Il bastone di Asclepio
a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com]
Un veleno che ci cura

torna all'indice

Il serpente è da sempre emblema della professione medica quasi sempre associato al bastone di Asclepio ed è riportato su molti francobolli associato ad eventi od associazioni di carattere medico.
Diverse emissioni hanno invece spesso illustrato in vignetta il serpente come animale nel suo habitat; due emissioni, di seguito riportate, illustrano come spesso qualcosa di letale, come il veleno che questi rettili producono, può invece risultare utile a curare particolari patologie.

A metà del XVIII secolo a Firenze presso la corte del granduca Pietro Leopoldo di Lorena il fisico Felice Fontana (1730-1805) scoprì che negli animali uccisi dal veleno delle vipere il sangue rimaneva fluido ma solo in seguito questo fenomeno fu applicato nel trattamento e prevenzione dei casi di trombosi. In particolare si dimostrò efficace il veleno estratto dalla specie nota come “Agkistrodon Rhodostoma” o vipera malese “della fossa”, immortalata nei bolli di seguito inseriti ed emessi dalle Amministrazioni di Laos e Thailandia.

Il nostro serpentello in età adulta può raggiungere i 90 cm di lunghezza, si dimostra lento nei movimenti ma aggressivo nel temperamento. Il termine “fossa” non si riferisce al suo habitat ma ad una piccola depressione presente sul suo corpo tra gli occhi e le narici; è questa una zona termosensitiva che gli permette al buio di “rintracciare” le sue prede dal sangue caldo.

Gli indigeni lo chiamano Ular Kapak Bodah”, letteralmente “serpente stupido perché anche se disturbato o spaventato non accenna a muoversi. Nel 1958 lo scienziato britannico H. Alistair Reid scoprì che nei soggetti colpiti dal morso velenoso non si riscontravano fenomeni emorragici e che il sangue non coagulava per un periodo che poteva superare anche le due settimane.

Nella pratica, come possiamo vedere nella vignetta del pezzo tailandese emesso per la Croce Rossa, il veleno viene estratto, ed in seguito isolato il principio attivo dell’anticoagulante, che una volta purificato viene conservato per poter essere iniettato in caso di bisogno; il preparato prende il nome di “Arvin”