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In quei giorni (e cioè poco dopo l’Ascensione di Gesù al cielo). Pietro si alzò in mezzo ai fratelli e disse: “Fratelli, era necessario che si adempisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, che fece da guida a quelli che arrestarono Gesù. Egli era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. Giuda comprò un pezzo di terra con i proventi del suo delitto e poi precipitando in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere. La cosa è divenuta così nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, che quel terreno è stato chiamato nella loro lingua Akeldamà, cioè Campo di sangue. Infatti sta scritto nel libro dei Salmi: La sua dimora diventi deserta, e nessuno vi abiti, il suo incarico lo prenda un altro. Questo è, secondo i versetti 12-26 del primo capitolo degli Atti degli Apostoli, il resoconto di come Mattia, che era già comunque nel numero di quelli che secondo la tradizione cristiana orientale vengono definiti i 70 apostoli, e che per la cristianità occidentale sono invece indicati col nome di discepoli, prese il posto del traditore Giuda Iscariota dopo che questi, assalito dai rimorsi, aveva coi proventi del suo tradimento acquistato un pezzo di terra dove poi si era suicidato. Si noti come il racconto di Pietro (che in molti particolari differisce da quanto riferito sulla morte dell’Iscariota nei Vangeli) finisca in qualche modo per riabilitare la figura di Giuda, riconoscendogli in ultima analisi un ruolo di esecutore della volontà divina, espressa dallo Spirito Santo per bocca di David nella Bibbia: era “necessario”, afferma Pietro, che tra i Dodici vi fosse un traditore, affinché ciò che era scritto fosse compiuto. Era dunque, Mattia, uno dei seguaci più fedeli di Gesù fin dalla prima ora, tanto che è il Maestro stesso a includerlo (Luca 10.1-2) tra i 70 (72 secondo altre versioni) apostoli-discepoli ai quali ordina di andare “a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dov'egli stesso stava per andare”. Della sua vita prima della chiamata non si ha nessuna notizia, anche se alcuni apocrifi lo descrivono come nativo di Betlemme, da una nobile famiglia della tribù di Giuda, una delle dodici di Israele, alla quale apparteneva anche l’apostolo traditore. Dopo la Pentecoste invece Mattia fu secondo alcuni inviato in Etiopia, dove sarebbe poi stato crocifisso, ma forse c’è confusione con il suo quasi omonimo Matteo. Altre fonti riferiscono di una sua predicazione lungo le coste del Ponto (l’odierno Mar Nero) e della sua morte a Sebastopoli, dove sarebbe sepolto. Ed esiste anche una narrazione che lo vuole condannato a morte per lapidazione a Gerusalemme; secondo questa tradizione, dopo la morte Mattia fu decapitato con un’alabarda, che infatti come è possibile notare nel nostro santino ricorre spesso nell’iconografia del santo. A Mattia, la cui celebrazione è fissata dal Martirologio Romano al 14 maggio, è attribuito anche un Vangelo (e infatti il libro è un altro dei simboli ricorrenti della sua iconografia) che il decreto di Gelasio dichiarò apocrifo nel VI secolo.
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IL FRANCOBOLLO Emesso dal Principato di Monaco il 3 aprile 2000 Dentellato 13 ¼ Yvert 2237 |
IL SANTINO |