Il bastone di Asclepio | |||||||
a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com] |
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Madame Curie venuta dal Bronx | |||||||
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Rosalyn Sussman Yalow sarebbe rimasta una brava stenografa, una segretaria come tante altre nel variopinto mondo degli affari della città di NewYork. Ma la sua perseveranza e perché no un po’ di buona sorte, la portarono a vivere una affascinante esistenza al servizio della Scienza sino al riconoscimento del Nobel. Nata nella “Grande Mela” il 19 luglio 1921 da genitori di religione ebraica, immigrati dall’Europa dell’Est, dimostrò subito il suo valore negli studi approcciando dapprima la matematica e successivamente la chimica.
Diplomatasi nel 1941 in Fisica e Chimica, le si apriva una brillante carriera nel campo della fisica nucleare e il suo sogno era quello di intraprendere gli studi di medicina. Al contrario i suoi genitori volevano far di lei una semplice insegnante scolastica, idea a cui Rosalyn si oppose con tutte le sue forze. Ma purtroppo dovette arrendersi quando le sue domande presso diverse Università furono rigettate anche in maniera brusca: “Viene da NewYork, è ebrea e anche donna”. Dopo un corso di stenografia fu assunta come segretaria. Ma qui entra in gioco la fortuna che la portò ad essere la segretaria di un importante professore di biochimica della Columbia University, il quale, venuto a conoscenza dei suoi desideri, riuscì a farla entrare nella Facoltà di Fisica dell’università dell’Illinois. Lottando contro lo scetticismo dei suoi professori, unica donna tra centinaia di studenti, riuscì a prendersi nel 1945 il suo PhD, non senza prima aver incontrato e sposato due anni prima Aaron Yalow. Tornata a NewYork iniziò a lavorare nel 1947 presso il nascente Servizio di Medicina Nucleare del Centro Medico nel Bronx, dove insieme a Solomon A. Berson iniziò le sue ricerche che la porteranno ad affinare le nuove tecniche di analisi immuno-radiologiche. Ma negli anni a seguire le successive pubblicazioni portarono l’analisi radio-immunologica a diventare uno strumento essenziale per i ricercatori. Alla premiazione, durante il suo discorso, esortò “tutte le donne a credere in sé stesse … perché il mondo non può permettersi di perdere il talento di metà della propria popolazione”. Intorno ai 70 anni ebbe un serio problema ischemico e fu portata in gravi condizioni, caso della sorte, in quello stesso ospedale nel quale aveva sviluppato le sue ricerche. Ma in pronto soccorso non fu riconosciuta anzi le fu negato il ricovero che poi avvenne presso un’altra struttura. Ma si riprese bene tant’è che morì 20 anni dopo il 30 maggio 2011. Sergio De Benedictis
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