C’era una volta un lembo di terra che univa l’Egitto alla penisola del Sinai e che, allo stesso tempo, divideva il Mar Rosso dal Mar Mediterraneo.
Chiunque dall’Europa voleva salpare verso i porti asiatici, o viceversa, doveva perciò circumnavigare tutta l’Africa e questo significava tempo (tanto tempo) e denaro (tanto denaro).
Non c’è da stupirsi quindi se ad un certo punto, precisamente nel 1854, il francese Ferdinand de Lesseps ottenne dal pascià egiziano Said la concessione per tagliare quella striscia di terra.
Gli interessi economici fecero sì che l’idea, sebbene difficile da attuare, fosse presa in considerazione e valutata con attenzione.
Ci fu chi si oppose strenuamente perché vedeva minata la propria egemonia marittima, ma nel 1869, su progetto dell’italiano Luigi Negrelli, il Canale di Suez divenne realtà.
Complicato lavoro di ingegneria idraulica, a molti sembrò un miracolo.
Ci vollero 10 anni per scavare quel canale che in 164 Km collega via mare Porto Said a Suez.
Gli antichi egiziani prima, i mercanti veneziani nel Cinquecento e l’Europa colonialista agli inizi dell’Ottocento pensarono e tentarono di progettare un collegamento attraverso l’istmo di Suez.
Agli egizi dei faraoni l’opera riuscì ma rimase utilizzabile solo per alcuni secoli, tornando poi semisepolta dalla sabbia.
Dal 17 novembre 1869, grazie alla Compagnie Universelle du Canal Marittime de Suez, navi fino a 260.000 tonnellate a pieno carico possono compiere il percorso toccando la città di Ismailia e passando attraverso i Laghi Amari.
Storia travagliata quella del Canale di Suez.
La posizione strategicamente importante e gli ingenti interessi legati al passaggio di merci e greggio spinsero le grandi potenze Francia e Gran Bretagna a tentare di acquisirne il possesso e la gestione.
I rapporti piuttosto tesi tra i vari paesi arabi e la questione israeliana aggravarono la situazione.
Scintille e venti di guerra, anche alimentati ad arte dall’esterno, hanno influito sia sui rapporti politici tra Stati che sull’utilizzazione del canale.
In più occasioni i territori ad est e ad ovest dell’istmo sono stati occupati militarmente e il passaggio alle navi interdetto.
Il primo stop fu nel 1956, quando aerei francesi e inglesi, in risposta alla nazionalizzazione del Canale da parte del presidente egiziano Nasser, bombardarono e affondarono una nave al suo interno, bloccando di conseguenza il passaggio di qualsiasi altra imbarcazione.
Il secondo stop, undici anni più tardi.
La mattina del 5 giugno 1967, come sempre, molte navi si apprestavano ad attraversare da sud a nord il canale di Suez. L’una dietro l’altra, rispettando la distanza di un miglio marino avanzavano a circa 9 nodi.
All’improvviso caccia israeliani sorvolarono il convoglio e cominciarono a bombardare le postazioni egiziane sulla parte occidentale dell’istmo.
Si scatenò l’inferno.
Molte navi si ammassarono all’interno del Grande Lago Amaro (Great Bitter Lake, in inglese), la zona più larga lungo il Canale.
Continuavano i passaggi di aerei e i bombardamenti. Gli egiziani rispondevano al fuoco. La situazione si fece molto pericolosa.
Si decise di far defluire le navi il più velocemente possibile in entrambi i sensi. Molte quindi tornarono indietro e altre avanzarono verso nord.
Pur nella concitazione generale un gran numero di navi riuscì ad uscire … ma non tutte.
Quando si diffuse la notizia che i due imbocchi del Canale non erano più agibili per la presenza di relitti e resti di chiatte, all’interno della via d’acqua erano presenti ancora 15 navi. Per i comandanti e gli equipaggi iniziò un’avventura unica.
Le MS Djacarta e MS Baleslaw Bierut polacche, le britanniche MV Scottish Star, MS Port Invercargill, MS Melampus, MS Agapenor , la MS Vasil Levski bulgara, la MS Sindh francese, le svedesi MS Nippon e MS Killara, la MS Lednice cecoslovacca, le tedesche MS Munsterland e MS Nordwind e la Statunitense MS African Glen rimasero intrappolate e ben presto capirono che avrebbero dovuto rimanere lì per parecchio tempo. E gettarono l’ancora nel Grande Lago Amaro.
Un’altra imbarcazione, la nave USA MS Observer, era all’interno del Canale ma resti di navi affondate le impedivano di raggiungere gli altri equipaggi: rimase isolata ancorandosi nel lago Timsah presso Ismailia.
Incertezza su ciò che li aspettava e timore serpeggiavano tra i componenti degli equipaggi.
La guerra tra Egitto ed Israele, che verrà detta “dei 6 giorni”, terminò senza che la situazione per le navi cambiasse.
Fu chiaro a tutti che prima che il Canale venisse sgomberato dai relitti avrebbe dovuto trascorrere del tempo.
Poiché le navi non potevano essere abbandonate (secondo il diritto le res derelicte possono essere acquisite da chiunque), gli equipaggi cominciarono a ragionare sul da farsi. I più intraprendenti s’incontrarono per fare il punto della situazione.
Vennero inventariate le scorte alimentari e i pezzi di ricambio; si decise di aiutarsi per il mantenimento delle navi.
Molte ore venivano impiegate per lavori di gestione e quotidiana manutenzione, ma il tempo che restava era ancora tanto e la forzata “prigionia” rischiava di demoralizzare gli animi e fiaccare i corpi.
Nacque pertanto l’esigenza di sollevare il morale agli uomini.
Gli incontri si intensificarono. Gli uomini del Grande Lago Amaro si sentivano sempre più parte di un’inconsueta società formata da persone di 8 nazionalità diverse.
Così nell’ottobre del 1967 si costituì la Great Bitter Lake Association con scopi di aiuto reciproco, coesione e svago. Si organizzarono attività sportive: regate, gare di tiro, gare di nuoto. Venne fondato anche un circolo velico. Sul Killara ci si ritrovava per un bagno in piscina, sul cargo bulgaro Vasil Levsky era attivo un cinema, sulla Nordwind si poteva partecipare alle funzioni religiose.
Il ponte della Port Invercargill, molto ampio, spesso si trasformava in un campo da calcio.
In ogni comunità che si rispetti nasce l’esigenza di un sistema postale e la GBLA non si sottrasse a questa regola.
Vennero create delle etichette da utilizzare sulla posta in partenza verso casa e, in un secondo tempo, verso gli indirizzi di collezionisti di tutto il mondo.
Le etichette erano disegnate a mano, talvolta direttamente sulla busta e variamente dipinte, in alcuni casi ciclostilate con l’unico macchinario a bordo della nave cecoslovacca Lednice.
Era il capitano George Kudrna in persona che da ogni master copy poteva realizzare fino a 100 fogli.
Vennero anche preparati dei timbri di gomma per personalizzare le etichette e altri, uno per ogni nave, sui quali figurava un’ancora, simbolo del GBLA, il numero 14, due righe parallele e oblique a simboleggiare il Canale e, disposti a cerchio, “mailed on bord” e il nome della nave.
Etichette nuove con diversi soggetti furono approntate per ogni ricorrenza: il Natale, i 500 giorni del GBLA, le regate e, dolce e nostalgica, la festa della donna.
Nell’ Ottobre del 1968, in concomitanza dei giochi olimpici a Città del Messico, anche nel Great Bitter Lake atleti di 8 nazioni si sfidarono in 14 discipline sportive e anche questo avvenimento venne raccontato dalle etichette GBLA.
Ovviamente le lettere “affrancate” in partenza dalle navi con le “emissioni” del sistema postale del GBLA e annullate con i timbri realizzati a mano venivano poi completate a Port Said o a Tewfik o a Suez con i francobolli egiziani in esatta tariffa e avviate a destino.
Sono noti tuttavia anche documenti postali con le sole etichette GBLA regolarmente inoltrati e non tassati.
Altre buste recano francobolli egiziani solo a scontare la tariffa per servizi accessori come la raccomandazione o l’espresso.
A questa casistica si possono aggiungere altre missive che hanno regolarmente viaggiato con francobolli dello Stato di appartenenza della nave da cui sono state spedite.
Le creazioni filateliche stampate dal GBLA non sono attribuibili ad uno Stato sovrano, né seguirono in nessun modo il percorso che porta alla creazione e all’uso dei francobolli ufficiali. Ci sono fonti che affermano che le etichette del GBLA, per la particolarissima situazione in cui nacquero, vennero accettate come affrancatura dalle Poste dell’Egitto, di Austria, Grecia, Svizzera, e che nel luglio del 1968 ebbero addirittura il crisma dell’ufficialità dal Bureaux International dell’UPU, che ne avallò l’uso sulla corrispondenza per tutto il mondo. E’ difficile nutrire certezze su questo punto dopo 45 anni, certo è che collezionisti di molti paesi chiesero e ottennero dai capitani delle navi di ricevere posta affrancata GBLA. Il denaro ricavato dalla vendita delle etichette era utilizzato per i bisogni dell’associazione.
Una delle attività che tenevano impegnati i membri degli equipaggi per qualche ora, solitamente la domenica, era quella di apporre a mano i timbri delle navi ancorate nel Grande Lago Amaro su buste e cartoline in partenza.
All’uopo era stato approntato un ufficio postale a bordo della Nordwind.
Non sono molti i collezionisti che conoscono questa storia, eppure la collezione GBLA è molto coinvolgente.
Il capitano Bryan Hill, appoggiandosi alla Picton Publishing, editò un piccolo catalogo in cui illustrava le circa 180 diverse emissioni, nonché tutti i timbri e i vari annulli. Molto interessante e raro, si può trovare a circa 120 dollari.
E che sia una collezione interessante lo dimostra il fatto che esistono sul mercato dei falsi, sia d’epoca che postumi.
Nel tempo, per ragioni di risparmio, gli equipaggi furono ridotti di numero e alcune navi vennero affiancate a creare un’unica unità gestita in solido dai marinai rimasti.
Ciò diede origine a nuovi annulli in cui figurava un acronimo formato da alcune lettere dei nomi delle navi facenti parte del gruppo: MS Muwinikies (Musterland, Nordwind, Nippon, Killara, Essayons), MS Ledmelaga (Lednice, Melampus, Agapenor), MS Portstar (Port Invercargill, Scottish Star), MS Djakbier (Djakarta, Baleslaw Bierut).
Nel dicembre del 1971 fu realizzato l’annullo tondo di grande formato dove compare il simbolo del GBLA, il nome delle tre unioni di navi e la dicitura “The Yellow Fleet”: la flotta gialla. (Foto17)
Era questo l’appellativo dato alle nostre 14 navi ormai ricoperte da uno strato di sabbia trasportato continuamente dal vento del deserto.
Nel 1973 la Yellow Fleet fu testimone di un’altra guerra lampo tra Egitto-Siria e Israele detta dello Yom Kippur.
La African Glen venne affondata durante i bombardamenti.
La storia umana legata al GBLA racconta anche di molti membri degli equipaggi che offrirono aiuto a tanti soldati distrutti dalla fatica delle marce nel deserto, dalla sete e dalla fame. E di soldati che stavano attraversando a nuoto il lago accolti a bordo e rifocillati.
Ovvero di solidarietà umana verso simili in difficoltà senza imputar loro quelle assurde guerre che per 8 anni li aveva tenuti lontano da casa.
Questo e tanto altro è ciò che trova chi si lascia tentare da un avventuroso viaggio nella stupidità delle guerre e parte alla scoperta del GBLA.
Quando finalmente nella primavera del 1975 il Canale di Suez venne riaperto soltanto 2 delle 15 navi intrappolate furono in grado di lasciarlo autonomamente e compiere il tragitto fino a casa.
La Nordwind e la Munsterland entrarono nel porto di Amburgo il 24 Maggio 1975 accolte da 30.000 persone e da souvenir filatelici.
Si scioglieva così quella particolarissima comunità formata da più di 3.000 uomini che parlando lingue diverse e provenendo da luoghi diversi, condivise per 8 anni una delle più singolari avventure navali di cui si abbia notizia.
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