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Gli Uffici di posta estera in Roma
di Adriano CATTANI
(Bollettino Prefilatelico e Storico Postale n. 185/2015)

Parecchi uffici di posta estera si installarono a Roma, in genere presso le Ambasciate ove venivano consegnate per la spedizione dai sudditi residenti nella capitale pontificia le lettere da inviare alla madrepatria, e venivano consegnate ai destinatari le lettere provenienti dalla madrepatria.

Da questi uffici di posta venivano inviati dei corrieri verso le proprie destinazioni.

La presenza di uffici di posta stranieri nel territorio non era gradito ai governi: la posta è sempre stata considerata una “regalia” del sovrano, essendo un servizio di interesse pubblico, destinato alla collettività e quindi inalienabile. Solo il sovrano, cioè il detentore del potere di governo dello stato, poteva provvedere all'organizzazione delle poste.

Come si conciliava, quindi l'esistenza di uffici di posta esteri in territori sovrani?

Questo è stato un argomento molto dibattuto nel passato, soprattutto perché al momento di reclamare la sovranità dello Stato sulle poste, molti uffici di posta stranieri erano già istallati da tempo nelle città più importanti.

La Repubblica di Venezia, che aveva nella propria capitale vari uffici esteri come la Posta di Fiandra dei Tasso, la posta austriaca, la posta di Bologna e di Ferrara, di Firenze, ma che aveva acquisito come diritto fondamentale e fondante il riconoscimento della proprietà privata e dei diritti acquisiti, non riuscì mai, o non volle, a pretendere la chiusura di uffici di posta stranieri in virtù del diritto alla loro esistenza dall'essere attivi da molto tempo: “Della Posta di Vienna è noto ad ognuno, che introdottasi la stessa come per sorpresa nel sec. XVI, ed essendo con varie vicende progredita, li Ambasciatori Cesarei sopra la medesima ne presero il diritto......” dice un anonimo Sovrintendente alla Camera dei Confini che, per incarico del Senato, preparò una dettagliata relazione, nel 1772, sullo stato delle poste esistenti a Venezia (1)

Introdotta “come per sorpresa”, cioè di nascosto, senza interpellare le autorità locali e quindi abusivamente, ma attiva già da due secoli. Ed infatti Venezia non volle ordinarne la chiusura, riconoscendole il diritto di esistere per “diritto acquisito”.

Anche Roma si pose questo problema: nel 1743 una anonima relazione (2) poneva l'accento sul problema: “Non può essere a meno, che i Ministri dei Principi (3) che in questa nostra Corte risiedono per ritrovarsi da qualche tempo in qua in possesso delle Poste Nazionali, che sono in Roma non credino essere le medesime dei loro rispettivi Sovrani, e non le reputino insieme come distaccate, ed affatto disgiunte da ogni dipendenza dalla Sede Apostolica. Così almeno ci fa credere il loro contegno e quell'assoluto dispotismo che eglino usano nelle medesime......per disingannar dunque i medesimi da quest'errore, in cui vivono, o nel quale più tosto affettano di essere, è ben necessario di dimostrar loro, che in tutti i Principati del mondo le Poste furono introdotte dalla pubblica autorità, e dunque furono e sono di Special Regalia di quei Sovrani, né di cui domini si ritrovano, e che pertanto in virtù della Sovranità Pontificia tutte le Poste di Roma, e dello Stato Eulico sin dalla prima loro istituzione furono de' Sovrani Pontifici. Onde, se poi le Poste Nazionali passarono qui in Roma sotto l'Amministrazione de' Ministri de' Principi, ciò non accadde che per mera Tolleranza Pontificia, di maniera tale che qualunque volta non desistasi dai divisati abusi, giusta e convenevol cosa sia di togliere affatto, e di unirle al Magistrato Generale delle Poste di Sua Santità.” (fig. 1)

Per mera tolleranza pontificia, dice l'anonimo relatore, e con questo si mettono le mani avanti, perché anche se le poste estere esistono in Roma da molto tempo (da qualche tempo, dice la relazione romana, mentre quella veneziana pone l'accento sul fatto che la Posta austriaca è stata introdotta in Venezia nel XVI secolo, cioè due secoli prima, quindi ha diritto di esistere, e già questo diverso modo di porre il problema fa comprendere la differenza di visione sociale tra i due Stati), il Governo Pontificio può ordinare la chiusura delle Poste estere in qualsiasi momento.

Questo fece il Papa Paolo IV nel 1556 quando ordinò la chiusura della posta di Venezia in Roma perché il Governo veneziano si era rifiutato di accettare un analogo ufficio di posta pontificio nella propria capitale, non riconoscendo il diritto alla reciprocità dato che l'ufficio veneziano in Roma esisteva già da molto tempo (diritto acquisito), mentre quello romano in Venezia non era mai esistito.

Due visioni completamente diverse di intendere i rapporti internazionali tra Stati.

Non si può nascondere che le poste estere ebbero alla loro origine una importante funzione, e penso sia questo il motivo per cui la loro presenza fu sempre tollerata; in realtà esse furono una importante integrazione di servizi di posta locali carenti, cosa non accettabile in epoche in cui le necessità del commercio richiedevano la presenza di un efficiente servizio di posta verso le principali città europee.

Per fare un altro esempio, fu la carenza delle poste ottomane ad indurre l'Austria ad aprire un proprio ufficio di posta in Costantinopoli e poi in altre città turche.

Anche Venezia organizzò per lo stesso motivo un corso di posta pubblico verso Costantinopoli, con una fregata che ogni mese partiva verso Cattaro, sulla costa albanese, il cosiddetto “Dispaccio Pubblico”, dispaccio che da Cattaro proseguiva verso la capitale turca grazie ai corrieri montenegrini, formidabili pedoni appositamente stipendiati da Venezia.

Quindi a tutti faceva comodo l'attività di queste poste estere.

Ma quando ogni Stato si era organizzato con propri collegamenti verso ogni altra città, la presenza straniera diventava ingombrante ed inaccettabile, costituendo una concorrenza sgradita all'interno dello Stato stesso. E allora veniva lamentato l'abuso contro i diritti dello Stato sovrano, i mancati doveri verso l'erario, veniva tentato il recupero della sovranità su un servizio pubblico non solo necessario, ma divenuto anche remunerativo.

Ricorre sempre, nelle varie poste estere operanti in Roma, il caso del tentato aumento delle tariffe per la spedizione delle lettere: per molti anni, direi per secoli, le tariffe rimasero invariate, ma nel corso del XVIII secolo le poste estere vollero aumentare il porto di spedizione. Questo tentativo fu visto dalle autorità pontificie come un abuso contro la propria sovranità, poiché ritenevano che solamente esse potevano adottare un tale provvedimento, per il diritto della sovranità che spettava solo al sovrano, cioè al Papa.

Gli aumenti furono revocati d'autorità, pena la chiusura delle poste, e i corrieri dovettero accettare la revoca: le tariffe continuarono a restare invariate.

Analogo caso fu anche il tentativo dei vari corrieri di evitare la dogana di Roma, quando portavano pacchetti di merci. Questo caso fu trattato addirittura come un contrabbando, e i corrieri colti in fallo vennero incarcerati.
Ma vediamo l'evolversi delle poste estere esistenti in Roma, come risulta dalla Relazione della Biblioteca di Berna del 1743, richiamata più sopra ed integrata da altri documenti consultati, e di volta in volta citati in nota.

          La Posta di Spagna

La Posta di Spagna fu nella sua origine introdotta dall'autorità apostolica, e con una intera dipendenza dalla medesima”. Mette subito le mani avanti, l'anonimo relatore: la posta, pur essendo spagnola, fu introdotta per volontà delle stesse autorità pontificie.

Infatti, Papa Alessandro VI (1492-1503) stabilì nel 1499 con una sua Bolla che vi fosse “un Albergatore”, ossia un Capo dei corrieri di Spagna, che curasse la spedizione dei corrieri e la distribuzione delle lettere (quindi sia la posta in partenza da Roma che quella in arrivo).

La bolla papale stabiliva, inoltre, che anche in futuro fosse il Papa ad incaricare questo albergatore nell'interesse dello Stato e provvedesse al pagamento della sua mercede, oggi diremmo del suo stipendio.

Il primo albergatore fu tale Garzia Pennafiel, che gestì la posta per tutta la sua vita.

Alla sua morte la posta, nata pontificia, si trasformò nella “Posta di Spagna” (all'epoca il Regno di Spagna si stava impadronendo in larga parte dell'Italia, con una dominazione che terminerà solamente nei primi anni del settecento, quando il dominio passò nelle mani austriache).

La trasformazione avvenne “per mera semplice tolleranza pontificia” (e qui l'ignoto relatore trascura il peso imposto dalla dominazione spagnola), e da quel momento fino al 1556 essa fu amministrata dal Marchese Tassis, del famoso casato dei Tasso di Bergamo che aveva acquisito grandi benemerenze nella corte spagnola.

Nel 1556 successe un fatto importante: era papa Paolo IV (1555-1559) il quale “tolse a tutti i Principi le Poste” (nel frattempo altre poste estere si erano installate a Roma, come vedremo), e decise di incorporare tutte queste poste straniere nel Magistrato Generale delle Poste Pontificie.

Nello stesso anno l'Imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V, grande estimatore della famiglia Tasso e della sua organizzazione postale, abdicava dal suo trono. Non è difficile pensare che il papa abbia approfittato di questa abdicazione per riaffermare la propria sovranità in Roma, chiudendo le poste estere e cacciando il Marchese Tassis. In questo frangente era scoppiata la guerra tra il Papa ed il nuovo Re di Spagna Filippo II, figlio di Carlo e per questo il Marchese Tassis, che come emissario spagnolo si trovava a Roma, fu incarcerato come nemico.

Immagino che a questa decisione ci fosse un sollevamento generale di proteste da parte dei governi che avevano introdotto le loro poste, perché dopo breve tempo lo stesso Paolo IV fu costretto di nuovo a “tollerare” la presenza del uffici di posta stranieri.

Anche la posta di Spagna riaprì i battenti, ed il Marchese Tassis ritornò al suo posto.

Finita la guerra con esito favorevole alla Spagna, il Marchese era tornato in libertà ed a seguito degli accordi di pace gli fu restituita la gestione della posta di Spagna in Roma.

Con la stessa “capitolazione” il papa dovette accettare che la posta del Tassis fosse nella piena disponibilità dei Sua Maestà Cattolica il Re di Spagna.

La riapertura di questa posta fu quindi dovuta al risultato di una guerra conclusasi sfavorevolmente per il Papa, risultato trasformato ancora una volta dal nostro ignoto relatore in “mera tolleranza pontificia” (fig. 2).

Successivamente nel 1644 il Papa Urbano VIII (1623-1644) volle intervenire nella gestione della posta: ritenendo eccessivi i costi delle lettere trasportate, stabilì che in futuro le “tasse” postali non superassero il prezzo di 25 bolognini l'oncia, pena una contravvenzione. Era il diritto sovrano che si imponeva in una materia considerata di diritto sovrano, infatti solo il governante poteva imporre nel proprio territorio le tariffe postali, trattandosi di un servizio pubblico esercitato sul territorio.

La posta spagnola dovette adeguarsi.

Il caso diplomatico si ripresentò all'epoca di papa Innocenzo XI (1676-1689), perchè la Corte Spagnola aveva deciso di creare un censo di 44.000 scudi (cioè una rendita annua a favore dell'erario spagnolo) sulla sua posta dislocata a Roma, cosa che si presentava come un abuso di autorità in uno stato straniero.

Il Papa chiese consiglio a Monsignor De Rossi, il quale espresse l'opinione che la cosa non potesse essere tollerata, perché contraria ai diritti della Sede Apostolica in fatto di sovranità.

Insomma, veniva calpestata la sovranità pontificia. Intollerabile.

Non solo, l'ufficio di posta che fino a quel momento si trovava in Piazza Pasquino, fu trasferito il Piazza di Spagna senza che venisse chiesto il permesso papale. Scattarono, naturalmente, l'ordine di divieto del censo spagnolo e l'ingiunzione si ritornare nella precedente sede di Piazza Pasquino.

L'allora gestore della Posta, Marchese del Caspio, fu assai reticente all'ordine papale, ma alla fine dovette cedere alla reiterazione degli ordini (1681 – 1682).

Altra questione sorse nel 1712 riguardante la “franchigia delle lettere”, cioè il diritto di spedire le lettere gratuitamente.

Lamentando abusi sull'applicazione della franchigia (applicata alle lettere del Papa e dei Cardinali, suppongo) il Papa Clemente XI (1700-1721) aveva incaricato il Cardinal Paolucci di controllare l'esecuzione, provvedimento che era stato ricusato dai gestori della posta che rifiutavano la sgradita ingerenza.

I gestori si rivolsero al direttore della Posta di Genova in Roma, Marchese di Monserrat (figura considerata autorevole) il quale a sua volta rivolse una interpellanza alla corte di S.M. Cattolica Cesarea a Barcellona ed a quella di Vienna, ricevendo in risposta che si desse ordine alla posta di Spagna “perchè si affranchino” (cioè si tengano franche, godano di franchigia) tutte le lettere che sarebbero state spedite da “Vostra Eccellenza” (cioè dal gestore) perché Sua Maestà Cattolica l'Imperatore, allora Carlo VI, “non intende ch'Ella paghi alcuna lettera” . Veniva così riaffermato il diritto alla franchigia delle lettere scritte ufficialmente dal “Ministro della posta di Spagna”.

Col termine di “Ministro” si designava il delegato del governo: tale era l'ambasciatore, ma così veniva designato anche il direttore delle posta spagnola in Roma (fig. 3).

I corrieri portavano, assieme alle lettere, anche pacchetti di merci: ben tre papi, Alessandro VIII (1689-1691) , Innocenzo XII (1691-1700) e Clemente XI (1700-1721) tentarono di indurre i corrieri spagnoli a recarsi, al loro arrivo, in dogana per il pagamento dei dovuti dazi sulle merci, ma nonostante le pressanti lettere ai Nunzi di Spagna (agli ambasciatori) “non fu mai possibile d'indur quella corte a dar i dovuti ordini”.

Insomma, continui rapporti burrascosi tra chi cercava di imporre i sacrosanti diritti di sovranità e chi cercava di ricavare il massimo vantaggio economico dall'attività postale, anche a costo di calpestare quei diritti sovrani.

Dobbiamo però tener conto che la Corte di Spagna, fino ai primi anni del settecento, dominava in Europa e non mancava di imporre il proprio dominio.

          La Posta di Napoli

Non si è rinvenuta in Archivio la precisa introduzione di questa posta, ma è molto verosimile, che questa fosse introdotta dai Ministri di Spagna, con la mera tolleranza Pontificia, sin da quando eglino entrarono al possesso di quel Regno”. Così la relazione inizia a parlare della Posta di Napoli in Roma.

Non c'è traccia nell'Archivio Apostolico della data precisa, evidentemente perché non poteva esserci, dal momento che l'Ambasciatore spagnolo (denominato “ministro”) introdusse l'ufficio di posta napoletano approfittando della posizione di potere del Regno di Spagna quando questo nel colmo della sua potenza in Europa, e poteva fare a Roma quello che voleva, pure sempre “con la mera tolleranza pontificia”.

Il relatore si riferisce, in questo caso, alla conquista spagnola del Regno di Napoli avvenuta nel 1504.

Il 28 giugno 1519 il re di Spagna Carlo I diventava Imperatore del Sacro Romano Impero con nome di Carlo V, e questo gli permetteva di imporre il suo potere su quasi tutta l'Europa.

Pertanto la posta di Napoli fu introdotta in Roma come effetto di un evento bellico favorevole alla Spagna, la quale possedeva già il Regno di Napoli e poté imporre, tra l'altro, la presenza di un ufficio di posta napoletano nella capitale pontificia.

Da mettere in evidenza anche che, grazie al predominio spagnolo in Europa, durato per tutto il XVII secolo, e grazie al favore che gli Imperatori di origine spagnola dimostrarono sempre loro, la famiglia Tasso (Tassis, Thurn und Taxis a seconda del ramo famigliare che aveva trovato sede nelle varie città europee) potè organizzare la Posta Internazionale Tassiana, con uffici di posta aperti e gestiti in Venezia, Milano, Mantova, Bruxelles, Vienna, Monaco di Baviera, Trento ed in molte altre città tedesche.

Interessante conoscere che Papa Sisto V (1585-1590) decise di aprire una Posta di Roma in Napoli, ma in breve tempo dovette ritirare la sua decisione a causa dell'opposizione del Vice Re Spagnolo (“così si raccoglie dal carteggio di quella Nunziatura nel 1586”, dice la citata relazione).

Ovvio, quindi, che per reciprocità il Papa si sentisse in diritto di vietare la Posta di Napoli a Roma, ma è altrettanto ovvio pure che la forza può più del diritto, e la posta napoletana continuò imperterrita la sua attività, pur sempre “per mera tolleranza Pontificia”.

Notiamo che la relazione pone l'accento anche su un altro problema: la tassazione delle lettere. La tassa, da intendersi il porto postale, cioè il costo del trasporto e della consegna della lettera, non fu mai cambiata nel corso di due secoli. Solamente nel 1723 la Corte di Vienna (nel frattempo il dominio spagnolo era stato soppiantato, in Italia, da quello austriaco) tentò di cambiare la suddetta tassa e di riformare la franchigia (cioè quali lettere dovessero esser trasportate gratuitamente). Questo tentativo venne inteso come una menomazione della sovranità pontificia: il Papa Innocenzo XIII (1721-1724) vi si oppose, imponendo la disapplicazione di quelle modifiche.

Troviamo una prova di questi contrasti tra amministrazioni di posta in Roma in un documento dell'Archivio di Stato di Venezia (4) che è illuminante: “Io sottoscritto Segretario dell'Officio della Posta Generale di Roma di Nostro Signore faccio piena fede a chiunque spetta, anche mediante il mio giuramento, qualmente la verità fu ed è che negli anni passati tutte le lettere, le quali capitavano a quest'Officio di posta, da città e luoghi dello Stato Ecclesiastico con soprascritta Roma per Napoli, si consegnavano alli Ministri della Posta di Napoli ogni sabbato, li quali le pagavano a raggione di bajocchi 5 l'oncia, e se ne teneva conto anno per anno. Siccome se n' é tenuto conto due anni del corrente novennio del Generalato dell'Ill.mo Signor Marchese del Buf.o della Valle: ma poi questa corrispondenza da alcuni anni in qua è restata sospesa, mentre li detti Ministri della Posta di Napoli hanno preteso e pretendono di non pagare il prezzo di dette lettere, ch'è quanto tuttavia dibattuto con la Rev.da Camera dalla quale l'Ill.mo Signor Generale delle Poste ne pretende il defalco.
In fede, Roma dall'Officio della Posta di Nostro Signore 26 aprile 1727.
Io Antonio Amantini Segretario della Posta di N.tro Sig.e.


Come si sa, le lettere che passavano di mano da una Posta ad un'altra di una diversa Amministrazione venivano “vendute”, cioè consegnate per il successivo inoltro alla posta successiva previo pagamento di un prezzo quantificato ad un tanto per oncia, nel caso di cui sopra al prezzo di 5 bajocchi l'oncia.
La posta napoletana in Roma ad un certo punto (da alcuni anni in qua, dice l'atto di fede del segretario della Posta Generale pontificia) ha preteso di non pagare più detto prezzo, il perché non si sa, probabilmente è stato il tentativo di fare un atto di forza all'epoca del passaggio del Regno di Napoli dal governo spagnolo a quello austriaco, e nel momento della dichiarazione del Segretario la questione era dibattuta (fig. 4).



          La Posta di Portogallo

La Posta di Portogallo in Roma fu concessa, su richiesta dell'Ambasciatore portoghese, il 22 ottobre 1561 da Papa Pio IV ad un tale Antonio Galvao, con la condizione che la nuova posta non fosse di danno alla posta pontificia, e dovesse operare solamente fino a che fosse venuta meno l'autorizzazione papale.

La nuova posta poteva godere di tutte le prerogative di cui godevano le altre poste estere, ma diversamente dalle altre non fu accettata “per mera tolleranza pontificia”, ma per espressa concessione del Papa, il quale quindi poteva revocarla in qualsiasi momento.

Di questa posta non ci sono ulteriori notizie: probabilmente fu incorporata nella posta di Spagna allorché il Portogallo fu annesso nel territorio spagnolo. Ciò avvenne nel 1580 per opera del Re di Spagna Filippo II, che quindi unificò in un unico Regno l'intera penisola iberica.

Tale unificazione durò per sessant'anni, e della posta del Portogallo non si parlò più.

          La Posta di Milano

Fino a che lo Stato di Milano fu governato dalla Spagna, cioè fino al 1706, le lettere della posta milanese venivano consegnate a Roma dalla posta spagnola, e la regolamentazione era la medesima della Posta di Napoli.

Nel 1706 l'Austria si impossessò del Ducato di Milano, come d'altra parte di vari altri territori italiani, e questo cambio di governo ebbe ripercussioni anche nel servizio di posta.

L'ambasciatore austriaco in Roma, il Cardinal Grimani, chiese al Segretario di Stato pontificio Cardinal Paolucci l'autorizzazione a “dispensare” le lettere dello stato milanese in un ufficio a parte.

La cosa venne decisa durante una riunione tenutasi il 27 dicembre 1706 durante la quale fu stabilito di “tollerare che si fosse aperta questa nuova posta”.

Il documento finale della riunione relaziona chiaramente gli interventi dei partecipanti:
Notificò il Cardinal Paolucci che dalla Posta di Milano esercitata dalli Ss. Tassi non si ricevevano più le lettere di Milano, ma che da un corriere si erano lasciate le valigie in un luogo vicino al Ponte Molle, e che essendo egli avanzato, avea portate le lettere al Cardinal Grimani, e significatogli d'aver lasciate le valigie fuori della Posta. Sua Eminenza ne diede parte al Cardinal Paolucci, che essendovi mutato il Dominio del Ducato di Milano, non era dovere che quelle lettere si portassero più alla Posta di Spagna amministrata e soggetta a nemici della corona Imperiale, e che gli si faceva sapere acciò Palazzo restasse servito delle sue lettere. Il Cardinal Paolucci non dissentiva ma solo disse che forse non poteva piacere a Sua Santità senza la sua precedente approvazione.

Furono fatte le dovute indagini, dalle quali scaturì solamente il breve di Papa Adriano VI (1522-23) col quale si concedevano a Batta (Battista) e Maffeo de Tassi tutte le poste.

Risultava anche che Papa Paolo IV, a seguito di guerra, aveva revocato a tutti gli ambasciatori le loro poste (come abbiamo già visto), ma risultava anche che, finita la guerra e fatta la pace, il Barone Tassis, che era stato messo in prigione come nemico, fu liberato e ripristinato nell'esercizio della sua Posta, come d'altra parte erano stati liberati tutti i prigionieri, i quali erano stati reintegrati “agli onori, dignità, e prerogative”.

A seguito di questi precedenti, venne accordato al Cardinal Grimani di aprire la sua posta, che divenne la posta di Milano presso l'ambasciata.

Venne impedito, tuttavia, ogni tentativo di aumento della tassa postale (1723), come fu impedito anche alle altre Poste estere esistenti in Roma.

Una lettera da Firenze il data 26 giugno 1757, ci informa che “In questo punto, che sono l'ore 7 della mattina, giunge corrieri di Vienna, che passa a Roma e Napoli, non avendo pieghi p. nessuno di qui......”. Si tratta della valigia della posta proveniente da Vienna inoltrata a Milano, e da qui fatta proseguire dal corriere milanese della posta aperta dal Cardinal Grimani sulla via di Firenze, Perugia, Roma (fig. 5).

A dir la verità, all' Austria non interessava affatto che esistesse la posta di Milano, il vero scopo era di avere una propria posta, denominata “austriaca”, tant'è vero che del problema si era interessato, come abbiamo visto, il Cardinal Grimani, cioè l'ambasciatore austriaco presso la Santa Sede.

La gestione della nuova posta era già stata affidata alla famiglia Tasso, e già questo era sintomatico data la secolare affezione degli Asburgo verso questa famiglia di corrieri che si era sempre dimostrata fedele alla casa reale ed imperiale.

Nel 1740 lo stesso Imperatore d'Austria Carlo VI concesse il feudo dell'organizzazione della posta asburgica, questa volta decisamente austriaca (infatti la sua denominazione fu “Osterreichische Post Gerechtigkeit zu Rom”, al principe Michele Thurn und Taxis (5).

          La Posta Austriaca

Sparita la Posta Milano, sostituita dalla Posta Austriaca, nulla cambiò rispetto al percorso dei corrieri da Milano a Roma, né circa gli orari e la gestione.

Di questa nuova posta non c'è alcun riferimento nella già citata Relazione del 1743, forse perché fu scritta solamente tre anni dopo la sua istituzione, ed il relatore non ne era a conoscenza, e perché ovviamente non ha trovato documenti che la riguardassero negli Archivi.

I Thurn und Taxis gestirono la posta solamente fino al 1755, anno in cui l'Austria decise di avocare a sé la titolarità e di gestirla in proprio. Il ramo della famiglia che fino allora aveva goduto della concessione romana fu risarcita con 200.000 fiorini, e da quel momento si dedicò ad altro.

La direzione fu affidata al Conte De Wilzeck, già direttore generale delle Poste austriache.

Non durò molto: Napoleone occupò Roma, come già quasi tutta l'Italia, e decise la chiusura di tutte le poste estere, non solo a Roma, nel 1806, e da quel momento tutte le poste aventi sede nei territori italiani conquistati dalle truppe francesi vennero incorporate nelle poste francesi, a gestione statale.

"Nuovo Regolamento da osservarsi nel R.I. Ufficio Austriaco in Roma..." circa 1787

 

          La Posta di Francia

La Posta di Francia, detta anche di Lione, fu introdotta in Roma a seguito di un Passaporto concesso da Papa Giulio III (1550-1555) ai corrieri di Francia nel 1553, col quale i corrieri potevano liberamente portare e riportare le lettere francesi a Roma e viceversa.

Successivamente, e come abbiamo già visto, Papa Paolo IV revocò tutte le poste estere (1556) a seguito della guerra in corso, ed in particolare revocò qualsiasi concessione fatta da Giulio III, per poi ripristinarle “per la sola tolleranza di Paolo IV”, alla fine della guerra.

Sotto il pontificato di Sisto V (1585-1590) fu chiusa la Posta di Francia: “In fatti Sisto V senza il minimo ostacolo tolse interamente da Roma l'abuso, o sia tolleranza della detta Posta, come si osserva nel …...discorso dell'unione delle Poste, su di che per altro non se ne danno, come pur si vorrebbe, ulteriori giustificazioni con i carteggi della Nunziatura di que' tempi, giacché scorsi i medesimi non si è trovata veruna cosa sopra di ciò.” (6) Ed effettivamente, altra documentazione su questa posta non viene riportata dalla nostra Relazione.

Tuttavia le posta esisteva, se Papa Innocenzo XII (1691-1700), quando decise di eliminare l'abuso del contrabbando delle lettere e di costringere i corrieri a fermarsi in dogana, propose al Ministro francese di aumentare la tassa delle lettere per reintegrare quei corrieri delle spese della “Corsa” (1696). D'altra parte, in realtà non ci fu alcun aumento della tariffa, come risultava essere stato comunicato al Nunzio di Vienna nel 1723.

Papa Alessandro VIII (1689-1691) volle risolvere definitivamente la questione, e visto che non gli riusciva di costringere i corrieri a recarsi in Dogana e a depositare le lettere contrabbandate, ordinò a tutti i mastri delle poste (pontificie) di non dare ai corrieri più di un cavallo, e di non caricarlo nemmeno di una valigia oltre la seconda, da caricare questa seconda sul cavallo della “Guida”, cioè di chi accompagnava il corriere (fig. 6).

Alla morte di Alessandro VIII toccò ad Innocenzo XII, nel 1696 – 97, risolvere la questione: volle trasformare in un trattato sottoscritto le disposizioni del suo predecessore, non potendo evitare di rimaner
colpito (restando sommamente ammirato) nel constatare che la Francia accettava di buon grado quel trattato (evidentemente la posta francese non riuscire a riempire un terza valigia di lettere!). Ma il compilatore della Relazione riferiva che “non gli fu possibile di ottener nulla di più, senonché l'adempimento di quella provvisione, che ne aveva preso Alessandro VIII”.

La questione arrivò ai ferri corti con Clemente XI (1700-1721) il quale insisteva perché il governo francese lasciasse visitare ai confini francesi i corrieri (per controllare se nelle loro valigie ci fossero lettere di contrabbando) e la risposta fu che “ogni qualvolta ciò si fosse eseguito la Francia avrebbe per i suoi Stati impedito il transito al corriere pontificio che da Avignone suol venire a Genova”.

Con tutto ciò, nulla impedì mai al corriere francese di giungere a Roma, e di partir da colà col suo carico di due valigie, portate da due cavalli sciolti come stabilito durante i pontificati di Alessandro VIII ed Innocenzo XII.

Una serie di bolli scritti alla francese ROME documenta l'operato dell'ufficio di posta francese nel corso dei XVIII secolo (fig. 7).



          La Posta di Venezia

Le Repubblica di Venezia aprì un proprio ufficio di posta in Roma, per la prima volta, nel 1507. Il viaggio da Venezia alla capitale pontificia era gestito dalla compagnia dei Corrieri Veneti, nata 18 anni prima.

Papa Adriano VI (1522-1523) emanò il 21 dicembre 1523 una concessione a favore dei corrieri veneti nella persona di Maffeo da Bergamo (Maffeo Tasso?), concessione che confermava il diritto di esercitare la posta sul tragitto tra Venezia e Roma.

Detta concessione fu confermata da Papa Clemente VII (1523-1534) il 18 maggio 1533 a favore di Pellegrino Giovanni De Locatelli, Maestro dei tabellari e corrieri del Dominio Veneziano, concessione che autorizzava anche a tenere cavalli nel territorio dello Stato Pontificio “come si tiene da antica consuetudine”.

Tenere i cavalli equivaleva a gestire le stazioni di posta che i corrieri veneziani avevano costruito lungo il tragitto, anche in territorio pontificio (7).

I brevi apostolici di concessione di detta posta da Clemente VII (1523 - 1534) fino a Gregorio XIII (1572-1585) sono stati trovati in Archivio, e gli altri potranno rinvenirsi nella Segreteria de' Brevi, in cui da Gregorio XIII in qua si conservano”, così dice la relazione pontificia che abbiamo già citato.

Quindi le poste veneziane in Roma erano state regolarmente autorizzate dai vari Pontefici che si sono succeduti: la cosa appare evidente dal breve di Clemente VII del 31 maggio 1530, col quale è stato concesso di “tenere la posta, ed i cavalli in posta” nello Stato Pontificio, e dal breve di Pio V (1566-1572) del 16 febbraio 1566, col quale venne confermato il diritto di tenere i cavallari ed i corrieri, oltre che i cavalli, in posta nel territorio (8).

Ottenuta la concessione papale, la Compagnia dei Corrieri veneti si preoccupò di ottenere anche in Pregadi, il Senato Veneziano, l'approvazione dei Capitoli per il viaggio di Roma, cosa che avvenne il 4 febbraio 1540. Con essi fa stabilito, tra l'altro, che un corriere veneziano dovesse partire “per ordinario” ogni settimana per Roma, con l'obbligo di effettuare il viaggio il 4 giorni d'estate ed in 6 giorni d'inverno.

La relazione si preoccupa di metter in evidenza che la concessione papale non fu mai perpetua, ma “sempre e poi sempre” rilasciata a beneplacito della Sede Aulica, quindi non deve meravigliare se Papa Paolo IV “levò ai veneziani la Posta” (1556). Lo stesso Paolo IV restituì dopo breve tempo la concessione.

Ogni papa successivo rinnovò con regolarità la concessione, fino a che Papa Pio V (1566-1572) tentennò: intendeva concedere il rinnovo solo a condizione di un trattamento di reciprocità. In pratica, il papa voleva che la Repubblica autorizzasse a sua volta il Pontefice ad aprire un proprio ufficio di posta nella Nunziatura pontificia a Venezia.

La Repubblica aveva negato a lungo l' autorizzazione, asserendo che mentre la posta veneziana in Roma era aperta da tempo immemorabile, quindi aveva un “diritto acquisito” irrevocabile, a Venezia non era mai esistita una posta pontificia.

Alla fine la Repubblica non seppe dire di no, e nel giugno del 1568 il primo corriere papale partì da Roma per raggiungere la Nunziatura a Venezia, dove le lettere trasportate vennero pubblicamente distribuite ai destinatari.

La cosa non garbava affatto al Senato veneziano: benché alla fine fosse stata concessa l'autorizzazione, esso cercò di boicottare la nuova posta vietando espressamente ai propri sudditi, con apposito decreto, di servirsi della posta pontificia, obbligandoli nel contempo a consegnare le proprie lettere esclusivamente ai corrieri veneziani.

Venutone a conoscenza, il Cardinal Alessandrino, delegato alle poste, obbligò a sua volta i sudditi romani a consegnare le lettere solamente ai corrieri pontifici.

Questo divenne “sistema”, e a questo si adeguarono i corrieri delle due parti.

Ma non basta: per assicurarsi che i corrieri pontifici non portassero a Roma lettere di sudditi veneziani, a Chioggia, sul limitare della laguna, i doganieri fermavano e perquisivano i corrieri romani, e sempre per reciprocità lo stesso facevano i doganieri pontifici a Rimini con i corrieri veneziani. Se venivano trovate lettere vietate, cioè “in contrabbando”, i corrieri venivano incarcerati e le lettere sequestrate.

Successivamente i corrieri venivano liberati e le lettere fatte proseguire, però il principio giuridico era salvo.

Alla morte di Pio V, il 1° maggio 1572, Venezia chiuse la posta pontificia dislocata nella Nunziatura ed il nuovo Papa Gregorio XIII lasciò fare, ma nel 1577 lo stesso papa ordinò al Nunzio di riaprirla, e questa volta fu la Repubblica a non obiettare.

Venezia in quegli anni era in guerra con i Turchi: l'isola di Cipro, caposaldo del suo commercio in un punto strategico del Mediterraneo, era stata conquistata dai Turchi (1570) e il difensore dell'isola Marcantonio Bragadin era stato scorticato vivo, destando grande riprovazione in tutta l'Europa.

L'anno successivo una forza navale alleata, composta da navi veneziane, austriache, spagnole e pontificie, oltre ad altre formazioni minori, affrontò la flotta turca a Lepanto e la distrusse (7 ottobre 1571).

Per sostenere l'alleanza che portò alla vittoria Venezia aveva ottenuto “vari indulti” dal Papa, quindi non poteva non contraccambiare consentendo la riapertura della posta pontificia nella sua Capitale.

Ma ancora una volta essa fu vietata e chiusa allorché altri contrasti contrapposero le due parti, inducendo Papa Paolo V (1605-1621) a lanciare l'interdetto contro la Repubblica, al quale Venezia rispose allontanando il Nunzio Apostolico e quindi revocando l'ufficio di posta pontificia (1606).

Da questo momento solamente i corrieri veneziani assicurarono il collegamento postale tra le due capitali (figg. 8-9).

Ma non finì qui. Dopo qualche tempo, “si vede far menzione di due Poste Pontificie in Venezia, e sono la Posta di Bologna e di Ferrara”, come prosegue la nostra relazione.

Si trattava di due corsi di posta gestiti da sudditi pontifici, accettati dal governo veneziano perché erano considerati strategici ai fini commerciali. Infatti, era fiorente il commercio con le città romagnole, non solo, ma erano forti anche gli interessi verso la Toscana. Basti pensare che molte navi veneziane provenienti dalla Turchia, in particolare da Smirne, da Alessandria e da Cairo, attraccavano al porto di Livorno per poi proseguire verso Marsiglia. Nel porto toscano venivano scaricate le merci destinate a Venezia, quindi era più che mai necessario un collegamento postale che rendesse veloce la trasmissione delle lettere tra Livorno e Venezia (fig. 10).


Infatti le poste di Bologna e di Ferrara, già collegate tra di loro, erano in collegamento diretto anche con le Poste di Modena e di Firenze per formare un unico viaggio postale per barca, lungo i fiumi e canali interni. Le merci e le lettere potevano essere portate nella Dominante in totale velocità e sicurezza.

Le due poste pontificie di Ferrara e di Bologna erano considerate a Roma come reciprocità per l'esistenza della posta veneziana nella capitale pontificia, e questo è il motivo per cui non ci sono stati più problemi di natura diplomatica tra i due Stati.

La posta pontificia diretta a Venezia fu portata dai corrieri veneziani, mentre le lettere veneziane dirette ai territori pontifici furono trasportate dai corrieri pontifici di Ferrara e Bologna.

          La Posta di Firenze

La Posta di Firenze fu introdotta a Roma nel 1536 da Papa Paolo III che la concesse a tale Domenico Vantaggio, a condizione che la posta fosse al servizio esclusivo del Granduca di Toscana, che fosse senza danno per la posta pontificia e con l'autorizzazione della stessa posta.

Il corso postale fiorentino seguiva la via di Perugia, città nella quale un Ministro della posta riceveva le lettere e inoltrava quelle dirette verso altri Stati (fig. 11).


Non troviamo altre notizie nella relazione pontificia, ma sappiamo che nel corso del XVIII secolo essa era ancora attiva, e sarà chiusa solamente da Napoleone, assieme a tutte le altre poste estere esistenti nelle città italiane occupate dall'esercito francese.

          La Posta di Genova

La nostra relazione non dà la data di introduzione della Posta di Genova in Roma, ma informa che un corriere genovese già portava lettere sotto il pontificato di Papa Gregorio XIII (1572-1585).

Questo papa ne regolò l'organizzazione, dandole così un riconoscimento ufficiale: la posta “fu regolata su quel medesimo piede di quella di Venezia, scorgendovi che in Genova vi era la Posta del Papa, ed un ufficio a parte de' Corrieri Pontifici in cui si dispensavano le lettere” (fig. 12).


Quindi valse in questo caso il principio di reciprocità: un ufficio di posta genovese a Roma ed uno pontificio a Genova.

          La Posta di Torino

Nulla si dice neppure della Posta di Torino, se non che fu introdotta abusivamente e reintrodotta “per via di tolleranza nel corso del precedente Pontificato”.

Non risultano né la data di introduzione né il nome del Pontefice, quindi non possiamo sapere in quale data essa sia stata introdotta, ma possiamo ipotizzare che fosse nello stesso periodo delle altre poste aperte abusivamente.

Abbiamo traccia di questa posta nelle lettere provenienti dal territorio piemontese e dirette al Sud, le quali venivano consegnaste alla posta napoletana di Roma perché le facessero proseguire a destinazione.

Un bollo TORINO (fig. 13) impresso dall'ufficio napoletano sul fronte delle lettere attestano del corso di posta piemontese.

 

Note:

1) Scrittura, Decreto e Altro in materia del Sovrano Jus Postale Veneto, Biblioteca del Museo Civico di Padova, C.M. 170/33.

2) Memoria Istorica, Generale e Cronologica sopra l'introduzione delle Poste Pontificie e specialmente sopra tutte le Poste Nazionali che per mera tolleranza pontificia si godono dai Principi, in Roma, 4 giugno 1743, manoscritto, presso la Biblioteca e Documentazione della Direzione Generale delle Poste di Berna, pubblicata dal Consilium Philateliae Helveticae, a cura di Paolo Vollmeier, febbraio 1995. Soprattutto sul contenuto di questa relazione si basa l'articolo.

3) Gli ambasciatori degli stati esteri.

4) Archivio di Stato di Venezia, Compagnia dei Corrieri , busta III, 6-8.

5) Vito Salierno, La Posta austriaca a Roma, Vaccari Ed., Vignola 2004.

6) Memoria istorica....., pp. 62-63.

7) Adriano Cattani, Da Venezia in viaggio con la posta, Elzeviro Ed., Padova 2002, pp. 29-36.

8) Entrambi questi brevi sono pubblicati nella relazione Memoria Istorica......, in allegato ai nn. 23 e 24.