Il bastone di Asclepio
a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com]
La nascita del laboratorio di analisi

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I primi fondamenti dell'introduzione della chimica a supporto della diagnosi risalgono al sedicesimo secolo.
In quell'epoca i medici facevano largamente ricorso all'uroscopia, una vecchia arte che consisteva nell'osservare l'aspetto esteriore dell'urina, un fluido che si pensava riflettesse la condizione di molte parti del corpo, per acquisire la conoscenza della malattia del paziente.


I medici esaminavano il fluido in un ampolla di vetro detta "matula", nella quale solevano distinguere quattro zone, ciascuna delle quali si supponeva che corrispondesse a una parte anatomica del paziente : quella più in alto rappresentava la testa, quella sotto il torace, la terza ancora più sotto l'addome, e l'ultima più in basso il sistema urogenitale.

 

La sede e la natura della malattia venivano determinate dalle sfumature di colore che il fluido poteva assumere, e dal movimento che il sedimento compiva da una zona all'altra. Questo rendeva possibile e suggeriva molti tipi di diagnosi.

Alcuni medici disapprovarono tale metodologia; tra questi lo svizzero Paracelso, che raccomandò l'uso dell'analisi chimica per evidenziare i segni di malattie che rimanevano ignote con la sola osservazione del liquido. Il suo metodo consisteva in una pratica di distillazione per separare i componenti e interpretando di conseguenza qualità e quantità del distillato rispetto al residuo.

Alcuni suoi seguaci si adoperarono addirittura nella costruzione di elaborati alambicchi composti da più camere di distillazione, ognuna da far corrispondere a parti diverse del corpo al fine di determinare la sede della malattia.

Diverse critiche furono sollevate già a quel tempo perchè molti ritenevano che tali pratiche distoglievano l'attenzione da altri indicatori di malattia, ma la misurazione quantitativa si dimostrerà tecnica nuova e lungimirante.

Anche l'esame dell'aspetto del sangue fu pratica diagnostica lungamente esercitata, ma nel 1864 Robert Boyle scrisse un'arringa in favore dell'analisi chimica descrivendo i suoi esperimenti sul sangue umano : misurazione della temperatura subito dopo il prelievo, annotazione delle reazioni alla fiamma e ad altri agenti chimici, separazione dei costituenti mediante distillazione. Non essendo medico non ebbe l’opportunità di fare esami sul sangue di persone ammalate.

Negli anni a venire i medici cercheranno “con la forza del fuoco a costringere la natura a svelarsi” e a ridurre ad una misura ed ad un peso ogni cosa.

Gli studi di laboratorio portarono in seguito a far progredire ad esempio le conoscenze sulla malattia del diabete quando si passò da una semplice indicazione sul sapore dolciastro dell’urina di un diabetico, come ritroviamo negli aforismi medici del medico arabo Mosè Maimonide, all’effettivo riscontro del residuo lasciato in vitro dopo la distillazione.

Ma è solo nell’800 che il laboratorio di analisi inizia ad assumere la sua connotazione moderna grazie agli studi di Robert Wilhelm Bunsen (1811-1899) che prestò erroneamente il suo nome al bruciatore o “becco di bunsen” ideato invece dall’inglese Michael Faraday, e Justus von Liebig (1803-1873), all’inizio autodidatta e poi accademico presso l’Università di Erlangen.

Ai giorni nostri in un moderno laboratorio di analisi interagiscono varie discipline : dalla biochimica alla genetica, dalle tecnologie diagnostiche ai sistemi informativi, facendolo diventare un ambiente molto diverso da quelli che erano i locali dei primi alchimisti.