Solo negli ultimi anni la comunità scientifica ha dovuto ammettere che l’uso degli animali nella ricerca medica si è rilevata una logica piuttosto superficiale, costituendo un metodo antiscientifico e controproducente.
Si partì certamente col piede giusto quando nel IV secolo a.C. iniziò ad esercitare Ippocrate (460–377 a.C.), padre della medicina ma soprattutto della ricerca clinica e ancor più dobbiamo riconoscere la pratica di Galeno da Pergamo (129-201) che condusse i propri studi sul corpo umano, incontrando però ostilità da parte della Chiesa che riteneva le autopsie umane immorali.
Ciò costrinse lo scienziato a dirottare le sue attenzioni verso il mondo animale diventando a tutti gli effetti il primo vivisezionista della storia.
E l’oscurantismo ecclesiastico fu causa di errori e false congetture stante una traslazione animale-uomo che quasi sempre portò ad assunti poco attendibili. Un cambiamento nei metodi scientifici fu per molto tempo alquanto improbabile se Paracelso (1493-1541) fu allontanato dall’Università di Basilea per aver rinnegato i lavori di Galeno.
Ma i venti cambiavano e l’irruzione sulla scena di Andrea Vesalio, non a caso contemporaneo di Copernico, portò una vera “rivoluzione” e il suo lavoro “De Humani Corporis Fabrica” gettò le basi della moderna anatomia.
Strano può apparire ai giorni nostri ma una della accuse a lui mosse da parte della Chiesa fu quella di aver provato che uomo e donna hanno lo stesso numero di costole!
E fu solo e soltanto grazie all’indagine autoptica che William Harvey (1578-1657) potè dimostrare i meccanismi di circolazione del sangue e di come, attraversando i polmoni, si ricarica di ossigeno.
Gli studi di anatomia e la medicina tutta si giovò di tali pratiche che portarono alla classificazione di numerose lesioni e alla scoperta di tante malattie, ma la storia come sappiamo si ripete anche con i suoi errori e a metà del XIX secolo il francese Claude Bernard (1813-1878) riuscì a persuadere la comunità scientifica della “validità” della sperimentazione animale.
Per lui una malattia che non fosse riproducibile negli animali non poteva esistere nell’uomo; per lui l’effetto di medicinali e sostanze tossiche erano gli stessi sia sull’uomo che sugli animali. Il medico si sposta dall’approccio clinico che aveva sino ad allora sostenuto ad una attività di laboratorio.
Pochi osano mettere in discussione le sue idee, per paura di ritorsioni o di perdere il posto di lavoro.
Unica voce “fuori dal coro” fu quella del naturalista inglese Charles Darwin (1809-1892) che nella sua teoria evoluzionistica riportò sullo stesso livello gli uomini e gli animali, questi ultimi da non considerarsi “brutte copie” degli umani.
Le tecniche di sterilizzazione e pastorizzazione furono portate avanti da Louis Pasteur (1822-1895) senza l’utilizzo di cavie animali e quando poi sperimentò il vaccino contro la rabbia sui cani, lo sforzo portò solo beneficio agli animali stessi.
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Charles Darwin |
Louis Pasteur |
Anche Robert Kock (1834-1911), nonostante sia ricordato come un grande benefattore dell’umanità, ebbe a sperimentare su cavie animali salvo poi ricredersi e a fine carriera affermare: “un esperimento su un animale non dà alcuna indicazione sul risultato dello stesso esperimento su un essere umano”.
Nonostante ciò si continuò ancora per molto tempo a ritenere che una scoperta era valida solo e soltanto se poteva essere riprodotta sugli animali da laboratorio.
Agli inizi del ‘900 ci fu un forte sviluppo del settore farmaceutico a causa dell’aumento di domanda per antibiotici e vaccini e la comunità scientifica “legalizzò” la vivisezione anche grazie ad una legge approvata dal Congresso Americano che obbligava le Case Farmaceutiche a provare in sicurezza i propri prodotti, obbligando di fatto ad eseguire gli opportuni test su cavie animali.
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Ricordiamo tutti l’episodio tragico del talidomine, il tranquillante messo sul mercato ad uso delle gestanti e che provocò la nascita di migliaia di bambini focomelici. Non avendo un riscontro attraverso la sperimentazione animale fu lasciato in commercio per molto tempo; la ricerca su tessuti umani in vitro avrebbe evitato tutto questo.
Oggigiorno tecniche raffinate e computerizzate permettono di fare a meno degli animali da laboratorio, ma quanti ne abbiamo immolati inutilmente sull’altare della scienza!
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