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Filippo Romolo Neri, destinato ad essere ricordato come "santo della gioia" e "buffone di Dio", era figlio di un notaio e nacque a Firenze il 21 luglio 1515. Fu un bambino molto vivace, anche se la sua infanzia venne turbata dalla morte della madre. La nuova moglie del padre si affezionò però a lui e ai suoi fratelli, e insistette perché Filippo ricevesse una buona e rigorosa educazione, incoraggiandolo a frequentare il collegio di San Marco Evangelista, all'epoca diretto da Girolamo Savonarola. Qui studiò fino al compimento del diciottesimo anno di età, appassionandosi tra gli altri a due testi che avrebbero influenzato il suo successivo apostolato: le Laudi di Jacopone da Todi e le Facezie del Pievano Arlotto, una sorta di raccolta di battute e scherzi attribuiti ad un certo Arlotto Mainardi, sacerdote vissuto oltre un secolo prima a Firenze. Inviato nel 1533 a Cassino, presso suo zio Bartolomeo che avrebbe dovuto avviarlo ad una carriera di commerciante e che, privo di figli, si affezionò a lui al punto di nominarlo suo erede, Filippo cominciò a sentire il richiamo della vita religiosa, fino a recarsi in pellegrinaggio a Roma sul finire del 1534. In questa città avrebbe trascorso il resto della sua vita, anche se prima di diventare sacerdote passeranno ben quindici anni. In un primo momento Filippo trovò un lavoro ed un alloggio presso un funzionario delle dogane papali di origine fiorentina, il quale gli affidò l'incarico di istitutore dei suoi figli. Viveva in una stanzetta piccolissima, quasi monacale, e riceveva come compenso uno scarso vitto, ma aveva il tempo per seguire dei corsi di teologia e filosofia e trascorreva lunghe ore in preghiera e contemplazione. E' probabilmente in questo periodo che, oltre a conoscere Tommaso di Loyola, cominciò a dedicarsi alla cura dei poveri e dei malati. Nel 1544, in seguito ad un'esperienza mistica particolarmente intensa o secondo alcuni perché i figli del doganiere Caccia erano ormai cresciuti, Filippo abbandonò la casa dove aveva vissuto fino ad allora per darsi ad una sorta di "eremitaggio cittadino". Vagava per le strade di Roma dormendo sotto i portici delle chiese o in ripari di fortuna e vivendo della carità di amici e commercianti. Andava in giro vestito con una tonaca munita di cappuccio, e approfittava delle prese in giro di cui molto spesso gruppi di giovani lo facevano oggetto per ribattere con parlantina abile e divertente, trasformando presto lo scambio di battute scherzose in una bella predica. E queste prediche un qualche risultato lo ebbero, perché intorno a Filippo si riunì presto un bel gruppo di giovani che andarono a formare la Confraternità della Trinità, detta anche "dei convalescenti" per le cure prodigate ai malati poveri delle borgate romane, o "dei pellegrini" per l'assistenza fornita ai viandanti in occasione dell'Anno Santo del 1550. Una volta ordinato finalmente sacerdote, nel 1551, Filippo aggiunse a queste attività anche quella di confessore, per la quale era molto ricercato, e che gli permise di avvicinare altre persone e coinvolgerle nelle sue attività: molti di loro presero in seguito i voti, andando a formare il primo nucleo di quello che diventerà il celebre Oratorio, che dalla prima sede posta in un granaio sopra la navata della chiesa di San Girolamo della Carità si spostò nel 1564 in San Giovanni Battista dei Fiorentini e finalmente, nel 1575, a Santa Maria in Vallicella, sede ufficiale della Congregazione dell'Oratorio, alla quale proprio in quell'anno papa Gregorio XIII conferì dignità canonica. I beneficiari dell'attività dell'Oratorio erano essenzialmente ragazzi e giovani di umile estrazione, anche se alle iniziative partecipavano spesso e volentieri artisti, musicisti e uomini di scienza. Anche il cardinale Carlo Borromeo, che avrebbe voluto portare Filippo a Milano, era tra i frequentatori dell'Oratorio. Filippo tuttavia, dopo aver rinunciato su pressione di un confratello al richiamo di una spedizione missionaria in Asia, rimase per tutta la vita a Roma, tra i suoi giovani discepoli, che oggi forse definiremmo "ragazzi di strada", ai quali andava tra uno scherzo e un predicozzo ripetendo i suoi ormai proverbiali rimbrotti in romanesco Dal "Te possi morì ammazzato... sì, ma ppe' la fede!" allo "State bboni... se potete." destinato a diventare secoli più tardi il titolo di un film (Luigi Magni) e di un album discografico (Angelo Branduardi) ispirati alla sua vita. E' stato invece Gigi Proietti a portare sullo schermo, con uno sceneggiato televisivo, un'altra delle frasi celebri di Filippo Neri: "Preferisco il paradiso", rivolta a papa Clemente VIII che lo voleva nominare cardinale pochi mesi prima della sua morte, avvenuta nella notte tra il 25 e il 26 maggio 1595 dopo una lunga malattia.
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IL FRANCOBOLLO Emesso dall'Italia il 22 luglio 2015 nel quinto centenario della nascita Yvert 3583 Dentellato 11 |
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