Il bastone di Asclepio | ||||
a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com] |
||||
Un medico per la pace: Albert Schweitzer | ||||
torna all'indice |
Le sue parole ancora oggi a distanza di anni pesano come macigni sulle nostre coscienze e risuonano attualissime : "In queste terre la miseria fisica è diffusa ovunque. Ognuno di noi dovrebbe riflettere sul fatto che qui milioni e milioni di persone vivono senza un aiuto o speranza di esso. Soffrono le più terribili pene che la scienza medica potrebbe alleviare." Egli è un mistico che crede nella vita e pertanto agisce, persuaso che gli uomini possano salvarsi svolgendo un compito attivo e non ritirandosi in una caverna come eremiti. In questo polemizza profondamente con le altre religioni. La medicina non fu quindi per lui una vocazione di gioventù, ma piuttosto degli anni maturi, dopo che aveva già avuto successo in campo musicale e filosofico. Folgorato dal desiderio di alleviare le sofferenze delle più misere popolazioni della terra nel 1912 si laurea in medicina e l'anno successivo è già sulle rive dell'Ogoué a costruire la prima baracca; si trova subito a contatto della lebbra, della febbre gialla, della malattia del sonno, della malaria. Dichiarò sempre che si era fatto medico perchè aveva bisogno di azione e trovarsi nella possibilità di lavorare senza dover parlare. I suoi pazienti sono i neri del Gabon, una regione dell'Africa francese e la sua missione protestante è a Lambaréné lungo le rive dell'immenso e torbido fiume Ogoué che spezza la cupa violenza della foresta equatoriale. Il Gabon era una delle regioni più depresse dell'immensa Africa e Schweitzer capì che si porta il primo sollievo curando i mali del corpo; in seguito l'individuo, libero dalla sofferenza fisica, potrà disporsi ad accogliere l'insegnamento dell'intelligenza. Le esperienze dei suoi primi anni africani le apprendiamo da uno dei suoi libri: "Dove comincia la foresta vergine" pubblicato solo nel 1951; testimonianza libera da compromessi da parte di chi ha scelto volontariamente l'esilio africano in nome dell'amore per l'umanità. Chi l'ha conosciuto lo descrive di alta statura, magro sempre vestito di bianco; un pò trasandato negli abiti e nervoso nei movimenti. Sguardo acuto, stretta di mano ossuta, ferma e calorosa. I grossi baffi spioventi mitigavano la severità del suo duro volto di tedesco. Il suo motto "rispetto per la vita" lo portò a identificare il bene nella conservazione, assistenza e miglioramento della vita; mentre distruggere, nuocere e ostacolare la vita costituiscono per lui l'essenza del male. Lo scoppio della I Guerra Mondiale lo vede nemico in suolo francese e deve lasciare il Gabon per essere internato in Francia. Nel 1924 ritorna ma deve ricominciare tutto da capo; stavolta si sposta sull'altra sponda del fiume a ridosso di una verde collina denominata "Adolinanongo" che nel linguaggio locale significa "il luogo da dove si guarda tutto il popolo". In tutti questi anni gli fu sempre al fianco la moglie Hélène Bresslau che lasciò i suoi studi per diventare infermiera e poter condividere la futura vita missionaria del marito. Nella solitudine della foresta equatoriale Schweitzer si chiederà più volte se sarà mai possibile descrivere le ingiustizie e le crudeltà commesse nel corso dei secoli dai popoli bianchi : "Il bene che facciamo alle popolazioni dell'Africa è un atto non di carità, ma di riparazione"
|
|||