"La posta strumento e fattore di civiltà e di progresso, si serve, nel graduale ma continuo sviluppo della propria organizzazione, dei nuovi mezzi realizzati e creati dalla civiltà e dal progresso per l'abbreviamento delle distanze e per lo scambio sempre più rapido del pensiero scritto, che avvicina e stringe i popoli, anche più intensamente del movimento delle persone, in quanto che si scrive molto e molto più lontano che non si viaggi »(1).
La posta infatti, intesa come scambio di messaggi scritti, in ogni tempo, cerca di utilizzare i mezzi più veloci. All'inizio si avvale di un complicato intreccio di cavalleggeri e staffette appiedate; poi di carrozze e diligenze e, in alcuni paesi, fra i quali l'Egitto, di colombi viaggiatori.
Ma intanto, nel «secolo delle invenzioni», si fanno strada nuovi mezzi di trasporto e mettono in crisi quella che romanticamente è definita la « civiltà del postiglione ».
La posta segue le « vie di mare » con i primi piroscafi postali: nel 1850 è la Società Rubattino che ottiene l'incarico di organizzare un regolare servizio di battelli per il trasporto delle lettere sulle varie località della costa nord-occidentale della penisola. Ma anche piroscafi francesi, tedeschi e inglesi eseguono, a loro volta, trasporto di posta per l'Italia centrale e meridionale e lungo la costa adriatica.
Ma a velocizzare il trasporto, in via di superficie, ecco irrompere la locomotiva ferroviaria.
In Italia tuttavia, «il processo di introduzione del nuovo mezzo è lento nei vari Stati in cui è suddivisa, causa la natura strettamente politica, spiegabile, se non giustificabile, della preoccupazione di sorvegliare i valichi, le porte, gli sbocchi attraverso i quali le popolazioni potrebbero mescolarsi le une alle altre, dare e prendere cognizione della forma di convivenza propria di ciascun Stato, far confronti, attuare uno scambio di idee politiche, culturali » (2).
In aggiunta a queste difficoltà di ordine. politico ve ne sono altre di ordine strategico-militare non meno preminenti.
L'Austria, ad esempio, ha interesse di congiungere le città orientali del Lombardo-Veneto con Vienna e mal sopporta che Milano orienti i suoi traffici su Genova.
Il regno di Sardegna preferisce spostare la strada ferrata ad oriente per la Liguria, per metterla sotto la protezione della piazzaforte di Alessandria.
Il Granduca di Toscana ha interesse a congiungere Firenze con il porto di Livorno.
Mentre i Borboni, sono sollecitati alla costruzione di una strada ferrata da scopi meramente privati: collegare la reggia con le ville principesche disseminate attorno a Napoli.
L'esito favorevole della guerra del 1859, mette in evidenza la rilevanza strategica del treno, per il trasporto di masse di soldati e di materiale logistico.
Per cui, dopo la proclamazione del regno d'Italia, si assiste ad una accelerazione del piano delle costruzioni delle strade ferrate, incoraggiando anche la posa in opera di linee secondarie, in relazione agli interessi locali, che non contrastino con l'interesse generale delle linee più importanti.
A titolo di notizia elenco gli Stati e le date delle prime strade ferrate: 1825, Inghilterra; 1828, Austria e Francia; 1829, Stati Uniti; 1835, Belgio e Germania; 1838, Russia; 1839, Italia; 1844, Svizzera, Spagna, Canada; 1850, Messico; 1851, Svezia e Perù; 1852, Cile; 1853, Norvegia; 1854, Portogallo; 1860, Turchia.
In Italia, il vanto della prima ferrovia, spetta a Napoli: il 3 ottobre 1839 è inaugurato il breve tronco (8 chilometri) da Napoli a Granatello (Portici).
La seconda è quella da Milano a Monza che ha un inizio sfortunato a causa di guasti alle locomotive e sconnessione dei binari.
La terza, in ordine di tempo, è la «Leopolda» dal nome del granduca di Toscana che unisce Firenze con Livorno, aperta al traffico il 14 marzo 1843.
Seguono nel 1844, la Napoli-Nocera; nel 1845, la Napoli-Castellammare e la Pisa-Pontedera; nel 1846, la Padova-Venezia; la Padova-Vicenza e la Milano-Treviglio; nel 1847, la Empoli-Pontedera; nel 1848, la Firenze-Prato; la Firenze-Empoli e la Torino-Moncalieri; nel 1851, la Mantova-Verona; nel 1853, la Torino-Savigliano-Cuneo; la Saluzzo-Torino-Susa; la Vercelli-Valenza; nel 1856, la Roma-Frascati; nel 1857, la Milano-Venezia; nel 1858, la Napoli-Salerno e la Napoli-Caserta; nel 1859, la Roma-Civitavecchia; la Bologna-Piacenza; nel 1860, la Firenze-Lucca-Pisa e la Roma-Ceprano.
La posta non può mancare all'appuntamento con il nuovo ritrovato della tecnica ed in virtù della norma che fa obbligo alle imprese di trasportare i dispacci, se ne avvale anche se, in verità, il principio viene sancito in modo più chiaro nella legge postale del 1862.
È già nel decreto luogotenenziale del 15 dicembre 1860, sulla struttura organizzativa degli uffici delle poste italiane, sono previsti gli «uffizi ambulanti».
È il servizio che diventerà leggendario nella storia della Posta: un vagone ferroviario, non dissimile dagli altri, ma internamente attrezzato ad ufficio, con tavoli, sgabelli, bolli e, più tardi, macchina bollatrice, e tante caselle lungo le pareti per lo smistamento delle corrispondenze.
All'atto della proclamazione del regno d'Italia le linee ferroviarie servite da ambulanti sono otto: Alessandria-Bologna; Milano-Camerlata (Como); Milano-Desenzano; Torino-Genova; Torino-Cuneo; Susa-Milano e Firenze-Livorno.
Agli ambulanti vanno aggiunti anche i natanti, Como-Colico e Arona-Magadino, che eseguono sui laghi il medesimo servizio.
Nel 1861 e nel 1862 vengono istituiti altri servizi ambulanti sulle linee Firenze-Massa, Bologna-Ancona, Milano-Bologna e Alessandria-Piacenza.
Nella «Prima relazione sul servizio postale in Italia» il Direttore Generale, Conte Barbavara, fra l'altro, scrive: «Fra i mezzi di trasporto adoperati dall'Amministrazione, non ve n'è alcuno che meglio degli uffizi ambulanti si presti alla rapida trasmissione delle corrispondenze ».
«Prima che fosse importata presso di noi questa utilissima innovazione *, le lettere spedite da un uffizio di posta ad un altro dovevano, prima di giungere al loro destino, consumare una più o meno lunga giacenza in uffizi detti di transito, avvegnaché non fosse possibile che l'uffizio di Ancona, per esempio, potesse far giungere direttamente una lettera a tutti i luoghi situati lungo la linea da Ancona a Torino, coi quali non poteva mettersi in diretta corrispondenza».
«Cogli Uffizi ambulanti questo inconveniente scomparve, poiché gli impiegati che vi sono addetti ricevono in un solo piego tutte le corrispondenze dagli uffizi situati ai punti estremi e lungo la linea della ferrovia da essi percorsa, le separarlo, le pesano, le tassano mentre l'uffizio è tratto dalla loco-motiva, finché giunti alla stazione viciniore al luogo della rispettiva destinazione ne fanno ivi la consegna ».
Secondo lo stesso Barbavara, l'utilità degli ambulanti è ancor più evidente nei rapporti internazionali.
Le lettere e i giornali francesi, nel percorso da Calais al Cenisio, vengono consegnati all'ambulante italiano della linea di Susa che, a sua volta, li dirama per i vari ambulanti delle linee di Milano, di Genova e dell'Emilia senza alcuna sosta.
In questo modo le lettere spedite da Londra il lunedì mattina, giungono a Torino il mercoledì e, nello stesso giorno, nelle altre località poste in prossimità delle linee ferroviarie.
Nel 1864 gli ambulanti e i natanti percorrono già 5.442 chilometri al giorno.
Nella primavera del 1865 viene completato il tratto Bari-Brindisi, consentendo un servizio ambulante dal confine francese (Susa) fino al porto pugliese che da lì a poco riceverà, per l'avviamento successivo, la famosa «valigia delle Indie» (3).
È sempre il Conte Barbavara che nella relazione sui servizi del 1867 dichiara:
«Per dar un'idea dell'importanza della valigia, basti dire che nel 1864 i soli vapori della Compagnia Peninsulare trasportarono circa 10.000 viaggiatori, 40.000 valigie, 150.000 colli di merci a ben quattrocento milioni di lire in contante».
A partire dal 1859 l'Inghilterra, valutata la convenienza di far transitare per la via di Brindisi la «valigia» (nello stesso anno viene aperto il canale di Suez), aderisce alle pressanti richieste del Governo italiano e istituisce una «valigia» supplementare che, successivamente, diventerà principale, con l'abbandono della via di Marsiglia.
Le ferrovie, con il trascorrere del tempo, si rafforzano e, nel 1876, con l'avvento al potere della sinistra, con il Governo Depretis, contrariamente ad ogni più ragionevole previsione, vengono abbandonate all'industria privata, con il voto contrario della Destra liberale e con la reazione dello Spaventa che teorizza ed anticipa, in questa circostanza la distinzione tra liberalismo politico e liberalismo economico, secondo la quale non sono applicabili alle ferrovie - monopolio naturale e servizio pubblico essenziale - le tesi economiche ortodosse.
Nel 1885 viene promulgata la legge sulle Convenzioni ferroviarie e la gestione delle strade ferrate è così distribuita:
- Alla Società Italiana per le strade ferrate del Mediterraneo, l'esercizio di Km. 4.106, comprendente le linee longitudinali.
- Alla Società per le strade ferrate Meridionali, compresa la rete Adriatica, l'esercizio di Km. 3.892.
- Alla Società Italiana per le strade ferrate della Sicilia, l'esercizio di circa Km. 600.
- Alla « Reale Sarda » l'esercizio delle strade ferrate della Sardegna.
- Alle imprese minori, le linee secondarie.
Tale organizzazione dura fine al 1905, anno in cui la gestione di tutte le linee principali viene assunta dallo Stato.
A vanto del Governo Piemontese non va dimenticato il traforo del Cenisio iniziato nel 1858, né la partecipazione dell'Italia ai lavori dei trafori del Gottardo e del Sempione.
Con le società ferroviarie l'amministrazione postale stipula una serie di convenzioni che consentono di aumentare il numero delle vetture ambulanti, numero sempre crescente fino a raggiungere, nel 1938, quello rispettabile di 247, compresi gli ambulanti operanti sui transatlantici Rex e Conte di Savoia sulla rotta Genova-New York e viceversa.
Sugli ambulanti operano impiegati e commessi: «gente seria, di poche parole, vigile, attenta, precisa, dedita ad un lavoro metodico, ordinato, calmo, ma nello stesso tempo febbrile».
«Quando il treno si ferma ad una stazione, le operazioni sono quasi sempre le medesime: si consegna a terra la posta smistata e diretta a quella località, si ricevono sacchi in partenza da quel luogo di raccolta e contenenti le corrispondenze dirette ad al tre città, ad altri paesi».
«Poi, non appena il treno riprende i cammino, si prosegue la ripartizione anche delle corrispondenze ricevute durante la fermata e così via di seguito fino all'ultima stazione”.
“In caso di disguidi si formano dispacci per l'ambulante coincidente che effettua i tragitto inverso, riducendo così i tempi del ritardo» (4).
Il personale viaggiante, fra l'altro, prima di giungere in ciascuna stazione di fermata del convoglio, deve estrarre le corrispondenze eventualmente impostate nella stazione precedente nelle buche delle carrozze.
Quelle da distribuirsi nel distretto debbono essere bollate nei modi ordinari con l'aggiunta del bollo riproducente la lettera «D» (con apposito timbro o a mano), per certificare che le medesime vanno sottoposte al trattamento delle corrispondenze circolanti nel distretto dell'ufficio di impostazione (5).
In questo caso l'ufficio di distribuzione, corrispondente alla località della stazione ferroviaria, dove la corrispondenza era stata impostata.
Sugli ambulanti, per accelerare i tempi di consegna della posta, viene eseguita anche la ripartizione delle corrispondenze destinate alle grandi città: Milano, Roma, Torino, Genova, Bologna, Napoli, Venezia, Cagliari ecc., per quartieri di recapito cui le città medesime sono suddivise.
Gli ambulanti prestano il loro servizio in modo encomiabile fino agli anni sessanta.
Poi, gradualmente, per ragioni non sempre comprensibili, vengono abbandonati ed oggi ve ne sono una trentina, quasi tutti su linee secondarie e qualcuno sui lunghi percorsi.
E con la soppressione degli ambulanti inizia purtroppo il lento, costante declino dell'epoca d'oro del servizio postale.
1) F. CUTRONA, Corso di Legislazione Postale, 1932.
2) Rivista delle Comunicazioni Ferroviarie nn. 15, 16, 17 e 18, 1933.
* Si riferisce agli ambulanti inglesi istituiti nel 1838.
3) Per saperne di più vedi: E. ANGELLIERI, Una valigia made in Italy, Cronaca Filatelica n. 102 (novembre 1985).
4) F. CIARROCCHI, Poste e Telecomunicazioni, 1957
5) Articoli 475 e 498 I.C.P. 1908 (Istruzioni Corrispondenze Postali).
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Da Marsiglia 29 agosto 1872 per Civitavecchia 31 agosto 1872
Ambulante Modane - Torino 30 ago 72 |
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Dalla Francia per Torino 18 luglio 1883
Modane - Torino Uf: Amb: 18 lug 83 |
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