Il bastone di Asclepio | ||||
a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com] |
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Siamo nati per soffrire? | ||||
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“ L'uomo entra al mondo nel dolore e lo abbandona nel dolore e tra la nascita e la morte passa nel dolore più tempo di quanto vorrebbe “ triste considerazione del farmacologo H.B. Murphree nella sua introduzione al capitolo sugli analgesici. E ancora il poeta John Milton (1608-1674) nel suo capolavoro “Paradise Lost” lamenta che : “il dolore è la perfetta infelicità, il peggiore di tutti i mali”. I medici di ogni tempo e ogni luogo si sono sempre trovati e ancor oggi quotidianamente si trovano a confrontare la loro scienza e la loro umana sensibilità con il dolore, che è certamente il sintomo di cui più frequentemente si lagnano i malati che ricorrono a loro. Di contro è anche il sintomo che riescono a curare più facilmente data la larga disponibilità di farmaci e di tecniche capaci di agire contro il dolore. Nel passato spesso è stata chiamata in causa la punizione o maledizione divina, l'intervento di forze sovrannaturali, magia ed influenza degli astri per spiegare l'insorgenza del dolore, interpretazioni che hanno spesso intralciato il cammino della scienza, che ha sempre cercato di spiegare i fenomeni con metodi razionali. Anche se fin dalla sua istituzione l'ospedale è nato con la funzione di dare una speranza ai malati sofferenti, è stato comunque in primo luogo etichettato come “tempio del dolore” quando i mezzi antalgici sicuramente scarseggiavano. E se guardiamo lo strumentario chirurgico di un tempo non possiamo non pensare che ciò abbia contribuito a creare un clima di “terrore” al pari di macchinari atti a facilitare operazioni di riduzione delle fratture ma che forse avrebbero trovato miglior impiego in qualche sala di tortura. E che dire del classico dolore da “mal di denti”, vero spauracchio per grandi e piccini. Ma consoliamoci se pensiamo che in passato il nostro “cavadenti” poteva essere un semplice barbiere a cui la classe medica demandava quelle pratiche più spicciole come appunto le cure dentarie e i classici salassi. “Tu partorirai con dolore...” ci ricorda il noto anatema biblico; e puntualmente attraverso i secoli il parto è stata primaria occasione di dolore, oltre che costante pericolo per la madre e il nascituro. Fin dai tempi di Ippocrate, a cui attribuiamo la frase “Divinum est sedare dolorem“, la medicina ha sempre cercato di trovare rimedi per lenire i dolori del paziente. Guaritori, maghi e ciarlatani offrivano la propria opera e le loro illusorie panacee, sfruttando la loro abile dialettica e la paura di soffrire dei loro interlocutori. Curioso osservare come oggi, una scientificità e tecnicismo esasperato della nostra società, ha portato ad un parziale ritorno di questi elementi irrazionali e fideistici. Anche se intorno al XVI secolo sono apparsi i primi farmaci provenienti dalla sfera della chimica inorganica anziché dal mondo vegetale, è da erbe e piante che medici e speziali del passato hanno tratto la maggior parte dei medicamenti per combattere il dolore. Oggigiorno, grazie ai moderni mezzi di indagine, sotto il patrocinio dell'O.M.S. - Organizzazione Mondiale della Sanità, vengono nuovamente studiate alcune specie vegetali, non senza interessanti scoperte. Vasto sarebbe l'elenco, ancor più se rivolgiamo il nostro sguardo anche su terre lontane africane o del sud-america dove la pratica è sempre stata più accentuata. Ma anche dietro l'angolo di casa troviamo piante come salvia e malva già utilizzate da Etruschi e Romani per applicazioni su ferite e infiammazioni superficiali. E ancora a fini antalgici, contro i dolori spastici viscerali o in quelli dei muscoli e delle articolazioni, abbiamo timo, tiglio, avena, pomodoro, origano, primula, rododendro, borraggine, girasole, noce moscata, bocca di lupo. Su tutte primeggiano però la mandragola, radice che spesso assume “forme umane” tanto da farle attribuire dalla tradizione popolare poteri sovrannaturali, e l'oppio estratto dalle capsule immature del papaver somniferum raccogliendone il lattice che trasuda. La prima, resa immortale dall'opera del Macchiavelli, la ritroviamo già nominata nella Bibbia come rimedio alla sterilità femminile, e fu il botanico e farmacista greco Dioscoride che le associò proprietà antalgiche coniando per primo il termine greco “anestesia” come sinonimo di insensibilità al dolore. Conosciuto già dai Sumeri nel quarto millennio prima di Cristo e descritto nel famoso papiro di Ebers, sicuramente l'oppio era tra gli ingredienti del “phàrmacon” utilizzato dalla bella Elena per liberare i suoi numerosi eroi dal dolore fisico. Dall'oppio nel 1807 il farmacista tedesco Federico Guglielmo Serturner estrasse il suo principale alcaloide, la morfina, ancor oggi utilizzata nei casi estremi. Tra i rimedi naturali non possiamo trascurare l'agopuntura, antico metodo curativo che ancora oggi, se operato da mani esperte, può offrire prezioso supporto all'attenuazione del dolore. Da notare che i suoi aghi, forgiati con metalli tra di loro diversi, lo accomunano ad un piccolo moderno strumento frutto della moderna tecnologia elettronica che agendo sui centri nervosi superiori annulla le stimolazioni dolorose che partono dagli organi lesi o malati. In questo non possiamo che vedere una congiunzione ideale tra passato e presente.
Come bella sarebbe la nostra vita senza dolore! Niente di più falso perché la natura non lascio nulla al caso e se siamo dotati della facoltà di sentir dolore ciò ha un senso. Non per niente la condizione opposta di non sentire affatto dolore è una ben nota patologia chiamata “ insensibilità congenita al dolore con anidrosi “, molto rara, che porta in molti casi a morte precoce chi ne è affetto. |
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