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La bollatura preventiva di giornali e stampe |
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di Franco FILANCI | ||||||||||||||
In risposta a Luca Piatti, che merita una risposta più precisa e approfondita sul bollo STAMPATI FRANCHI che non è un annullo ma un’impronta di valore a stampa, anche se impressa localmente (come i primi e tanto decantati francobolli di Bermuda). Questi bolli-franchi, normalmente impressi in rosso, recavano il nome delle varie città italiane in cui si pubblicavano non solo quotidiani con una discreta diffusione ma pure libri, circolari, listini e altri stampati commerciali, ovvero quelle in cui esisteva almeno una tipografia in attività, il che escludeva anche vari capoluoghi di provincia. In periodo italiano il loro impiego riguardò i giornali e i periodici soltanto sino alla fine del 1862, in attesa che fossero pronti i nuovi bolli-franchi dedicati. In seguito i bolli Stampati franchi furono impiegati solo – e sempre meno – per la bollatura di circolari, listini e altre pubblicazioni più o meno occasionali, di solito con l’impronta da 2 centesimi. Curiosamente questi bolli-franchi con valore in centesimi furono inviati per l’uso anche nelle Provincie napoletane ancor prima che vi fosse introdotta la lira, per risparmiare sugli equivalenti francobolli da ½ tornese e ½ grano. A risparmiare ci pensava il bollo preventivo, che non richiedeva neppure l’annullamento, ora riservato ai “giornali stampati sopra un solo foglio” (e bastava 1 cent. se non superava i 20 grammi), e addirittura “obbligatorio per i giornali che gli editori spediscono sotto una sol fascia ai loro corrispondenti perché ne curino la rivendita e la distribuzione”: di qui il cambio da STAMPATI, generico, al più preciso PERIODICI FRANCHI. Ovviamente era disponibile soltanto “nelle Direzioni postali delle città principali del Regno” e presso uno speciale “Uffizio per la bollatura preventiva della carta destinata alla stampa dei giornali”, e richiedeva qualche cautela, sia perché la bollatura avveniva in varie località (ce ne manca l’elenco) e il controllo poteva non essere costante, sia perché un bollo si falsificava più facilmente di un francobollo. Per questo solo un anno dopo, il 10 ottobre 1863, la Direzione generale inviò ai Direttori compartimentali una seconda serie di bolli PERIODICI FRANCHI recanti dei “segni segreti” – delle tacche sul filo esterno – da mettere in uso “senza che gli impiegati e tanto meno gli inservienti incaricati di tale lavoro ne siano informati”. Ma era un timore infondato: nei suoi quasi 30 anni di vita – il sistema restò in vigore fino al 20 luglio 1890, sostituito dal nuovo metodo dell’abbonamento postale – pare non risultino problemi di falsificazione. Fondata è invece la conclusione che i filatelisti abbiano preso una solenne cantonata trascurando questi valori – sì, proprio “valori postali” visto che presentano l’indicazione della cifra che si doveva spendere per averli, come qualunque francobollo – o limitandosi a valutare quelli scoperti nel loro orticello. Bibliografia GiovanBattista Cresto, I bolli ad umido, su Il Francobollo n. 69, Milano 1898 (riproposto su L’Arte del Francobollo n. 8 pag. 59) |