S. P. del Regno delle due Sicilie
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Tutta colpa di un pagnotto |
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di Giorgio CHIANETTA (aggiornamento a notiziario tematico CIFT, 172/2009) |
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Numerose decreti, norme e circolari, dal novembre del 1819 in poi, regolamentarono la nuova amministrazione postale siciliana, una complessa ed articolata macchina burocratica riorganizzata profondamente dopo il lungo periodo di gestione privata, che si mise in moto tra marzo ed aprile del 1820 (formalmente il 1° aprile), evolvendosi lentamente sino alla fine del 1858 quando fu pronta a compiere un ulteriore passo in avanti con l’adozione del francobollo, il 1° gennaio del 1859. La conoscenza delle fonti ufficiali è essenziale nello studio storico-postale, ma altrettanto essenziale – e secondo me più interessante ed intrigante – è la lettura dei testi delle lettere viaggiate per posta, sia quelle di privati ma soprattutto quelle della corrispondenza di servizio intercorsa tra gli uffici postali periferici e l’amministrazione centrale con sede a Palermo. Esse ci permettono spesso di chiarire l’applicazione di una norma, di una particolare tariffa, o di una procedura. Altre volte hanno l’effetto opposto, insinuano dubbi e creano scompiglio nelle conoscenze che si pensava di aver consolidato con le letture precedenti. Altre volte, infine, ci permettono di ampliare il nostro ambito di osservazione, fornendoci dei veri e propri spaccati di “vita vissuta” dei corrieri e degli Uffiziali di Posta siciliani del tempo. Ed è proprio con un esempio di questo tipo che voglio intrattenervi in queste pagine. Tutto inizia dall’esame di una lettera del 20 maggio 1820 spedita dall’Ufficiale di Posta di Burgio, comune nell’entroterra siciliano, all’indirizzo del Direttore Generale delle Poste a Palermo. Non deve stupire che gli impiegati degli uffici postali periferici scrivessero direttamente al Capo della amministrazione, pur essendovi altre figure intermedie nella gerarchia postale del tempo, ad esempio i Direttori provinciali: era uno specifico articolo del Codice Postale del 1819 che imponeva tale procedura, accentrando di fatto buona parte della corrispondenza di servizio a Palermo. Burgio è un piccolo comune, di antiche origini, situato nell’entroterra della provincia di Agrigento (allora Girgenti). Ancora oggi uno è dei centri di produzione della ceramica siciliana. L’Ortolani, nel suo Dizionario Geografico del 1819, lo descrive come «sito sopra un monte, distante 10 miglia dal mare africano, 40 miglia da Palermo», con una popolazione di 5.866 abitanti.
Con la riforma postale del 1819, a Burgio venne istituita una Officina di Posta, lungo il percorso della corsa traversa che, all’altezza dell’Officina di Corleone, si distaccava verso Bivona dalla corsa principale Palermo-Licata (Fig. 1). Come tutte le Officine venne dotata di propri bolli con cui marcare la corrispondenza in partenza, una delle novità più importanti di quella riforma.
Ufficina della Posta, Burgio 20 Maggio 1820 Signor Direttore Generale L’Uffiziale della Posta
I corrieri di cui parla la lettera sono appunto quelli della corsa traversa da Corleone a Bivona. Probabilmente i Padri Riformati di Burgio avevano chiesto il favore di ricevere o consegnare la loro corrispondenza direttamente al corriere, di passaggio dal convento nel suo percorso, oppure il corriere stesso si era offerto di far da tramite evitando così ai frati di recarsi ogni volta presso l’Officina di Posta. In cambio di questo favore, a quanto pare concesso da tanto tempo, il corriere riceveva una pagnotta di pane. Ma i francescani del convento ora ritardano (sono «attrassati») nella contribuzione del «pagnotto», ed i corrieri (o forse uno di essi in particolare) per protesta vogliono boicottare la loro corrispondenza. Per completare lo scenario, può interessare sapere che il convento di Burgio citato nella lettera è quello di S. Maria delle Grazie, dei Padri francescani Riformati, un vasto complesso cinquecentesco con un magnifico chiostro interno (vedi Fig. 4), nel recente passato sede di un ospedale ed oggi restaurato e adibito a centro servizi per il territorio. Il notaio Vincenzo Cannella, Ufficiale di posta di Burgio in quel periodo, non potendo o non volendo risolvere la questione, informa della spinosa vicenda il Direttore Generale, chiedendo lumi su come procedere. La mossa è quantomeno incauta perché i corrieri violavano una precisa disposizione del regolamento postale che imponeva loro di consegnare le lettere solo agli Ufficiale di Posta delle Officine attraversate, e di riceverle solo da essi. La lettera prima descritta arriva a Palermo il lunedì 22 maggio, e nelle annotazioni dal Segretario Generale, il marchese di San Giacinto (seconda carica dopo il Direttore Generale, marchese Giuseppe Ruffo), si legge: Quanto ha esposto non mi persuade, per la ragione che i Corrieri non possono ricevere lettere a mani e devono soltanto trasportare ciò che dalle rispettive Ufficine viene loro consegnato. Rimetta quindi le dilucidazioni per ciò che ha rimostrato in quanto alle lettere dei Cappuccini, per le opportune provvidenze. E’ opportuno precisare che era prassi alla Direzione di Palermo annotare, sulle stesse lettere di servizio ricevute, tutto l’iter della “pratica” all’interno dell’amministrazione, sino alla sua completa chiusura. In genere, come prima cosa veniva redatto un sunto della lettera a beneficio del Direttore Generale o del suo Segretario Generale, il quale faceva successivamente scrivere le sue osservazioni (raramente le annotava integralmente di suo pugno) e le controfirmava, dando nel contempo le disposizioni per eventuali approfondimenti in altri uffici della Direzione, o direttamente per la risposta, la cui minuta veniva trascritta sulla lettera originale. Nel nostro caso, a seguito delle osservazioni del San Giacinto, dopo pochi giorni viene preparata la risposta da inviare all’Ufficiale di Burgio, nella quale vengono chiesti precisi chiarimenti e ricordate le disposizioni da regolamento. Ecco il testo della minuta: Minuta del 25 Maggio 1820 La lettera di risposta viene spedita da Palermo verosimilmente nello stesso giorno 25, in tempo utile per partire con il corriere ordinario della corsa Palermo-Licata del giovedì. Arrivata all’Officina di transito di Corleone, viene affidata al corriere della corsa traversa verso Bivona ed arriva all’Officina di Burgio il pomeriggio del venerdì 26 maggio. Il giorno dopo, sabato 27, l’Ufficiale di Burgio prontamente risponde come segue (Fig. 5):
Officina della Posta Burgio 27 Maggio 1820 Signor Direttore Generale Il tono della lettera è decisamente diverso da quella del 20 maggio: memore della risposta secca della Direzione Generale, il Cannella si mostra ora molto più determinato, fermo nei confronti delle «stravaganze» del corriere, e ligio alle norme. Questo almeno nella apparenza del testo. Questa lettera arriva a Palermo il 29 maggio, il 30 viene esaminata dal Segretario Generale, ed il 1° giugno parte la risposta nella quale la Direzione dice di approvare l’operato dell’Ufficiale di Burgio e lo invita a «...curare che non succedano più oltre simili inconvenienti». La questione sembra finalmente risolta, e probabilmente nei mesi successivi i padri francescani del convento di Burgio continuarono ad inviare e ricevere regolarmente e serenamente la loro corrispondenza. Ma, come a volte accade, i problemi vengono risolti solo in apparenza e dopo un po’ si ripresentano tali e quali a prima. Ecco infatti che il 13 giugno 1821, a distanza di circa un anno, una nuova lettera viene inviata alla Direzione Generale di Palermo, spedita questa volta dal Padre guardiano del convento dei Riformati di Burgio, lo stesso convento dell’episodio del 1820: il frate presenta reclamo al capo della amministrazione postale di Palermo, evidenziando un abuso del corriere postale di Corleone, il quale pretende (ancora) il solito «pagnotto» a settimana, e nel caso questo non gli venga corrisposto, occulta le lettere dei frati francescani. La situazione non sembra quindi cambiata rispetto al maggio del 1820. Ecco il testo della lettera (Fig. 6):
Burgio 13 Giugno 1821 Signore Suo Umilissimo Servo Fra Dal testo veniamo a conoscenza anche del nome del corriere coinvolto, tal Simone Ficarrotta, (o Ficarotta), nome spesso citato in varie lettere di servizio del periodo, sempre nel ruolo di corriere di corsa traversa; a questo punto c’è da chiedersi se si tratta dello stesso corriere che creò analogo problema un anno prima all’Ufficiale di Posta di Burgio. Come di consueto, una volta pervenuta a Palermo, la lettera viene esaminata, ed il marchese di San Giacinto fa annotare le seguenti disposizioni (Fig. 7):
Si faccia la lettera corrispondente all’Uffiziale di Corleone. Si dica di avvertire il Corriero Ficarrotta a non importunare più oltre il Guardiano ricorrente e gli soggiunga che se farà arrivare altri ulteriori ricorsi sarà rimosso. E ne dia conto. Si decide pertanto di informare dell’accaduto l’Ufficiale di Posta di Corleone, Officina da cui il corriere Simone Ficarotta dipendeva. Non ho riscontro invece di una risposta diretta al Padre guardiano di Burgio, né al locale Ufficiale di Posta (Domenico de Michele, che aveva sostituito Vincenzo Cannella dai primi di maggio del 1821). Ecco di seguito la minuta della lettera indirizzata all’Ufficiale Postale di Corleone: Minuta del 18 Giugno 1821 I miei riscontri terminano qui, non ho trovato altri documenti a riguardo quindi non so dirvi come si concluse questa seconda parte della storia. Sta di fatto che il Simone Ficarotta continuò a lavorare come corriere di corsa traversa almeno sino al dicembre del 1821, quindi nell’immediato non molestò i frati francescani di Burgio con le sue pretese di «pagnotti», che mi piace pensare siano stati di buon “pane forte” siciliano. Una nota conclusiva sull’Officina di Posta di Burgio. Aperta nell’aprile del 1820, come tutte le 115 Officine designate con decreto del febbraio 1820, venne soppressa nel novembre del 1821 insieme ad altre 40, nell’ambito di un ridimensionamento decretato dal Governo centrale, già dal giugno del 1820, formalmente per «...la celerità e l’esattezza del servizio postale...», in realta per una razionalizzazione del servizio che aveva manifestato sin da subito una estrema complessità di gestione per gli Ufficiali di Posta dei piccoli centri, con conseguenti lamentele, ritardi nei conteggi e nei bilanci, ed in conclusione una assenza di profitto per l’Amministrazione centrale. In altre parole: i rami secchi andavano tagliati! Giorgio Chianetta Dopo la pubblicazione dell’articolo ho ricevuto un gradito riscontro dal collezionista siciliano Alfonso Zimbardo, che ringrazio, il quale mi ha cortesemente inviato la riproduzione della lettera spedita dall’Officina di Posta di Corleone (Fig. 8) in risposta a quella della Direzione Generale del 18 giugno prima citata nella minuta. Posso così aggiungere un'ulteriore pagina alla cronaca di questa bizzarra vicenda. Ecco il testo:
Signor Direttore Incauta ingenuità del povero commesso (aiutante) dell’Officina di Posta di Corleone che prende le parti del Corriere e verrà subito ripreso. La risposta della Direzione Generale non si fa attendere, ecco il testo della minuta presente sulla stessa lettera: Minuta de’ 25 Giugno 1821
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