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il Cursus publicus
di Milko Anselmi
per gentile concessione dell'Associazione Pomerium www.pomerium.org

 Vi siete mai chiesti perché si trovino in giro parecchie cittadine, paesi e frazioni con un numero ordinale come nome? Prendete i più grandi Sesto Fiorentino e Settimo Torinese (neanche a dirlo rispettivamente presso Firenze e Torino): vi dice qualcosa il fatto che anticamente si chiamassero rispettivamente Sextus ab urbe lapis e Ad Septimum lapidem ossia presso la sesta pietra dalla città o alla settima pietra miliare?


pietra miliare



Ebbene, al pari di monumenti e basi del diritto, principi d’architettura e di tattica militare, si annovera il cursus publicus tra i più notevoli resti dell’antica civiltà romana. In un’unica definizione questo nome indicava l’insieme di mezzi di comunicazione, l’insieme di strade e rotte marittime e fluviali, il servizio postale e le strutture che rendevano possibile tutto questo.
Con un audace parallelo con un moderno sistema di comunicazione, il cursus publicus era allo stesso tempo una rete di comunicazione integrata viaria, nautica e di trasmissione dati e le rispettive gestioni infrastrutture (senza dimenticare una congrua unità per le risorse umane).
Il suo scopo era sopratutto lo spostamento rapido ed efficiente di uomini ed informazioni al fine di un migliore insediamento militare e commerciale.
Era utilizzato prevalentemente dagli uffici imperiali, dai comandanti militari, e dai governatori delle Province.
Solo occasionalmente veniva permesso l’uso ai privati. Quest’ultimi, difatti, si servivano spesso invece di corrieri propri, i cursores (sapete ora da dove viene la parola “cursore”).
Questa organizzazione era quindi uno strumento appannaggio dello Stato sebbene non manchino notizie circa un servizio alternativo, aperto al pubblico.
Cicerone parla più volte di corrispondenza epistolare, distinguendo fra posta pubblica e privata (specialmente nella propria corrispondenza con gli amici Balbo e Celio). Nelle Filippiche rimprovera addirittura Antonio di aver violato il cursus publicus intercettando corrispondenza altrui.

I rapporti continui tra il governo centrale e le periferie dell’Impero si svolgevano attraverso questo sistema imperniato su due servizi: il cursus celer o velox, (a cavallo, per la posta, principalmente: da dispacci ad atti ufficiali) e quello clabularis (con carri per il trasporto di persone e beni d’interesse pubblico, come denaro, oggetti di lusso e anche provviste).
Secondo l’editto di Sesto Sotidio ad utilizzare il servizio come viaggiatori, per ragioni di stato, erano coloro in possesso di un apposito permesso chiamato diploma, una autorizzazione scritta munita del sigillo imperiale. Ad essi le città ed i villaggi avevano l’obbligo di fornire fino ad un massimo di dieci carri ed altrettanti muli (raddoppiabili nel caso fossero stati invece forniti asini). Gli utenti pagavano per una tratta definita (che non superava comunque i quaranta stadi) nella misura di dieci assi per ogni carro e quattro per ogni mulo. In età imperiale la concessione dei permessi per l’utilizzo del servizio si allargò progressivamente ai militari ed alle mogli ed ai figli degli autorizzati, divenendo così uno strumento di difficile gestione sia in relazione al rilascio che al controllo.
Aumentando il numero dei viaggiatori (ma anche degli abusi) le comunità locali ebbero gravosi obblighi relativi alla conduzione del servizio, tanto che più volte gli imperatori dovettero intervenire per limitarne l’uso.

Già nella Roma di fine Repubblica esisteva un servizio postale. Ne sono prova i corrieri a cavallo che Giulio Cesare stabilì in Gallia e le descrizione che Tito Livio e Cesare stesso ne danno (ad esempio nel De Bello Civili troviamo scritto che una legione di stanza a Messana ricevette la notizia di un imminente pericolo, portata da incaricati a cavallo). In quell’età il servizio e la cura delle strade era affidata ad una magistratura apposita.

Ma è unanimemente riconosciuto il fatto che l’aver dato una vera e propria struttura al cursus publicus fu merito di Augusto. Egli riparò e costruì grandi strade oltre ad aver messo le basi agli ordinamenti della posta, così tanto avanzati da costituire una delle glorie indiscusse dell’antica Roma.
«Affinché si potesse facilmente e più rapidamente annunciargli e portare a sua conoscenza ciò che succedeva in ciascuna provincia, fece piazzare, di distanza in distanza, sulle strade strategiche, dapprima dei giovani a piccoli intervalli, poi delle vetture. » (Svetonio, Vite dei dodici Cesari, Augusto, XLIX). In quest’epoca vi fu un curator per ogni via (inizialmente solo due; fuori dell’Italia questa regola non fu rispettata e si avevano dei curatores per ognuna o più regioni amministrate, piuttosto che per ogni via.) che dipendevano ognuno da un prefetto del Pretorio alle dirette dipendenze di Augusto, incaricando anche dei liberti di funzioni ispettive e di controllo oltre che degli iuvenes che avevano il compito più ampio di informare il principe di quanto andava accadendo nelle province tramite il loro servizio di staffette.


Tabula Puetingeriana, copia medioevale di originale romana tardo - imperiale



Le vie più curate erano quelle d’interesse militare, cioè tutte le principali, con la caratteristica pavimentazione a grandi lastroni di pietra oggi chiamati comunemente basolati. Erano larghe almeno 4,80 metri, secondo una disposizione della Legge delle Dodici Tavole (V secolo a.C.) che riguardava le strade urbane, ma che fu seguita anche per le altre Viae Publicae. Le prime furono costruite a mano a mano che Roma estendeva il proprio dominio: la Via Latina fu la prima in assoluto (circa il 328 a.C. con gli stanziamenti delle colonie di Fregellae e di Interamna Linares) a cui seguirono l’Appia, la Flaminia, l’Aurelia, la Cassia, la Emilia Scauri, la Postumia, eccetera.
La conquista, poi, di nuove province portò alla creazione di nuove strade, collegate a quelle italiche.

Dopo di che il servizio assunse le prerogative di un vero sistema: le vie principali vennero attrezzate attraverso la creazione di stationes, luoghi di sosta e di ricambio di cavallo e di animali da tiro. L’istituzione augustea assunse non solamente le caratteristiche di servizio postale ma piuttosto come un vero e proprio servizio di informazioni e di trasmissione delle disposizioni a mezzo di corrieri. Le mutationes servivano per il cambio dei cavalli e per le riparazioni. La stazioni distavano un giorno di cammino l’una dall’altra, all’interno di tale spazio erano situate le mutationes (a 8-9 miglia di distanza) comandate dal Praepositus (i capi stazione si chiamavano mancipes). Le stationes erano anche posti di sorveglianza: le testimonianze dell’epoca parlano spesso dell’insicurezza delle strade, descrivendo le tabernae o luoghi similari come regno di ladri, prostitute e ubriaconi: il viaggiatore singolo o senza scorta era solitamente soggetto a pericolo di rapina (se non peggio).
Perciò le autorità cercavano di incoraggiare l’assistenza ai viaggiatori; e a quanto pare essa era obbligatoria a termini di legge, per quanti abitavano in prossimità di strade. Ed ecco che da stationes e mutationes, magari vicino a quelle più accoglienti provviste di terme e di altre comodità, talvolta si svilupparono città, per la loro forza di attrazione sui piccoli commerci e su attività collaterali. Quelle stesse città di cui abbiamo scritto in apertura.


Nelle stationes, dove si trovavano circa quaranta cavalli (venti circa nelle mutationes) erano presenti gli alloggiamenti dei corrieri ed i magazzini delle provviste. Tra gli addetti alle stazioni vi erano conducenti di carri o carpentarii e gli inservienti per la cura ed al trasporto dei bagagli, bastagarii, e per i compiti più gravosi i catabolenses.
La cura degli animali da trasporto era demandata agli stratores ed ai muliones. Ad accompagnare i viaggiatori da una statio all’altra ed a riportare indietro i veicoli erano poi gli hippocomi tra i soggetti più vessati dalle scorrerie dei briganti (latrones e grassatores).
In genere la sicurezza sulle strade era coordinata in età adrianea da un Prefetto (che poteva contare sull’aiuto degli ispettori dei trasporti, praefecti vehiculorum ) e di speciali funzionari itineranti (agentes in rebus) oltre che di un corpo particolare incaricato di sorvegliare il funzionamento delle stazioni di posta, composto dai cosiddetti curiosi (altra parola moderna dalla provenienza inaspettata).
I mezzi di trasporto erano diversi: la raeda, carrozza trainata da buoi o da muli; il carrus o currus, che era una biga; il cisium, un carrozzino a due cavalli; il carpentum, un grande carro coperto usato dai funzionari; la benna per trasporti di più persone. Per i trasporti commerciali si usava il carro con quattro ruote cerchiate di ferro.
Tutti mezzi lenti, naturalmente, ma l’organizzazione lungo le strade consentiva tuttavia di percorrere distanze ragguardevoli.
Un carro trainato da buoi percorreva da 8 a 10 miglia al giorno a seconda della stagione (1 miglio romano corrispondeva a 1480 metri). Per andare da Efeso (costa occidentale dell’attuale Turchia) all’Eufrate (nell’attuale Iraq), ad esempio, s’impiegavano 35 giorni a piedi e 30 con i cavalli, mentre il cursus velox ne impiegava 21. Le velocità di riferimento erano quindi di 35-40 km al giorno per la marcia (ad esempio per l’esercito) e di 75 km/giorno per le staffette. Ma si sono registrati anche dei record di 220 km/giorno come testimoniato da Plutarco (Galba, 22). Per mare i trasporti erano assai più rapidi, fino a 100 miglia al giorno, ma limitati alla buona stagione.
Si riusciva ad andare da Ostia a Capo Bove (in Tunisia) in due giorni, o in sette giorni sempre da Ostia fino a Cadice o fino ad Alessandria, ai due capi del Mediterraneo. Purtroppo del servizio statale via mare (e via fiume) si conosce molto poco.
Continuando nella storia, dopo Augusto, l’imperatore Nerva nel 96 o 97 d.C. sollevò le città italiane dall’onere dei costi di gestione delle stazioni di posta, e li mise in conto alle finanze imperiali. Con Nerva le spese per il funzionamento furono assunte dal fisco imperiale. Con Adriano il cursus publicus divenne diffuso in tutto l’impero.
Egli affidò, come già detto, la gestione del cursus a un funzionario imperiale speciale, il praefectus vehiculorum o a vehiculis, di rango equestre, agli ordini del prefetto del Pretorio.
All’inizio del II secolo d.C., l’imperatore Settimio Severo ne ampliò l’attività includendovi il convogliamento dell’annona militare, ossia l’approvvigionamento degli eserciti. Al tempo di Diocleziano (fine del III secolo) le grandi strade erano circa 370, per complessive 53 mila miglia, equivalenti pressappoco a 78 mila chilometri; a quel tempo il sistema postale è riformato e diviso in tre parti distinte che sono il servizio di Stato (cursus publicus fiscalis), il servizio sulle strade principali o militari (angariae) e quello sulle secondarie (parangariae).
La riorganizzazione amministrativa che mise in atto questo imperatore (e poi dopo di lui Costantino) legò la gestione del cursus publicus al Magister officiorum. I testi dell’epoca evocano frodi e abusi nelle requisizioni e la disorganizzazione dell’economia quotidiana che essi generavano, così come le lamentele delle municipalità provinciali sui pesanti carichi che dovevano sostenere. I successori di Costantino tentarono di porvi rimedio con misure specifiche (limitazione del numero degli ordini di missione accordati, soppressione delle requisizioni arbitrarie). La Notitia Dignitarum (documento datato intorno al 400 D.C. di notevole importanza per la conoscenza degli aspetti amministrativi del Tardo Impero) precisa anche, per ciascuna posizione di altro funzionario, il numero massimo di ordini di missione ai quali si aveva diritto con l’acquisizione della carica.
Troviamo descrizioni del sistema stradale romano in alcuni documenti arrivati fino a noi. Uno è l’Itinerarium Antonini, elenco di tutte le strade di grande comunicazione dell’Impero, del III secolo. Un altro è la Tabula Peutingeriana, una grande carta geografica su pergamena, la carta antica per antonomasia con ben 555 simboli diversi inscritti, e che si fa risalire anch’essa al III secolo. È andata invece perduta la prima ricognizione sistematica di vie terrestri e marittime di comunicazione, realizzata a cura di Marco Vipsanio Agrippa, il grande amico e sostenitore di Augusto. Nel porticus Vipsania, a Roma, c’era perfino rappresentata una gigantesca mappa, così come era e continuò ad essere in voga in tutto l’Impero. Delle vie di comunicazione ci parlano poi vari testi letterari come il viaggio di Orazio a Brindisi (I secolo a.C.) o l’Itinerarium Burdigalense del IV secolo d.C., relativo al viaggio da Burdigala (Bordeaux) a Gerusalemme, passando per Roma.
In generale, poi, come accennato con Cicerone, gli epistolari costituiscono fonti di informazione sulle abitudini di viaggio dei ricchi.
E poi, per tornare ab ovo, le centinaia di testimonianze lasciate dai miliari, le grosse pietre cilindriche (non era così necessario arrivarci davanti per leggerne l’epigrafe, e si continuava a leggere durante l’approccio) con spesso riportate le iscrizioni dedicatorie per importanti lavori di lastricazione o di restauro delle strade e dei manufatti annessi. E sempre riportavano inscritte le distanze in miglia dal punto dove erano collocate alla prossima città di una certa importanza….
Sette miglia ad Augusta Taurinorum o sei da Florentia.


di Milko Anselmi
Presidente Ass. Pomerium

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