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Nel XVII secolo, epoca di grandi viaggi e scoperte, esploratori audaci si sparsero per il globo a caccia di nuove terre dando inizio ad un’epoca di forte colonizzazione da parte dei grandi imperi del tempo. Rischiarano la loro vita, a volte perdendola anche, non sappiamo se per soddisfare una loro sete di conoscenza o piuttosto una bramosia di conquista non disgiunta da un desiderio di ritornare in patria ricchi e famosi.
Nello stesso periodo, senza la necessità di allontanarsi da casa e solcare i mari, ci furono uomini che contrapposero allo spazio infinito l’infinitamente piccolo ed anche loro per primi gettarono lo sguardo su un mondo sconosciuto popolato di esseri microscopici, alcuni terribili e mortali, altri innocui e a volte anche utili. Possiamo ritenere le loro scoperte più importanti di quelle di un nuovo continente?
Li chiameremo : cacciatori di microbi!
Il primo di cui parleremo è tal Antonio Van Leeuwenhoek (1632-1723) olandese cresciuto nella cittadina di Delft tra i caratteristici mulini a vento. Apprendista presso un merciaio, la bottega fu la sua università e imparata l’arte si mise in proprio come commerciante di stoffe. Non sappiamo come ma ad un certo punto, accortosi che un oggetto appariva assai più grande che ad occhio nudo se guardato attraverso un vetro opportunamente foggiato a lente, iniziò le sue prime osservazioni. Il suo essere testardo lo portò a costruire in proprio lenti sempre più perfezionate che montava su rettangolini di rame od argento. E passava così il suo tempo libero osservando il cristallino dell’occhio di un bue, le squame della propria pelle, una goccia di pioggia. Ma forse tutto sarebbe finito lì senza l’incontro con un suo concittadino, Regnier de Graaf anatomista e membro dell’appena costituita Royal Society. Fu invitato a mettere per iscritto le sue scoperte e mandarne comunicazione a Londra; la sua prima relazione destò ilarità tra i membri della Società ma le meravigliose scoperte fatte con il suo microscopio ebbero il sopravvento e alla fine i suoi scritti superarono il centinaio. Nel corso della sua lunga vita rimase sempre lontano dal palcoscenico della scienza ma nessuno fu più di lui onesto e scrupoloso negli studi e tutti dovrebbero prendere insegnamento dal suo buon senso.
Ancora ci si rammaricava della scomparsa di Leeuwenhoek che già un nuovo “cacciatore” muoveva i primi passi; nato a Scandanio in provincia di Reggio Emilia, Lazzaro Spallanzani (1729-1799) era destinato a diventare un giurista al pari del genitore. Ma un noto scienziato e naturalista dell’epoca, suo concittadino, Antonio Vallisnieri, vide in lui un futuro valente ricercatore e convinse il padre di Lazzaro ad acconsentire al suo trasferimento a Reggio. A quel tempo molto accreditata era la teoria che vedeva la possibilità di una generazione spontanea degli esseri viventi da condizioni di putrefazione della materia; lo Spallanzani capì subito l’infondatezza di simili idee, ma da scienziato qual era, capì anche che nessuno gli avrebbe creduto senza una concreta dimostrazione. E dedicò quindi gli anni successivi a tal scopo, arrivando alfine ad una confutazione scientifica del caso. Solo la sua condizione di religioso, era stato infatti ordinato prete, lo fermò dall’entrare nelle questioni della misteriosa origine della vita, per lui da attribuire solo al miracolo del Creatore.
A volte episodi giovanili segnano tutta la tua vita ! E’ questo il caso del grande biologo francese Louis Pasteur (1822-1895) che all’età di nove anni, davanti alla bottega di un fabbro, vide l’utilizzo di un ferro rovente sulla carne di un povero contadino allo scopo di contrastare le conseguenze del morso di un cane idrofobo. Nei giorni seguenti lo stesso cane infettò altra gente finchè non fu alla fine abbattuto e il nostro ragazzino si chiese perché mai un lupo o un cane doveva diventare idrofobo e perché i morsicati dovevano morire. Crescendo, prima di intraprendere la carriera di “cacciatore”, fu guidato dalla sua indole d’artista e si mise a dipingere. Mandato dal padre a frequentare L’Ecole Normale a Parigi si innamorò della chimica e le sue scoperte sull’acido tartarico gli valsero la nomina a professore nella Facoltà di Scienze a Lilla, nel nord della Francia. Qui offrì l’aiuto della sua scienza alle locali distillerie e osservando il liquido prelevato dai tini scoprì un mondo popolato di piccoli esseri microscopici che vivevano e si moltiplicavano e tanto gli bastò per “incolparli” del fenomeno della fermentazione. Ritornò successivamente a studiare quel male misterioso che era la rabbia; di certo il virus risiedeva nella saliva degli animali, si comunicava con il loro morso ed aveva un periodo di incubazione che poteva variare da qualche giorno a parecchi mesi. Ma inoculando materia cerebrale di cani arrabbiati in specie sane capì che dalla materia midollare degli animali infetti poteva ricavare il vaccino che avrebbe debellato il virus.
Mentre Pasteur si muoveva tra le cantine di Lilla, nell’Università di Gottingen un giovane studente sezionando cadaveri sognava di poter girare il mondo come chirurgo militare o medico di bordo : il suo nome era Robert Koch (1843-1910). Ma Emma Frantz, colei che gli sarà accanto per tutta la vita, mitigò i suoi propositi e lo indirizzò verso una più monotona attività di medico condotto. Come Leeuwenhoek sembrava tagliato fuori dal mondo scientifico ma un regalo inaspettato della moglie per il suo compleanno lo porterà alla fama e al ricordo riconoscente dell’umanità : un microscopio! Durante le visite ai suoi pazienti, per lo più contadini, sentiva spesso le loro lamentele sulla morte inspiegabile di mucche e pecore; la causa era il carbonchio una ben strana malattia. La sua indole repressa di “esploratore” lo porta allora ad osservare con il suo microscopio il sangue degli animali morti e al suo sguardo indagatore apparvero curiosi corpuscoli a foggia di corti bastoncini. Diverse domande si affollarono alla sua mente : son microbi? vivono? è una mutazione dello stesso sangue? bisognava dimostrarlo ed iniziò quindi per lui un periodo di sperimentazioni condotte con le più “artigianali” tecniche di laboratorio, senza alcuna precauzione per se stesso. Arrivò a coltivare il sangue al di fuori di qualsiasi corpo animale e non infetto da altre specie di microbi; utilizzando piccolini topolini come cavie, inoculava il sangue infetto e al mattino trovandoli stecchiti in gabbia ne esaminava la milza e lì ritrovava gli stessi bacilli, gli stessi filamenti, che, come i loro antenati, avevano parimenti causato la morte come per le mucche e pecore dei suoi contadini.
Ben strano l’ultimo personaggio di cui parleremo ora, qualcuno a cui forse Koch non avrebbe affidato nemmeno la pulizia del suo microscopio! Ma questo rozzo, corpulento ed energico scienziato russo, nato zoologo, passerà alla storia come uno dei più grandi immunologi. Stiamo parlando di Elia Metchnikoff (1845-1916). Nato nella Russia meridionale, se ne andò in Germania a frequentare l’Università di Wurzburg, ma fu in Sicilia, dove si recò con la seconda moglie dopo aver perso la prima per tubercolosi, che elaborò la sua teoria. Qui nella sua casetta, davanti allo splendido mare e al panorama della costa calabra, inizia a studiare spugne e stelle marine per comprendere come digerissero i loro alimenti. Iniettando una piccola particella di carminio all’interno della larva di stella marina, osservò al microscopio come una cellula vagante, allungandosi, fagocitasse la particella. Breve fu il passo che trasformò Metchnikoff da zoologo a “cacciatore di microbi” e ancor più breve traslare la teoria dalle minuscole creature marine sull’essere umano. Come consuetudine per battezzare questi nuovi esseri fece ricorso alla lingua greca e consultato un dizionario decisi di chiamarli “fagociti” ossia divoratori di cellule.
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