E una novità con multi firma peritale.
L’operato ed il comportamento dei periti filatelici attualmente è spesso messo in discussione. Vi è il problema delle certificazioni e delle garanzie, che tanto sono indispensabili a noi collezionisti, soprattutto in questo periodo difficile non soltanto per la situazione economica e finanziaria generale.
Chi si trova nella necessità di doversi privare di singoli pezzi o dell’intera sua collezione di francobolli, oltre alle grandi difficoltà a trovare un compratore (privato o commerciante che sia), deve purtroppo constatare che vi è grande incertezza e molta confusione a definirne il giusto valore perché, occorre valutare la qualità, che, soprattutto in filatelia, è un’importante componente del prezzo. Ora non intendo entrare in questo tipo di valutazione perché mi perderei, avendo ognuno di noi i propri gusti e di conseguenza un metro di giudizio diverso, però un punto fermo comune lo dobbiamo avere: quando si va a vendere od acquistare qualcosa occorre almeno la certezza che sia vero o falso, buono o non buono.
Per questo, ancora più di cento anni fa, i maggiori esperti iniziarono a fare dichiarazioni che esprimevano il loro parere (che per l’autorità da cui proveniva era spesso un giudizio) sulla originalità e bontà del pezzo. Poi arrivarono a certificarlo, qualche commerciante anche a garantirlo, impegnandosi persino a ricomprarlo.
Poi le cose in filatelia si sono molto complicate (linguella, centratura, fotocopie laser) arrivando ad un punto tale che gli stessi commercianti, riuniti nell’A.F.I.P. (Associazione Filatelisti Italiani Professionisti), dopo varie, indispensabili, discussioni, hanno introdotto un Codice deontologico che dovrebbe tutelare maggiormente i collezionisti, curando contemporaneamente gli interessi degli associati e dell’associazione stessa.
In un recente lungo articolo apparso sul numero 10 de L’Arte del Francobollo, Egidio Caffaz, noto perito filatelico di Padova, approfondisce ed allarga le varie problematiche delle certificazioni, cercando di delineare un ideale modus operandi per chi fosse richiesto di fornire (a pagamento) la propria opinione.
Vista l’importanza che riveste il certificato peritale nelle operazioni di compravendita, anche alcuni collezionisti, riuniti in associazione, mesi fa
hanno invitato i periti ad un comportamento più lineare e corretto, sottoponendo una proposta, a mio avviso molto giuridica ma anche pratica, che però, apparentemente, non ha prodotto risultati significativi, non essendosi notate reazioni, discussioni o polemiche.
A riprova però che il settore dei periti è in movimento, da poco è nata una nuova associazione, quella dei Periti Filatelici Italiani Professionisti (APFIP) che riunisce i periti “storici” italiani e dalla quale molto ci si aspetta. Staremo a vedere, ma soprattutto cercheremo di capire meglio i loro intenti e obiettivi.
Comunque tutto questo “movimento” non è stato certo causato solo dalle varie problematiche o prese di posizione, ma ritengo sia nato per la “spartizione della torta” che se, in questi tempi di crisi, si è ristretta, è ancora abbastanza ricca ed attrae ancora tanti che ne pretendono fette più numerose e consistenti.
A parte la necessaria esistenza delle associazioni di categoria, mi domando come si possa fornire autorevolezza al ruolo peritale, quali specifiche regole deontologiche fissare, come farne funzionare gli organi (e questo dipende molto da chi ne fa parte), quali problematiche affrontare per prime? Vorrei poi vedere se, nei casi più gravi, si arriverà a “sbattere fuori” qualcuno che si dimostrasse poco capace o, soprattutto, poco onesto. Ecco l’onestà, oltre la capacità e la conoscenza, dovrebbe essere alla base dell’attività del perito (non solo filatelico), ma spesso vediamo che anche magistrati di lunga e ufficialmente onorata carriera si fanno pescare con le dita nella marmellata!
E che l’attività del perito possa essere sottoposta alla vigilanza di una commissione mi fa venire in mente qualcuno che assimilava le commissioni alle “grandi insabbiatrici” (molte attive anche dopo la Prima Repubblica). Quanto poi ai criteri adottati dalle Camere di Commercio per l’iscrizione al ruolo di perito, meglio lasciar perdere!
E’ poi almeno opportuno, visto che nessuno può sapere tutto di tutto in un campo così vasto come quello della Filatelia e della Storia Postale, che si definiscano e si limitino i settori di attività dei singoli periti. Questo l’Association Internationale des Experts en Philatélie lo fa già e da più di 50 anni. Forse per questo, ma anche per altro, diversi periti italiani non sono mai riusciti ad entrare nell’AIEP.
Diversamente dall’opinione di alcuni, per me la formula “a mio parere” usata dai periti nei loro certificati, è adatta in quanto rispecchia un dato di fatto: quella espressa è un’opinione. Tutto sta nella bontà, validità e veridicità dell’opinione espressa e scritta. Questo è il punto essenziale: se qualcuno, “a suo parere”, scrive cose che risultano inesatte, errate, o peggio false, basterebbe, una volta dimostrato e fatto capire ciò, una volta attese invano la rettifica e la sistemazione della cosa, rendere di pubblico dominio il non corretto certificato. In tal modo quel parere non sarebbe più credibile e quel perito perirebbe professionalmente, soprattutto se reitererà nell’errore.
Non sottovalutiamo l’importanza di quest’arma in possesso dei singoli collezionisti, dei vari circoli, delle associazioni dei commercianti e, soprattutto, di quella dei periti: anche solo minacciarne l’uso potrebbe indurre certe persone a comportarsi diversamente. Per esperienza so che alcuni “inesperti” potrebbero coprirsi a vicenda e che talvolta per rendere più autorevole un parere tenterebbero di farlo avallare da un collega nell’intento di renderlo inattaccabile coll’errata pretesa che due pareri diano una verità. Però il francobollo, il documento, se non è buono, non è buono, questo nemmeno se fossero dieci periti a certificarlo.
Chiaramente occorre arrivare a dimostrare che non è buono e non sempre ciò è difficile. Oltre a quelle tecniche e tariffarie, basterebbe una piccola prova come quella che ho fatto qualche anno fa con alcuni commercianti. Oggetto della discussione era una certa lettera, certificata molti anni prima da un noto, grande perito, supportato in tempi vicini da un secondo perito, altrettanto conosciuto. Alla lettera, a parere mio e dei tre commercianti, erano stati sostituiti dei francobolli. Nell’occasione quei commercianti avevano provato a portare avanti il discorso che un pezzo noto, famoso, storicamente certificato, di filatelicamente nobile discendenza, deve essere accettato in ogni caso, anche se non è buono (continuo ad usare questo termine generico perché ritengo sia il più semplice e omnicomprensibile). Alla mia domanda se, consapevoli di ciò, l’avrebbero venduto basandosi su quanto (erroneamente per la vecchia perizia e peggio per la seconda) scritto sui certificati, in coro risposero: sì. E, nelle stesse condizioni, l’avrebbero acquistato? Sempre in coro, questa volta con certi sorrisi, mi risposero ancora più prontamente: no! Quindi il certificato “disonesto”serve, certe volte, a portare avanti il gioco del cerino. Il fatto è che spesso il cerino è nelle mani del collezionista che è stato indotto dal certificato a credere che quanto conserva gelosamente sia un candelabro, d’oro per giunta! E, in questi casi chi dovrebbe rispondere? Il 2 maggio 2011 l’A.F.I.P., nel suo
comunicato stampa n. 6, ha sostanzialmente chiarito che risponde il commerciante. Questa è stata un’importante presa di posizione perché, chiaramente, offre maggior tutela al collezionista e nel contempo induce il commerciante a trattare materiali periziati correttamente per evitare di dover rispondere anche di errori del perito. Questa sorveglianza, al contrario della combine col perito, dovrebbe estendersi anche alle associazioni dei commercianti verso quelle dei periti e questo non dovrebbe essere difficile visto che parecchi commercianti ne sanno anche di più di tanti periti. Così il collezionista sarebbe più tutelato, e lo dovrebbe essere anche nel caso estremo che, non rispondendo il commerciante (per varie cause – inutile elencarle- ma anche i commercianti sono dei mortali), ne risponderebbe un’associazione di commercianti solidalmente con un’associazione di periti. E questo anche dopo anni, anche se il certificato e il francobollo fossero nelle mani degli eredi del collezionista, anche se non si potesse rintracciare od arrivare a sapere il venditore. Qualcuno potrà obiettare che quest’ultimo avrebbe potuto non essere un commerciante, ma anche in questo caso, la colpa del perito che ha redatto il certificato errato sarebbe evidente e dimostrabile. Chiaramente ogni associazione si dovrebbe munire di adeguati strumenti ed organi di controllo e soprattutto di forme assicurative: questo accade già in altri Paesi. Certo tutto avrà un costo, ma penso che i commercianti, periti e collezionisti siano disposti ( e debbano) convertire gli attuali ricavi, esborsi e rischi in forme più garantite e soprattutto più sicure.
Per ragioni di spazio, non scendo nei particolari di come organizzare un sistema di certificati più sicuri, che offrano più garanzia e siano anche garantiti da assicurazione. Sono consapevole delle difficoltà esistenti e dei tanti e grossi interessi che si andrebbero a toccare. So anche che sarebbe illusorio credere o pretendere che i periti siano infallibili. Devono però operare correttamente. Questo innanzitutto per poter continuare a farlo, per i commercianti, ma soprattutto per i collezionisti che, alla fine, sono quelli che cacciano la lira (scusate, gli euro). Anche se diversi buoi sono scappati e le vacche da mungere sono sempre meno disponibili, non è troppo tardi per prendere il toro per le corna!
NOTE
Questo è l’articolo trascritto come è apparso su L’Arte del Francobollo n. 14 di maggio 2012, chiaramente redatto in precedenza (quindi un paio d’anni fa).
L’associazione “che ha invitato i periti ad un comportamento più lineare e corretto” è il Club della filatelia d’oro italiana.
LA RISPOSTA
Dell’APFIP Associazione Periti Filatelici Italiani Professionisti
Sul n 16 luglio-agosto 2012 de L’Arte del Francobollo
Inizia:
“Accogliamo volentieri l’invito di Lorenzo Carra, nell’articolo sul n. 14 di questa rivista, a fare chiarezza sul mondo peritale…”
Prosegue:
“Per rispondere all’interrogativo presente nell’articolo di Carra…”
E conclude:
“La formula assicurativa per i periti è certamente da approfondire ma fino ad oggi il problema è irrisolto poiché le assicurazioni rifiutano un simile impegno se non a costi elevatissimi che devono poi forzatamente ricadere sul cliente dello studio peritale. E, nonostante i rumors, sono veramente pochi i commercianti e i collezionisti disposti a pagare un certificato assicurato divenuto, così, carissimo. Di contro, in caso di errore, un perito può rispondere economicamente solo del costo del proprio certificato, nella stragrande maggioranza dei casi 50 euro, e non per il mancato guadagno di un venditore. Non si intenda con ciò l’autorizzazione a essere meno responsabili ma almeno non infallibili.”
Nota del direttore de "il postalista", Roberto Monticini
Lorenzo Carra non ha ritenuto di commentare o dar seguito a questa risposta (soddisfatto o …?)
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