Il bastone di Asclepio
a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com]
Un medico di tre Papi

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Sicuramente è ancora in tutti noi viva l'immagine malata di Giovanni Paolo II durante l'ultimo periodo del suo pontificato e di come comunque durante tutto il suo pontificato abbia dovuto più volte far ricorso a delle cure mediche. Tutto ciò propone alla nostra attenzione il rapporto tra un pontefice ed i medici che hanno la responsabilità della sua salute.

La medicina moderna prevede severi e collaudati protocolli di cura da assolvere tra le mura di una clinica da parte di equipè mediche e specialisti, ma in passato alla corte dei Re e quindi anche in Vaticano esisteva la figura dell'archiatra. Tale ruolo, soggetto a regolare nomina, risultava ambito in quanto massima aspirazione tra i più illustri clinici. Spesso il suo ruolo trascendeva dalle sue specifiche funzioni per occuparsi anche di questioni che con la medicina avevano ben poco a che fare.

Giovanni Maria Lancisi (1654-1720) fu chiamato in Vaticano da Innocenzo XI il "papa minga" perchè diceva sempre di nò; fu poi confermato nel suo ruolo da Innocenzo XII e a seguire da Clemente XI. Le sue lezioni di Anatomia presso la Sapienza erano sempre affollatissime e amava dissertare sui più svariati temi.

Aveva grande presa sul popolo e questo aiutò più volte sia lui che il Pontefice a tenere a freno i romani quando inspiegabili epidemie causavano morti improvvise; c'è chi dava la colpa al tabacco piuttosto che alla cioccolata, due vizi importati e allora di gran moda, o a misteriosi avvelenamenti.
Lancisi in un pubblico discorso spiegò come spesso si diceva improvvisa la morte di una persona già irrimediabilmente segnata e consigliò a tutti di condurre una vita igienica ed una alimentazione più morigerata.

Durante il suo periodo di attività ci furono anche diverse epidemie di febbre malarica. Sulle cause fu tra i primi a denunciare che la presenza di terreni palustri nel cincondario di Roma favoriva la malattia. Per la cura si adoprò affinchè diventasse comune l'uso della china, rimedio estratto dalla corteccia degli arbusti del tipo "chincona", introdotta in Europa nel 1649 dal Perù ad opera dei padri gesuiti.

Cercò di contrastare diverse credenze popolari sull'uso curativo di sostanze quali sangue di caprone, dente di cinghiale raschiato e sterco di cavallo, privilegiando invece l'applicazione di norme igieniche pubbliche come la pulizia delle strade e il deflusso delle acque stagnanti del Tevere.