Il bastone di Asclepio | ||||
a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com] |
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Il medico di Nerone che inventÓ la teriaca | ||||
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Gli storici dell’epoca, come Tacito, ci hanno tramandato di Nerone l’immagine di un imperatore tenebroso, folle e feroce, di una malvagità senza fine. Oggigiorno si tende ad essere un po’ più equilibrati e anche se non si disconosce una certa amoralità nella conduzione della sua vita politica, non lo si ritiene peggiore di altri suoi colleghi. Nella scelta dei suoi collaboratori, come spesso avviene nei regimi totalitari, preferì funzionari fedeli ed arrivisti a scapito della loro professionalità. Tali caratteristiche le ritroviamo anche nel suo medico personale, Andromaco il vecchio, medico cretese, che si guadagnò a lungo la protezione dell’imperatore muovendosi nella maniera giusta, adulandolo quel tanto che bastava e portando rispetto all’occorrenza. Non fu mai considerato un grande medico dai suoi colleghi, forse invidiosi, ma riuscì ad ottenere la nomina ad archiatra ed ebbe sempre l’appoggio di Nerone, anche durante le frequenti epurazioni. E’ noto che il nostro Andromaco non è che poi avesse tanto da fare, visto che fisicamente Nerone era uomo robusto, tendente forse ad ingrassare ma tutto sommato sano e vigoroso, in questo molto diverso dal suo malandato predecessore Claudio. Durante la giornata il nostro dottore poteva quindi dedicarsi alla sua passione che era quella di ideare nuove medicine o perfezionare farmaci già esistenti, al fine di ottenere il rimedio ad ogni male. Nell’antica Grecia ed in tutto il Medio Oriente era diffuso un potente antidoto contro i veleni: il mitridato, il cui nome deriva dal re del Ponto, Mitridate, che ne faceva largo uso. Temendo di essere avvelenato, assumeva giornalmente a piccole dosi questo “cocktail” di erbe velenose di sua invenzione. Ritrovata la ricetta tra le carte del re, il condottiero romano Pompeo la riportò nella “città eterna” e qui Andromaco la perfezionò e nell’ottica di conferire “all’intruglio” la proprietà di guarire quasi tutto, aggiunse nuovi ingredienti portando il loro numero a più di 60. Cambiò il nome del rimedio panaceico in “teriaca” che in greco aveva il significato di antidoto contro i morsi di serpente. D’altra parte uno degli elementi era proprio la carne di vipera, aggiunta, dopo essere stata lavata e bollita, mescolata con mollica di pane. Nerone, che voleva seguire da vicino la produzione del farmaco, aveva concesso una stanza della sua “Domus Aurea” ad Andromaco che l’aveva attrezzata come laboratorio. Lo stesso imperatore era solito assumere il farmaco ogni mattina a scopo preventivo contro temuti avvelenamenti. La sponsorizzazione di Nerone procurò al nostro archiatra fama ma soprattutto una nutrita clientela; all’apice del successo si cimentò pure nella poesia, dedicando al suo mecenate una serie di distici elegiaci che descrivevano, in maniera velata per non divulgarla, la ricetta della sua teriaca. Nei secoli successivi, trasformata e ulteriormente arricchita di erbe più o meno note, continuò ad essere protagonista della farmacopea ufficiale e non. Galeno ne esaltò l’azione portentosa nella sua opera “De teriaca ad Pisonem”; con l’introduzione di nuove spezie dall’Oriente nel XIV secolo fu istituito il Collegio degli Speziali che si occupò della materia portando i componenti a 74. In tutte le “spezierie” d’Italia rappresentò per un lungo periodo una voce importante nell’economia locale; la migliore era preparata a Venezia, potendo in loco disporre delle migliori “droghe” orientali. Sulla pubblica piazza venivano lasciati per tre giorni tutti gli ingredienti in modo che la cittadinanza si potesse render conto della genuinità della preparazione e poi si procedeva con la produzione alla presenza delle più alte cariche della Serenissima. |
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