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armi e metodi contro un quaderno di appunti di Franco Moscadelli |
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le impronte di Siena e di un Gaiole manuale... veri o falsi ?
Dall’amico Vanni Alfani, che ringrazio, ho ricevuto le foto di due lettere annullate SIENA in cartella. Una di colore sanguigna ed una di un bel colore rosso quasi porpora (foto 1 e 2).
A prima vista le impronte apparivano molto simili, ma l’inchiostro della seconda non aveva traccia di ossidazione e le piccole differenze di incisione opterebbero per un controllo più accurato. Stiamo facendo delle indagini più approfondite incrociate con spettrometri per classificare meglio l’impronta che se autentica sarebbe in eccellente stato di conservazione ... come nuova! Dovrebbe essere improbabile dopo oltre 200 anni. (La fotochimica della luce e dei pigmenti sono fasi obbligatorie come per l’uomo l’invecchiamento cellulare…)
foto 3
Qui ingrandita si nota benissimo l’impronta ritenuta
dubbia, foto 3. Facciamo due controlli anche con un’altra impronta originale. (foto 3a)
Mettiamo a confronto le due impronte che a prima vista sembrano uguali.
L’impronta superiore “dubbia” risulta leggermente più piccola in larghezza di 1,5 mm.
Sovrapponendole notiamo la S più arrotondata, la I simile, la E rotta e con il tratto centrale diverso, la N con il “pieno” inclinato più basso, la A con il “pieno” diverso ed inclinazione diversa delle grazie ed una in più in alto. Trattasi senza dubbio di un altro punzone.
Dato che il punzone venne pulito al passaggio dall’inchiostro nero a quello rosso, notiamo perfettamente le incongruenze, per cui possiamo concludere che si tratta di una falsificazione per frodare i collezionisti di storia postale toscana.
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Nella foto 5 vediamo un’altra impronta simile, naturale, ripresa da una lettera, circa del solito periodo, dove si nota la decisa differenza di colore. Comunque nelle foto all’infrarosso 6 e 7 risulta che il pigmento è anche poco coprente, per cui l’ipotesi più avvalorata è quella dell’uso di inchiostro di china mescolato ad inchiostro vegetale. L’indagine successiva fatta all’ultravioletto con luce sotto i 400 nanometri, foto 8, evidenzia l’uso di colla “vinilica fluorescente”, le cui tracce si trovano anche sulla busta, che fotografata a luce nera di frequenza inferiore,
le mostra ancora più dettagliatamente (lasciate presumibilmente dal falsario e che a luce ambiente non si vedono). La colla arabica dell’ottocento ha un ottimo assorbimento alle radiazioni infrarosse e ultraviolette, per cui risulta scura nelle foto positive, invece quelle moderne per contro, hanno poco assorbimento risultando molto più chiare nelle foto positive e più scure nelle negative, come nella foto 10 : notare il punto più grande al centro della lettera ed i puntini vicino al francobollo. Inoltre si notano delle piccole “sbaffature” come se il francobollo, (un bell’esemplare da 10 centesimi ocra-arancio dell’emissione del 1863 con l’effigie di Vittorio Emanuele II volto a sinistra) fosse stato usato e riutilizzato. E’ molto improbabile che si sia usato un tale francobollo “nuovo” di alto valore di catalogo, per creare un documento postale usato di minor valore.
Per cui sono certo che si tratti dell’ennesimo trucco per frodare i collezionisti di storia postale.
(continua) |
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