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Tra ospedali da campo e fucilazioni. Un cappellano militare pesciatino racconta | |||||||
Enrico Bettazzi | |||||||
PERCORSO: le schede > Posta militare e dintorni > questa pagina Michelangelo Giuntoli, nato a Pescia, era parroco della chiesa di Castellare, frazione della cittadina valdinievolina. Il 15 luglio del 1915, a poco più di un mese dall’entrata in guerra, partì per il fronte, con assegnazione presso il 69° Reggimento di fanteria, che assieme al 70° Rgt. faceva parte della Brigata Ancona.
Dell’esperienza militare ha lasciato ampia testimonianza ai bambini delle scuole pistoiesi, che nel 1929 lo intervistarono in merito e trascrissero le memorie nel quaderno, ora n. 340, custodito presso la locale Biblioteca Forteguerriana nel Fondo “La scuola in mostra”. “Eravamo presso Cima Vescuro: una compagnia del mio 69° reggimento Fanteria, fu mandata per resistere all’attacco e tenere posizione della cima stessa, contro un battaglione di Bavaresi. Era di notte tempo e la compagnia partì sotto una bufera di tormenta e di neve. Per raggiungere la posizione, doveva salire in cima alla montagna tutta a picco e con un dislivello di circa 1800 metri. Appena raggiunta la posizione, incominciò l’attacco dei Bavaresi. La compagnia sfinita di forze, non potè resistere all’urto nemico tre o quattro volte più numeroso dei nostri soldati, e fu costretta dopo di aver veduto cadere quasi tutti i suoi, ad abbandonare la posizione. In quel triste momento, si dice che ruzzolassero le marmitte assieme ai soldati, giù per quei precipizi del monte. In seguito a questo fatto il mio reggimento si chiamò Scappa o Marmitte titolo davvero poco onorifico ma ben presto rivendicò quel nome perché in altri combattimenti e specialmente sul Saikof fu tra i più valorosi.” Il cappellano militare racconta come poi abbia avuto fortuna diverse volte al fronte, perdendo per cannoneggiamento nemico prima l’attendente Pintossi di Arezzo e poi l’altro attendente Consani, suo concittadino. La vita in trincea era estenuante per i soldati, con reiterati e frequenti assalti frontali o esposizione ai cannoneggiamenti nemici in fangose ed insalubri trincee; iniziarono le prime diserzioni e pesante fu subito la mano dei comandi; difficile comunque trovare traccia di episodi repressivi nelle cronache e nei resoconti ufficiali. In questo caso preziosa è la testimonianza del cappellano militare pesciatino, che fu diretto testimone di un caso di fucilazione: “...mi ritrovai al km.27, qui vidi scendere da un camion i sette soldati da fucilarsi. Un brivido mi scosse tutto! I condannati avevano la giubba sbottonata, le scarpe sciolte, la faccia spaventosa. Venivano dal Tribunale di Guerra e aspettavano la Grazia Sovrana. Mi feci forza e comunicai loro che purtroppo la grazia non era giunta e che si preparassero, come dovevano, al passo fatale della morte. Offrite a Dio in sacrificio la vostra vita, dissi loro, e pentitevi di tutti i peccati commessi contro Dio, contro il prossimo e contro voi stessi. Chiedete perdono a Dio del tradimento consumato verso la Patria e vi saranno aperte le porte del cielo. Si, risposero, essi, ce ne pentiamo e chiediamo per..do..no. E così dicendo, uno di loro mi abbracciò ed a nome degli altri, disse: siamo rassegnati, scriva alle nostre famiglie, alle nostre mamme, alle mogli, ai nostri figli e dica loro che si mantengano onesti e buoni e che preghino Iddio per noi. Si figliuoli risposi, io eseguirò le vostre ultime volontà. E col tremito nell’ossa e un forte convuslo li benedissi e legai loro le bende. Il momento era solenne: le rappresentanze dell’Artiglieria, della Fanteria, del genio, degli Alpini, dei Bersaglieri, erano al loro posto: un gran silenzio di morte regnava in quel recinto e un gran terrore era dipinto su tutti i volti. Il Colonnello lesse ad alta voce: in nome di S. Maestà Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e volontà della nazione Re d’Italia; in virtù della legge marziale sulla pena di morte, sancita dal Codice Militare contro i soldati che in combattimento si ritirano dinanzi al nemico: in forza della sentenza del Tribunale di Guerra che ha già condannato alla fucilazione i soldati presenti, in ossequio all’ordine della divisione a me comunicato di dirigere l’esecuzione della condanna di morte, ordino che i sette condannati siano immediatamente passati per le armi: appena il Colonnello ebbe terminate queste parole, l’aiutante Maggiore sfoderò la sciabola, la innalzò e lentamente l’abbassò fino a terra. Allorchè la punta della sciabola toccò il suolo, le squadre spararono contemporaneamente sui fucilandi, e poiché due di essi non erano morti ed emettevano dei lamenti, furono sparati due colpi di moschetto sulla tempia perché cessassero di soffrire. Fu scavata poi una fossa ed ivi furono sepolti quei sette disgraziati. Prima di partire il Colonnello adunò Ufficiali e Soldati dicendo loro che la fucilazione, per quanto sia una condanna spietata e feroce è necessaria in tempo di guerra specialmente perché tutti i soldati sentono e praticano il patrio motto: Duce et decorum est pro Patria mori (È dolce e decoroso morire per la Patria). Quei sette condannati, aggiunse, si sono macchiati di un’onta incancellabile andando incontro ad una morte che li disonora, mentre potevano restare vittime gloriose, offerte in olocausto alla Patria! Finì il suo discorso dicendo a tutti che fosse di esempio il tragico fatto di quella mattina e ritornammo mesti, mesti alla nostra baracca. …” Nel quaderno sono raccolte altre testimonianze della vita al fronte, mentre le corrispondenze reperite sono relative solo alla presenza dalla fine del 1916 presso ospedali da campo. Padre Giuntoli prestò servizio prima presso l’Ospedale da Campo 086, inquadrato nella 2ª
Armata, per poi nel giugno 1918 passare all’Ospedale da Campo 014 nella III Armata, da poco attivo.
“Z. Guerra 5-VI-918
https://www.storiaememoriadibologna.it/fanteria-69-e-70-reggimento-brigata-ancona-145-organizzazione Biblioteca Comunale Forteguerriana, Fondo “La scuola in mostra”, quaderno n. 340 M.PALLINI, Ricordi di un cappellano militare, in QF Quaderni di Farestoria, a. XIX,n.2 (maggio-agosto 2017) Enrico Bettazzi |