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Un servizio postale molto particolare | ||||||||||
Lorenzo Oliveri | ||||||||||
Questo articolo è tratto, adattato e ampliato, dal volume "Storia Postale della Valle Stura - ed. ANCAI - Torino 2016" Siamo alla fine del 1942 e mia madre, Anna Maria Alessandri, diventa "madrina di guerra" di mio padre, Simone Oliveri, guardia di frontiera nell'alta Valle Varaita, al confine con la Francia. L'istituto delle "madrine di guerra" risale al primo conflitto mondiale: giovani donne prendono l'impegno di aiutare moralmente, e a volte anche materialmente, i soldati al fronte. Come già avvenuto nella Prima Guerra Mondiale, da queste relazioni epistolari nasceranno amicizie durature o, come nel caso dei miei genitori, addirittura il matrimonio. Inizialmente è lo stesso regime fascista che incoraggia queste corrispondenze: le madrine dovrebbero inviare, infatti, "messaggi inneggianti alla patria e ai valori fascisti". Tuttavia ben presto ci si accorge che al fronte arrivano notizie sulla situazione tutt'altro che rosea delle città e a casa giungono in qualche modo informazioni sull'andamento negativo della guerra. Così la censura si accanisce particolarmente su questo tipo di missive. Nel corso della pubblicazione ho riprodotto alcuni documenti provenienti dal carteggio fra il tenente Simone di Campo Ligure (antifascista, molto impegnato nella locale Azione Cattolica) e la maestra Anna Maria di Sestri Ponente (anch'essa antifascista per lunga tradizione familiare socialista: il nonno Prandi Luigi di Quargnento era in stretto contatto con Treves, Turati, Longo). 8.2.1944 – Busta da Sestri Ponente a Campo Ligure affrancata con francobollo di Propaganda da c. 50, dal quale è stata eliminata la vignetta che incitava alla guerra (sulla destra si vede chiaramente il bordo tagliato, senza la dentellatura); una parte della popolazione non condivideva la retorica bellicista del regime e lo dimostrava anche in piccoli gesti come questo. Bollo SESTRI PONENTE * UFF. TELEGRAFICO, utilizzato impropriamente per timbrare corrispondenza ordinaria. Alla prima licenza Simone viene a Sestri a conoscere direttamente Anna e scopre che la madre, Natalia, è proprietaria di un negozio con licenza "omnia", nel quale si vende dalla cancelleria al latte; la maestra, invece, al momento è impiegata presso la ditta Ansaldo-San Giorgio, dove, fra l'altro, si costruiscono binocoli e strumenti ottici per l'esercito (mia madre era in un ufficio con altre venti persone, dove facevano, a mano, calcoli logaritmici per studiare la curvatura delle lenti sperimentali). Simone scopre, però, che nel retrobottega del negozio si svolge anche un'altra attività, ben più redditizia: la produzione di sigari. Mia nonna Natalia Prandi ha tra le sue clienti due sigaraie, ex dipendenti della Manifattura Tabacchi del Monopolio di Stato di Sestri Ponente, che le propongono di continuare clandestinamente la loro attività. All'epoca questi prodotti erano una merce tanto richiesta quanto difficile da trovare. Mio padre mi diceva: "Sapessi quante porte assolutamente invalicabili mi sono state aperte solo perché portavo con me una valigia di sigari...". L'8 settembre mio padre, che comanda la caserma Reisassetto, al confine con la Francia, si trova, come tutti i soldati italiani, senza alcuna disposizione: diversi suoi militari decidono autonomamente di scendere al Comando di Cateldelfino e qui vengono immediatamente fatti prigionieri dai Tedeschi, gli altri restano lassù a 2700 metri. Gli abitanti di Bellino e delle sue frazioni hanno stretto da tempo amicizia con mio padre e avvisano con uno stratagemma della presenza o meno dei tedeschi in questa parte della Valle Varaita. All'epoca in montagna si usava stendere le lenzuola ad asciugare sull'erba, fermandole con alcune pietre: a seconda di come venivano disposte sui prati, i soldati italiani, osservando dall'alto con i binocoli, sapevano se potevano o meno scendere al paese. Dopo alcuni giorni, però, anche lassù giungono le notizie dell'eccidio di Boves e allora, fatta scorta di coperte e dei viveri rimasti, tutti scendono a Bellino e scambiano questo materiale con abiti civili dei contadini. Simone in due giorni riesce a rientrare rocambolescamente a Campo Ligure e il 1° ottobre inizia la sua attività di insegnante a Rossiglione. Nei fine settimana, insieme ad Anna, si reca in treno (spesso su carri merci, come capitava allora) a Pontecurone, in provincia di Alessandria, dove, su indicazione delle due sigaraie, ha trovato un'azienda agricola che produce tabacco per lo Stato, ma che, visto il prezzo assai più alto che può spuntare, preferisce cederne una parte a "borsa nera" a Simone e Anna, che pagano subito in contanti e che, come fidanzatini, non "danno nell'occhio" ai controlli. Le grandi foglie di tabacco essiccate sono fasciate in grossi pacchi ("legati alla maniera dei giornali, ma molto più leggeri", raccontava mio padre) e ne vengono trasportati diversi ad ogni viaggio. I miei futuri genitori la fanno sempre "franca", tranne una volta in cui il treno si ferma in prossimità di Arquata Scrivia e viene velocemente abbandonato a causa di un bombardamento aereo alleato; i pacchi, ovviamente lasciati sul treno, al rientro sono spariti. Mio padre diceva che era andato letteralmente "in fumo" il guadagno di un mese, perché all'arrivo a Sestri nonna Natalia non volle sentire scuse: "niente tabacco, niente soldi!". Visto che lo smercio dei sigari rende molto bene, Simone a Campo Ligure, oltre a vendere i sigari sestresi tramite la sorella Maddalena, insegna alle vecchie zie Manin e Rusetta a confezionarli in loco, impiantando in solaio un piccolo laboratorio. In questo modo la casa diviene in breve tempo un via vai continuo di persone (del resto all'epoca praticamente tutti facevano "borsa nera" e i controlli erano assai limitati: a chi veniva colto in flagrante, in genere veniva soltanto sequestrata la merce). Tra gli "avventori" vi sono anche diversi militari tedeschi, tanto che cominciano a circolare voci di collaborazionismo. Fra i tedeschi vi è pure il sottotenente della Wehrmacht Fritz Walther, che ha preso (o sta per prendere) gli ordini da sacerdote e che dirige il coro dei soldati germanici durante le funzioni religiose. Walther frequenta la casa di Simone non per i sigari, ma perché è amico di un fratello di Simone, Lorenzo, anche lui sacerdote. Alcune testimonianze raccolte parlano di Walther come di una persona che aveva fatto tanto bene ai Campesi; mio suocero Giovanni mi diceva: "Walther non era come gli altri tedeschi!". Mi risulta che fosse riuscito a salvare dall'arresto o dalla fucilazione più di una persona e che, infine, disgustato dal comportamento delle "SS", avesse disertato, vestendosi con gli abiti civili che gli aveva fornito proprio una delle persone da lui salvate. Pare però che, mentre i tedeschi erano ormai in ritirata, fosse stato riconosciuto e fucilato come disertore nei pressi del Passo del Turchino. Ma torniamo alla casa di Via Gibelli (ora via Gramsci), dove abitano Simone e Lorenzo. Don Lorenzo, che oltre ad essere prete è anche maestro (ed insegna insieme al fratello a Rossiglione), nei momenti liberi si reca ad aiutare il vecchio parroco di Capanne di Marcarolo, don Pedemonte, diventandone in pratica il vice-parroco. La strada è lunga, circa 8 chilometri, ma Lorenzo è alto quasi 2 metri e con il suo passo svelto impiega poco tempo a percorrere quel tragitto (qualcuno lo aveva infatti soprannominato "gamba lunga"...). Nella casa di via Gibelli non arrivano solo i sigari: quasi tutti i giorni, col treno "operaio" delle 18 da Genova (così chiamato perché riporta in paese i pendolari che lavorano in città), arriva anche un operaio-staffetta, che porta di nascosto dei sottilissimi biglietti di carta velina. Questi pezzetti di carta giungono direttamente da "Pittaluga", nome di battaglia di Paolo Emilio Taviani, facente parte del C.L.N. Ligure e in contatto con don Lorenzo. Nel via vai della casa di via Gibelli, chi può fare caso alla staffetta? Può benissimo passare per uno degli "avventori" e poi, con tutti quei tedeschi in giro, quale migliore copertura? Nel solaio-laboratorio mio cugino Nico (Domenico Rivolta) infila delicatamente questi bigliettini all'interno dei sigari, fra le foglie di tabacco: è un compito difficile che può essere eseguito solo dalle dita piccole di un bambino, che oltretutto non sa leggere e che quindi non potrebbe mai rivelare il contenuto di quei messaggi. Poi i sigari "farciti" vengono posti in un cestino insieme a generi alimentari e a volte è lo stesso Nico a partire con il cestino e a portarlo alla cascina Rèba, ai confini del comune di Campo Ligure con le Capanne di Marcarolo. Qui lascia il suo prezioso carico ai contadini: poi qualcuno verrà a ritirarlo per portarlo alla Cascina Benedicta, che dista due chilometri dal borgo, e dove ha sede il comando partigiano di zona. Un bambino passa inosservato: se anche qualcuno sequestrasse il cestino, i bigliettini andrebbero "in fumo" insieme ai sigari. Come mi raccontava Nico, l'ordine era: "vedere, fare, dimenticare, non parlare". Della faccenda dei bigliettini sono venuto casualmente a conoscenza soltanto in questi ultimi anni, parlando con Nico (scomparso recentemente) e mettendo insieme i ricordi, apparentemente senza un senso logico, che entrambi avevamo conservato per tanto tempo in qualche recondito cassetto della memoria: io non sapevo nulla dei bigliettini, lui non sapeva nulla della provenienza dei sigari. Don Lorenzo, infatti, non parlò mai con nessuno dei famigliari, neppure a guerra conclusa, di questo "servizio di posta".
19.6.1958 – Busta da Roma a Campo Ligure. Faceva parte del carteggio (disperso) fra Paolo Emilio Taviani e Don Lorenzo Oliveri: purtroppo manca il contenuto, ma penso di non andare lontano dal vero se ipotizzo che il testo si riferisse alla secolare questione del passaggio della frazione Capanne di Marcarolo da Bosio (AL) al comune di Campo Ligure (GE), per il quale Don Lorenzo si batté per molti anni.
1944 – Fronte/retro di volantino di propaganda lanciato da aerei alleati. Anche se a rigore non si tratta di un invio postale, possiamo considerarlo una spedizione per via aerea sui generis... Trovai questo volantino fra le pagine di un vecchio libro religioso, appartenuto sempre a mio zio Don Lorenzo Oliveri. Ritengo probabile che egli lo abbia raccolto e nascosto dopo un lancio effettuato della R.A.F. in Valle Stura. (*) - PIER PAOLO RIVELLO, Quale giustizia per le vittime dei crimini nazisti?, G. Giappichelli Editore, Torino 2002, pag. 119. Lorenzo Oliveri |