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Il bastone di Asclepio | ![]() |
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a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com] |
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MoliÈre o il malato immaginario Il malato piÙ che il male deve temere le cure! |
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Con queste premesse capite bene come il noto commediografo, il cui vero nome era Jean-Baptiste Poquelin nato a Parigi nel gennaio 1622, non avesse una gran simpatia verso la classe medica.
Non fu certo difficile mettere in ridicolo i medici del suo tempo che parlando in latino e vestendo gli abiti delle loro corporazioni, certamente creavano sproporzione tra un atteggiamento solenne e una sostanziale incapacità nelle cure. Sentendosi però in dovere di intervenire lo facevano maldestramente tanto che un tubercolotico veniva sottoposto ad incessanti digiuni e salassi, esattamente il contrario di una successiva auspicata ipernutrizione. La sua prima opera a tema fu “L’amore medico” dove tratteggiò diverse figure di medici del suo tempo, nascondendo i personaggi dietro pseudonimi ripresi dal greco il cui significato lasciava chiaramente intendere di chi si stesse parlando. Ecco, quindi, Macroton ossia “dal grande suono” che identificava chiaramente Guénot, medico personale della Regina, che infatti proferiva in tono solenne ed estrema lentezza o Bahys, cioè “colui che abbaia” e che rappresentava Esprit, il medico del fratello del Re, che era solito parlare rapidamente mangiandosi le parole.
L’anno seguente esce “Il medico suo malgrado” in cui Molière lascia dire ad un personaggio: “il salasso fa bene anche ai sani: è una cura in anticipo per la malattia che verrà!”
Con “Il signore di Pourceaugnac” Molière va avanti senza freni e davanti all’ipocondriaco Pourceaugnac fa esternare ai suoi medici precise accuse contro i pazienti ritenuti dispettosi verso chi cerca di curarli. “Io i rimedi li prescrivo, lui perché non guarisce?”
Nonostante ciò, il rapporto di Molière con i medici del suo tempo non fu, come si potrebbe pensare, conflittuale; fu molto amico di Armand de Mauvillan, decano della Facoltà e suo medico personale. Di lui parlava in termini molto affettuosi: “Facciamo piacevoli conversazioni, lui mi prescrive medicine, quando sono malato, io non le prendo e guarisco”.
La sua satira fu quindi sempre accettata con intelligenza e fu vista più come una visione pessimistica del suo universo poetico che una ostilità verso la classe medica. Lo attesta diverso tempo dopo lo scienziato Maurice Raynaud in un suo testo dal titolo “I medici al tempo di Molière. Costumi, istituzioni, dottrine” descrivendo in maniera perfetta il cerimoniale durante una seduta di laurea di medicina nel secolo XVII.
Sergio De Benedictis
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