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Note sui portalettere e la consegna a domicilio della corrispondenza

di Marino BIGNAMI

Prendo a pretesto questa letterina del 1842 proveniente da Lodi e diretta a Milano per fare alcune considerazioni sulle caratteristiche Ottocentesche della consegna a domicilio nelle città.

Innanzitutto la presenza dell'indirizzo è assolutamente inconsueto per il periodo. Poi anche la numerazione ha colpito la mia curiosità: Via della Passerella 498 (?) secondo piano, che numero alto per una via del centro cittadino!. Oggi via della Passerella é una via centrale, di tipo privato lunga forse un centinaio di metri ed é per oltre la metà pedonale con una ventina di numeri civici.
Ho trovato altre indicazioni degli indirizzi milanesi dell'Ottocento con numerazioni molto alte che non riuscivo a spiegarmi. Per esempio la Società Tipografica dei Classici Italiani aveva sede in via Santa Margherita 1118 (oggi via Cesare Cantù 3). Manzoni ha acquistato la sua casa in contrada del Morone 1171. L'Impresa Generale delle Diligenze e Messaggerie di Giuseppe Maria Franchetti era in contrada del Monte (di Pietà?) N° 1299.
Ho scoperto alla fine che la ragione di queste alte numerazioni dell'indirizzo era dovuta alle modalità toponomastiche in uso a Milano fra la fine del Settecento e nella prima metà dell'Ottocento ed era retaggio della riforma catastale teresiana portata a termine fra il 1718 e il 1760.
La numerazione civica delle case era realizzata secondo una spirale che partendo dal Palazzo reale posto in centro, che aveva il numero uno, finiva in periferia aumentando man mano la numerazione delle abitazioni che erano lontane dal centro e comprendeva oltre al nome delle zone o delle vie anche la numerazione catastale progressiva.
Dopo il periodo napoleonico l'amministrazione austriaca decise di mettere ordine al censimento delle proprietà immobiliari ed alla sistemazione delle vie cittadine con denominazione e numerazione delle vie con criteri moderni: ogni via avrebbe avuto una numerazione progressiva con inizio nella parte più vicina al centro e con i numeri pari a destra e i dispari sulla sinistra.

Cartina della città di Milano del periodo coevo della nostra letterina, infatti è presente l'Arco della Pace completato nel 1838, su cui é schematizzato il doppio sistema di numerazioni toponomastiche.

Bisogna rilevare che prima di tutte queste numerazioni toponomastiche iniziate un centinaio di anni prima, non esistevano né denominazioni né numeri civici, le indicazioni erano vaghe e facenti riferimento a zone della città con caratteristiche particolari, così le indicazioni di indirizzo facevano riferimento a: ponti, monumenti, case patrizie, uffici comunali, chiese, caserme, attività artigianali. Per esempio: zona Ospedale Maggiore, rione spadari, rione orefici, rione speronari, alla zecca vecchia, all'ufficio del bollo, al torchio, al mulino delle armi ecc. In queste condizioni la consegna a domicilio sarebbe stata quasi impossibile.

Come tutte le operazioni postali anche la consegna della corrispondenza ebbe le sue regole che ebbero variazioni nel tempo. Dopo che l'Italia ebbe completata l'Unità , venne applicato un regolamento provvisorio (derivato da quello Sardo) per tutte le operazioni legate alla posta: dalla raccolta al trasporto e alla consegna della corrispondenza.
Prima della Rivoluzione francese e in particolare nei centri cittadini erano state organizzate le "Poste", che erano luoghi di fermata dei corrieri con autorizzazioni governative del servizio della "Posta Lettere" in possesso di "patenti". Queste Poste erano luoghi frequentemente ubicati presso una locanda e utilizzati per la consegna ed il ritiro della corrispondenza. Per la consegna erano applicate procedure semplici che si limitavano, in un mondo in cui tutti o quasi si conoscevano, a dichiarare le proprie generalità, a controllare se erano arrivate delle missive e pagare il porto segnato sul fronte delle lettere per farsi consegnare la corrispondenza.
E' chiaro che non sempre la "Posta" era vicino al destinatario, quindi era giocoforza sobbarcarsi un viaggio per recarsi all'ufficio postale che era posto, come abbiamo detto, sulle strade percorse dagli "ordinari" cioè i corrieri autorizzati ufficialmente al trasporto della corrispondenza che transitavano da quella "Posta" in giorni e orari prestabiliti.
Col tempo si erano create le condizioni perché i privati si organizzassero e incaricassero degli addetti che in loro vece ritirassero la corrispondenza individualmente o collettivamente, naturalmente pagando al corriere il porto dovuto.
Lo fecero i comuni per gli abitanti dei piccoli centri lontani dalle strade postali, lo fecero i commercianti e i privati cittadini delegando a loro spese incaricati che ritiravano dai corrieri postali la corrispondenza sulle principali fermate delle strade corriere.
Nelle città principali per evitare giacenze di corrispondenza non ritirata che avrebbero causato un notevole danno economico al servizio, si introdusse la consegna a domicilio della corrispondenza giacente che difficilmente sarebbe stata ritirata, sia nell'interesse del servizio che dell'utente.
Per esempio nella città di Milano nella prima metà dell'Ottocento, appartenente perciò al Lombardo Veneto, vigeva il servizio di consegna a domicilio come retaggio della precedente amministrazione napoleonica; quest'ultima aveva introdotto miglioramenti del servizio, fra cui far applicare i bolli alle lettere con il nome della località di accettazione e far mettere gli indirizzi dei destinatari per facilitare il compito dei portalettere.
Infatti le lettere con o senza indirizzo dirette a Milano nel primo Ottocento purché non riportassero la precisa richiesta di "fermo in posta" erano consegnate ad una squadra di una ventina di portalettere autorizzati per la consegna a domicilio e ad incassare il porto dovuto. Se era comprensibile la solerzia dell'amministrazione per la buona riuscita dell'invio con incasso del denaro alla consegna, lo era anche nell'interesse degli stessi portalettere che erano pagati per questo servizio con una piccola tassa supplementare.

Dopo l'Unità d'Italia con l'introduzione del primo regolamento provvisorio della posta in applicazione dal 1861 al 1863 la consegna a domicilio venne ribadita come sistema per evitare giacenze infruttuose.

"Art. 146 - I Portalettere sono incaricati della distribuzione delle corrispondenze a domicilio, e della levata delle lettere dalle cassette postali."

La prima definizione ufficiale di portalettere nel periodo in osservazione è riportata nel suddetto primo regolamento provvisorio del Regno D'Italia che era stato creato per dare una struttura unitaria da subito al servizio postale come mezzo di unificazione della Nazione.
Entrato in funzione nel 1861, ebbe una parte che riguardava la normativa dei portalettere nel "Regolamento disciplinare degli impiegati delle poste" che era stato emesso il 15 Dicembre 1860.
Derivato dal Regno di Sardegna, tale regolamento specificava dettagliatamente i compiti e le caratteristiche civiche, anagrafiche, fisiche e morali per assumere la qualifica di "Portalettere" (con l'iniziale maiuscola, come riportato dal suddetto regolamento).
Chiaro che queste norme si riferivano agli uffici "primari e secondari" aperti in ambito cittadino, non si parla ancora di uffici periferici e rurali.

Bisogna specificare che la qualifica di portalettere era di grado inferiore e a differenza di tutti gli altri gradi superiori, "bastava" avere superato la maggiore età, essere "regnicolo" e di specchiata onestà (dopo avere superato un attento esame per controllare che sapessero leggere e scrivere, sapessero far di conto e conoscessero il francese); la nomina era fatta dal ministero su proposta del Direttore Compartimentale.
Sotto il portalettere, nella scala gerarchica, c'era solo il "Garzone d'Ufizio". Ambedue potevano accedere ai gradi superiori, per anzianità o per meriti speciali, ma solo dopo aver superato gli esami di idoneità al grado superiore.
Le funzioni dei portalettere erano semplici ma dovevano sottostare a rigidi regolamenti che ne specificavano funzioni e comportamenti.
Era specificato come vestirsi, come comportarsi, come operare; per esempio era specificato che le corrispondenze dovevano trasportarsi in "cassette o bolgette di cuoio" chiuse a chiave. In un periodo in cui era abitudine che le lettere si ritirassero prevalentemente all'ufficio postale con l'indicazione della sola località (perciò spedite senza indirizzo completo), era compito del portalettere farsi parte diligente di chiedere ai suoi utenti notizie atte a rintracciare l'indirizzo dei destinatari delle lettere non potute recapitare. Le lettere erano spesso tassate a carico del destinatario (e il portalettere incaricato della consegna aveva già versato il corrispettivo in ufficio anticipatamente), perciò era oltremodo difficoltoso gestire i pagamenti della tassazione. Il portalettere era anche soggetto a parecchi dettami e divieti di comportamento, in particolare gli era vietato cambiare itinerario, entrare nei caffè e nei bar, fumare, chiacchierare per via ecc..
Da un punto di vista postale (come riportato dal regolamento) ai portalettere era proibito anche:

1° Di consegnare lettere a credito;
2° Di fare servizio senza la propria cassetta o bolgetta;
3° Di distribuire lettere mancanti di bollo di arrivo, o con francobolli non annullati;
4° Di distribuire o far distribuire le corrispondenze nella propria abitazione e nello stesso "ufizio di posta";
5° Di lasciar leggere giornali e stampe che devono distribuire;
6° Di lasciar leggere gli indirizzi a persone che non " ispettano"......ecc ecc.

successivamente la consegna a domicilio, che fu completata intorno al 1880, si estese anche alle campagne con i servizi rurali, seguendo anche l'evolversi dei servizi aggiuntivi che richiedevano e davano delle maggiori garanzie, sia all'Amministrazione postale che al destinatario, .

 

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