La rivoluzione siciliana del 1848, scoppiata il 12 Gennaio, fu prevalentemente un moto avente carattere autonomistico e come tale in sostanza ebbe una solidarietà in tutti gli strati della popolazione.
Questa adesione derivava dal sentimento dì rivalsa verso il vassallaggio economico, politico e culturale che Napoli manteneva nei confronti di Palermo e la malcelata insofferenza a questo stato di cose dei siciliani verso l'amministrazione napoletana.
Di questo orientamento dei siciliani sono piene le cronache del tempo e i tentativi di staccarsi dall'abbraccio troppo affettuoso di Napoli si può dire che non cessarono mai.
E che il 1848 non fosse che il riaffermarsi di questa indipendenza lo dimostrano tanti fatti, come l'orgoglioso proclama decretato dal Parlamento che ... « la Sicilia già libera e indipendente a far parte della Unione e Federazione Italiana ... ». (Fig.
1), e anche l'adozione del sistema bicamerale inglese in Camera dei Pari e Camera dei Comuni, così da evidenziare il distacco dalla precedente amministrazione borbonica.
Ma con questa rivoluzione la Sicilia divenne un po' di più un'isola.
Stretta nei collegamenti peninsulari da Napoli che le impediva ogni collegamento con gli altri stati «italiani»; totalmente dipendente da Napoli per i collegamenti via mare e non trovando appoggio nella Francia che con Napoli controllava il traffico mercantile nel mediterraneo, i siciliani vissero per oltre un anno e mezzo con la mentalità dell'assediato e sotto l'incubo di uno sbarco napoletano sulla loro Nazione da sì poco tempo conquistata. (Fig.
2).
Dal punto di vista interno l'amministrazione pubblica subì un radicale cambiamento, che giunse persino all'allontanamento di tutti gli impiegati napoletani che prestavano servizio nell'isola. Ma questo cambiamento non fu esteso sino a cambiare l'amministrazione delle Poste se non negli annulli di franchigia che vennero allestiti con il nuovo emblema della Sicilia: la trinacria.
Per quanto riguarda l'organizzazione amministrativa, gli uffici postali e le tariffe postali tutto venne lasciato come prima, poiché affrontare questo problema sarebbe stato troppo oneroso per le deboli finanze del nuovo Stato.
Ma ben altri problemi creò il distacco con Napoli dove si accentrava quasi tutta la posta proveniente dall'estero e di tutta quella diretta all'estero.
Infatti solo Napoli era centro di smistamento della posta diretta verso altri stati. Da Napoli venivano poi trasportate per via di mare con i legni napolitani o francesi che la facevano da padroni nel mediterraneo, ovvero affidate alla posta romana che provvedeva all'inoltro attraverso la penisola verso la loro destinazione.
Questa prassi era implicita nella disposizione che stabiliva l'inoltro a Napoli a giorni prefissati di tutta la posta a destinazione degli stati d'Italia e dell'estero in generale, ed esplicita nell'unica convenzione postale che il Borbone ritenne opportuno stabilire con uno stato estero: la Francia.
In questa convenzione venne stabilito che il solo ufficio abilitato a cambiare la posta era Napoli, mentre per la Francia venivano designati gli uffici di Parigi, Marsiglia, Costantinopoli, I Dardanelli, Smirne, Alessandria.
Con l'inizio della rivoluzione siciliana questo legame, o questo cordone ombelicale tenuto da Napoli si ruppe.
E questo non certo per soli motivi di carattere postale.
La Sicilia era un paese di modeste attività commerciali a cui si appoggiavano scarsi traffici postali anche per l'esosità delle tariffe. Oltre i vapori francesi e napolitani non vi erano linee regolari sarde né inglesi, né tanto meno austriache.
Certo caricavano e trasportavano posta le navi austriache che approdavano a Messina nel loro traghetto verso il Levante e trasportavano posta anche le navi sarde, così come i vapori inglesi.
Ma questo trasporto poteva avvenire solo se si toccava l'approdo per motivi commerciali, a cui si affiancava quello postale. Infatti non era remunerativo e comportava una notevole spesa l'approdo in un determinato porto e non poteva essere certo l'importo per le lettere a coprire queste spese.
Per tutti questi motivi la Sicilia venne tagliata fuori dalle comunicazioni postali regolari e per circa otto mesi rimase isolata dal resto del mondo.
Nel volume di Vito Mancini «Storia postale del regno delle Due Sicilie» a pag. 129 vi è una breve nota per quanto riguarda gli avvenimenti del 1848-9 in Sicilia: «E' bene ricordare come in occasione di tali moti, mentre fu relativamente facile ai rivoluzionari mantenere il servizio postale per via terrestre, molte difficoltà presentò, invece, quello per via mare, specialmente dopo la caduta di Messina.
Fu allora necessario al Governo Provvisorio ottenere che le «Messageries» francesi deviassero l'itinerario dei propri piroscafi prima per Palermo e poi per Messina e istituissero uno scalo a Trapani per i vapori diretti a Malta.
Un altro catalogo che si occupa del periodo della rivoluzione siciliana del 1848-49 è il Del Bianco «Gli annulli marittimi italiani». A pagina 108 si legge:
«Durante la rivoluzione siciliana del 1848 Palermo rimase per un certo periodo isolata dal resto dell'isola e da Napoli, o comunque le comunicazioni postali risultarono precarie. Per questo le Messaggerie imperiali francesi decisero di effettuare una toccata a Trapani con i battelli della linea di Costantinopoli al ritorno, mentre quasi contemporaneamente quelli della linea delle coste di Italia venivano fermati a Napoli, sopprimendo la toccata di Messina ... ».
Secondo questo catalogo il primo vapore che effettuò questa fermata fu il Tancredi il 21-10-1848.
Della «relativa facilità» del servizio postale per via terrestre si parlerà in seguito, mentre per quanto riguarda le vie di mare occorre giungere alla conclusione che effettivamente il primo periodo della rivoluzione fu il più contrastato e che solo nell'Ottobre del 1848 fu possibile ottenere la concessione che i piroscafi francesi facessero scalo in Sicilia.
Il fatto che si scelse Trapani come scalo fu senza dubbio un compromesso politico. Non Palermo che era la capitale e sede del nuovo parlamento, non Catania o Siracusa troppo distanti. Le Messaggerie francesi scelsero Trapani che è abbastanza vicina al capoluogo ed ha un buon porto naturale in cui potevano approdare i vapori.
Per quanto riguarda gli altri dati riportati nei due cataloghi e che sono diversi si potrebbe giungere a queste conclusioni:
- una volta che le Messaggerie Imperiali Francesi decisero di effettuare le toccate in Sicilia avendo ottenuto presumibilmente dal Borbone l'assenso a far ciò, gli scali venivano fatti sia per la linea di Costantinopoli sia per quella di Malta e in tutti i porti dove si doveva sbarcare merci. L'esclusione di Palermo come scalo diventa un vero e proprio veto da parte di Napoli, posto come condizione per la ripresa del servizio. I Porti di scalo erano quindi Messina e Siracusa per Malta e Trapani per la linea dì Costantinopoli.
- Non vi è nessuna possibilità di stabilire in quale porto vennero smistate le lettere, in assenza dell'annullo di arrivo in Sicilia, in quanto l'annullo ovale delle poste e procacci, veniva apposto in arrivo a Palermo su tutte le corrispondenze dirette a quella città;
- Circa le comunicazioni terrestri che il Mancini asserisce siano stati «relativamente facili» si ritiene che questa espressione renda vagamente le difficoltà di collegamento allora esistenti. Probabile che Napoli sia stata tollerante e che abbia permesso il trasporto di determinata posta, specie se diretta a cittadini stranieri - e le lettere di cui alle figure 4, 5, 6, 7 ce lo dimostrano - ma è indubbio che il flusso della corrispondenza normale si sia interrotto e solo per vie traverse;
- lettere date a mano, trasportate da terzi - abbia potuto interrompere questo blocco.
Questo è, molto brevemente, il quadro dei collegamenti «internazionali» con la Sicilia riferiti, però, dall'Ottobre 1848 in poi, dalla decisione cioè della compagnia francese di riprendere i collegamenti con la Sicilia.
Per quanto riguarda il periodo precedente, scartate le compagnie francesi e i vapori napoletani rimangono le piccole compagnie siciliane e i vapori di altre nazioni che, abbiamo già visto, collegavano saltuariamente i porti siciliani, collegamenti saltuari e frammentari quindi.
Eccoci quanto ci tramanda un giornale palermitano del Giugno 1848:
«I vapori della compagnia Sicardi hanno avuto ordine dal governo borbonico di non toccare alcun punto della Sicilia né loro viaggi che fanno per Malta. L'Ercolano infatti è stato costretto approdare a Villa S. Giovanni, non potendo passare né per Palermo né per Messina».
Che il Borbone esercitasse quanto era in suo potere per isolare sempre più i siciliani è comprensibile a tutti e che avesse i mezzi per attuare ciò è dimostrato dal fatto che i siciliani non avevano flotta da guerra, mentre invece i napoletani avevano una marina da guerra che passava per essere una delle più forti del mediterraneo.
In questo mosaico resta da accertare quale fu l'attività delle navi del Cav. Florio, denominata «Società dei battelli a vapore siciliani». Probabile che si adoperassero solo per il piccolo cabotaggio tra i porti isolani rischiandosi ad affrontare rare volte i collegamenti e i traffici con Malta.
E' perfettamente comprensibile quindi che in prima pagina del «Il Corriero italiano e straniero» che si pubblica a Palermo appare la notizia «Ci affrettiamo a render note al nostro pubblico le notizie esatte comunicateci ieri l'altro l'arrivo del vapore inglese il Porcospino, verificatori in questa alle ore due circa p.m. ».
Ma nonostante questa difficoltà i traffici postali con l'esterno non si bloccano del tutto la Sicilia vive in questo anno una stagione di grande entusiasmo, di acceso nazionalismo e di orgoglio isolano ritrovato. La Francia e l'Inghilterra non le sono ostili, anzi guardano con occhio di benevola condiscendenza a questa rivoluzione e con la loro presenza impediscono al Borbone di usare il pugno di ferro. Logico quindi che si trovino sempre i mezzi, sia che arrivi il Porcospino, sia che arrivi un vapore da Malta, per portare notizie, belle o brutte che siano, mentre in Italia succede il 48.
Vedi (Fig.
1), (Fig.
2), (Fig.
3), (Fig.
4), (Fig.
5), (Fig.
6), (Fig.
7).
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