Coutandin, mi confessò che egli arrivava sempre all'ora di cena perché alla sera si trova facilmente ospitalità e anche il cibo è maggiore per un semplice motivo:
tutti tornano a casa per la cena, ma non tutti i contadini rientrano per il pranzo ed all’imbrunire i giovani agricoltori rincasano molto affamati.
Nel pomeriggio le cuoche di casa hanno preparato “tutto quel che passa il convento”.
Il calié o ciavatin (calzolaio) abile riparatore di scarpe, socolé o sabót, commensale di quella sera era monsù Isoard che veniva dalla borgata
Meano (Perosa Argentina).
Di lui non so molto perché, lo vidi solo due volte reduce dal fronte, dove nel novembre del 1942, gli avevano amputato la gamba sinistra dal ginocchio in giù.
Portava con se una cassetta, in legno, apribile di fronte e in alto, forse ricavata da qualche “passeggino”… una specie di troller? Oppure un piccolo rimorchio ?
Entro questo “armadietto nomade” vi erano scatolette (tipo magnesia San Pellegrino) con diversi tipi di ciò (chiodi) e di smens (quelli piccolissimi) e anche strisce di cheuir (il cuoio morbido), e pure molte di curam (quello dai vari spessori), tutti elementi indispensabili.
In esso aveva una specie di incudine (una forma in legno) per dare alle scarpe la giusta sagoma e usava pure la iuta ed anche la gomma per completare il suo lavoro.
Il ciavatin era un artigiano che realizzava /riparava scarpe, ciabatte ed ogni altro tipo di calzatura.
Il loro lavoro si è ridotto perlopiù a sostituire il tacco ad una scarpa di un’anziana nonna che non può permettersi l’acquisto di una calzatura.
Questo mestiere è ormai un'esclusiva delle macchine, oppure rivolgersi - il 25 ottobre - ai santi patroni dei pochi calié: Crispino e Crispiniano.
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