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Ultimo dei tre papi di origine africana, Gelasio definì se stesso come romanus natus in una lettera all’imperatore romano d’Oriente Anastasio II. Il Liber Pontificalis, memoria ufficiale dei vescovi di Roma, lo indica come afer, africano. Pare dunque assodato che sia nato nell’Africa Proconsolare, e con tutta probabilità nell’odierna Cabilia, regione dell’Algeria orientale abitata da millenni da popolazioni di etnia berbera, e anche se molti reperti agiografici lo vogliono di carnagione scura, aveva quasi sicuramente la pelle bianca, come il suo conterraneo e ispiratore Agostino di Ippona. Poco o nulla si sa della sua vita prima di diventare papa, se non che il suo predecessore Felice III lo aveva spesso incaricato di redigere testi dottrinali e documenti ecclesiastici, il che fa presupporre che fosse dotato di una solida formazione umanistica e giuridica. Non a caso, tra i meriti che sono a lui ascritti, figura quello di essere stato il primo a scrivere compiutamente sulla spinosa questione dei poteri ecclesiastici e temporali. “Due -scrisse in una lettera sempre ad Anastasio II- sono, Augusto Imperatore, quelle che reggono principalmente questo mondo: la sacra autorità dei vescovi e la potestà regale. Delle quali tanto più grave è la responsabilità dei sacerdoti in quanto devono rendere conto a Dio di tutti gli uomini, re compresi.” E si riferiva al potere temporale, che definiva come potestas e a quello spirituale, una auctoritas che derivava dalla divina istituzione, da parte di Cristo, della Chiesa: una distinzione di non poco conto se si considera che il diritto romano considerava l’auctoritas superiore alla potestas. Divenuto papa nel 492, fu dunque uomo di dottrina al quale, in materia di diritto ecclesiastico, viene attribuita la formulazione di principi destinati a diventare punti fermi del diritto canonico, al punto di essere inseriti nella costituzione dogmatica del Concilio Ecumenico Vaticano II: è lui che per primo ha usato la definizione “Vicario di Cristo” per indicare il papa. Ed è sempre lui ad essersi distinto dell’opposizione ad alcune delle eresie che all’epoca minacciavano la dottrina di Roma, come il pelagianesimo, il monofisismo e il manicheismo. Al tempo stesso fu anche un vescovo di Roma attento ai bisogni materiali della sua gente, e molto amato dal popolo, che soccorse e aiutò durante l’invasione di Teodorico (con il quale del resto riuscì ad instaurare rapporti improntati al reciproco rispetto), giungendo a intaccare le proprie stesse fortune pur di aiutare i bisognosi in un periodo caratterizzato da saccheggi e carestie. “Morì povero, dopo aver arricchito i poveri” scrisse di lui Dionigi il Piccolo quando, al termine di un papato breve ma dinamico durato poco più di quattro anni, morì il 19 novembre del 492. Due giorni dopo le sue spoglie furono deposte nel portico di San Pietro, dove tuttora riposano, e in questa data ha poi fissato la sua celebrazione il Martirologio Romano, che così lo descrive: "A Roma presso san Pietro, san Gelasio I, papa, che, insigne per dottrina e santità, onde evitare che l’autorità imperiale nuocesse all’unità della Chiesa, illustrò con vera profondità di analisi le prerogative dei due poteri, temporale e spirituale, sostenendo l’esigenza di una mutua libertà; spinto dalla sua grande carità e dai bisogni degli indigenti, per soccorrere i poveri morì egli stesso poverissimo"
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IL FRANCOBOLLO Emesso dalla Tunisia Yvert 1910 |
IL SANTINO |