l'impagliatore


Emesso da San Marino
il 19 settembre 2002
Dentellato 13
Yvert n. 1827


Sant'Antonio abate, patrono degli impagliatori
a cura di Gianni V. Settimo
Nelle abitazioni di campagna avere sedie sfondate significava dover attendere, solitamente dopo la vendemmia, l'arrivo stagionale del "cadreghè" (impagliatore).

Questo abile artigiano usava per impagliare delle semplici "tërse" (trecce) ricavate dal "moiis" (acorus calamus), una pianta economica che cresce nelle zone paludose. Questo vegetale, meglio conosciuto come "acoro", dopo la raccolta era essiccato, conciato e tagliato a lunghe "lësche" (fettucce).

Esse erano attorcigliate come delle cordicelle dalle abili mani delle donne famigliari del cadreghè e usate per riparare i piani sfasciati delle sedie. Tutto il lavoro di preparazione si svolgeva in casa durante il periodo invernale o quando pioveva e non era possibile lavorare nei campi.

L'impagliatore ambulante è scomparso da qualche tempo, ma di lui mi è rimasto un languido ricordo perché, pure Lui, come tutti i lavoratori vaganti, non disdegnava di intrattenersi con me ed i miei cugini.

Veniva dalla montagna, si chiamava Carlin Bich e amava raccontare, al pari dei suoi colleghi, storie su luoghi da lui visitati e sul triste periodo trascorso in prigionia durante gli anni della prima guerra mondiale. Affermava di essere stato catturato dagli austriaci e poi "liberato" dai russi, che lo trasferirono prima in Siberia e poi sulla costa settentrionale nella città d'Arcangelo.

Al termine del conflitto, una Commissione del Governo Italiano lo prelevò assieme ad altri compatrioti e fu condotto a Tien-Tsin e poi a Pechino. Riuscì a ritornare a casa solo nel 1921.

Forse ha inventato, magari ha esagerato... non importa... mi ha fatto sognare.