se non in perdita. Naturalmente, in ogni industria, condotta in modo imprenditoriale, si sa che vi sono dei settori in forte attivo, altri, in perdita, ma non si può né sfruttare sino alla follia quelli in attivo, né costringere i settori in perdita a lottare in modo feroce e ingiusto contro gli altri. Se, nel caso delle Poste, si vuol guadagnare anche dalla "divisione corrispondenza e pacchi" basta ritoccare ancora le tariffe (in modo palese e non subdolo come è avvenuto con l'ex prioritario), ma, dopo quel che si è fatto, ogni aumento sarebbe impopolare. Anche "mungere" i collezionisti e "vaticanizzare" la filatelia italiana è però ingiusto. Uno stato serio (anche se la tendenza è ormai generalizzata), non può ridurre i propri francobolli a figurine inutili, inutilizzabili e inflazionate. Tanto vale non stamparne più. Si ucciderebbe la filatelia, trasformandola in un hobby per persone ricche, curata da antiquari, ma si impedirebbero affermazioni, più volte ripetute, del tipo: "francobollo dalla culla. Quando nascerà sarà una positiva novità". Non è stata affatto una "positiva novità", anzi non è stato un francobollo, perché non è stato in libera vendita e soprattutto non ha affrancato, in modo prevalente, la corrispondenza.
E qui veniamo all'ultima parte del mio scritto: che cos'è la filatelia, oggi? A cosa servono le associazioni e la Federazione? Qual è il ruolo dei commercianti? La filatelia, oggi, è asfittica: ciò che è invisibile e non circola non fa notizia e non suscita interesse in nessuno. Gli sforzi dei vari ministri appaiono inutili e finalizzati al solo momento propositivo. La domanda, perciò, ritorna quella iniziale: dove sono i francobolli? I filatelici devono limitarsi a raccolte di storia postale o di filatelia tematica? E' ormai più piacevole (e facile) raccogliere le "rosse", per restare nell'ambito filatelico, che introvabili francobolli. Io stesso sono stato costretto a contattare un commerciante di Brescia che, all'ultima Veronafil, mi ha potuto procurare, a prezzi decorosi, poco più di 200 francobolli commemorativi, usati su frammento, emessi negli ultimi cinque anni. Il collezionista, oggi, dovrebbe essere, oltre che una persona ricca, anche colta, con tanto tempo a disposizione per leggere, studiare, documentarsi. Le "figurine" invece potrebbero anche interessare, ma solo in una visione popolare dell'hobby che tendesse, quindi, ad accrescere il numero dei collezionisti, non il loro potere di acquisto, e ciò non fa certo piacere ad alcuni commercianti. E cosa possono allora le associazioni in cui i giovani (con meno di 50 anni) s'incontrano molto raramente e le diatribe interne, fomentate dall'età, imperano sovrane? Certo il "libretto Montecitorio" ha avuto il potere di scuotere tutti, ma, proprio in questo caso, la filatelia mi ha dato l'impressione di essere come un pugile suonato che riceve vigorosi pugni "per farlo riprendere". Nelle associazioni si è passato dai mugugni ai sorteggi dei pochi carnet pervenuti dalla Federazione, e poi? Neanche un nuovo socio, tranne, forse, qualcuno che collezionava francobolli da trent'anni e non era mai entrato a far parte del sodalizio. E i commercianti? Quelli tirano il carro per l'altro verso. Sognano un'impossibile e artificiale ripresa, fondata su un salto di qualità dei collezionisti esistenti o propongono, in ambito ministeriale, idee peregrine, con le quali riescono addirittura a prospettare delle statistiche di sviluppo. Come se la gente potesse essere invogliata artificialmente (e senza preventiva preparazione) a seguire un hobby. La Federazione a questo punto, pur strizzando gli occhietti ai commercianti e a Poste italiane (che invece dovrebbero essere interlocutori, spesso schierati in campo avverso), appare persino più seria quando cerca di coinvolgere la scuola per la diffusione della filatelia. Gratta, gratta qualcosa resterà. Ma anche questo è uno sforzo destinato a fallire se l'"immagine" delle componenti istituzionali non riacquisterà serietà e se il francobollo, tanto propagandato a scuola, resterà invisibile a casa. O forse si pensa che i monitori riusciranno ad appassionare l'uditorio con le tp label o con la posta massiva? Intanto, anche alcuni esercizi commerciali chiudono, nonostante la diversificazione dell'offerta (leggi: filatelia, numismatica, schede telefoniche, via card e persino tappi di spumante). Dov'è finita l'opera di propaganda, quella si meritoria e mirata, che, negli anni '80, quando non vi erano gli esperti di marketing, rese visibile la filatelia persino nelle edicole?
A questo punto penso di aver detto quasi tutto.
Secondo il mio modesto parere solo dando visibilità al francobollo, invogliando la gente a scrivere e ad usarlo in ogni occasione e propagandandolo nelle scuole, si potrà sperare in un ricambio fisiologico tra i filatelisti e forse in una ripresa. Le altre soluzioni non sortiranno alcun effetto, tranne quello di allontanare i pochi rimasti.
Solo se il ministero, dopo aver ridotto le emissioni (e quindi il costo), sarà in grado di coordinare e disciplinare, al di sopra delle parti, le opzioni delle Poste s.p.a., anche con direttive precise e vincolanti (starei per dire, da padrone lungimirante), la filatelia potrà avere un avvenire.
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