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GIOVANNI NUVOLARI PRIGIONIERO A JOSEPHSTADT | ||||||||||||||
Sergio Leali | ||||||||||||||
Quando su qualche libro o giornale si legge o per radio o televisione si sente il nome Nuvolari, la nostra mente lo abbina subito a Tazio il più grande pilota di tutti i tempi, dimenticando che altri suoi omonimi si sono distinti in vari settori quali lo sport ciclistico, in quello della storia del nostro risorgimento, nel sociale e in ambito culturale. Infatti Giuseppe e Giovanni furono due figure di spicco negli anni in cui vi fu il riscatto della nostra nazione dall’oppressione austriaca, Antonio fu un benefattore che destinò al Comune di Roncoferraro buona parte delle sue immense ricchezze in parte utilizzate per la costruzione di un ospitale ed un ricovero di mendicità e vecchiaja pei poveri del Comune. Esso venne successivamente trasformato in Istituto Geriatrico che ovviamente è a lui intitolato. In campo sportivo, oltre al più noto Tazio, sono da ricordare Giuseppe, che nel 1894 a Parigi vinse i campionati europei di ciclismo (specialità velocità) e Arturo che si affermò in importanti competizioni in Italia e all’estero. Un altro notevole personaggio fu Francesco, uno dei massimi esperti italiani di numismatica; fu tra l’altro fornitore di numerose e rare monete antiche al re d’Italia Vittorio Emanuele III con il quale collaborò anche alla stesura del “Corpus Nummorum Italicorum”.
Nato a Barbassolo nel 1805, dopo essersi laureato in medicina, professione che mai esercitò, sposò Carolina Nova venuta prematuramente a mancare nel 1849 lasciandolo vedovo con due figlie, Elisa ed Emilia con le quali viveva a Susano conducendo, per conto del duca di Modena Francesco V, un vastissimo fondo agricolo. Fu proprio a causa del duca che ebbe i suoi primi problemi con la polizia austriaca. Infatti Francesco V, allo scoppiare dei primi moti rivoluzionari, fuggì da Modena e, assieme alla famiglia, si rifugiò per due giorni (il 22 e 23 marzo 1848) a Mantova. Giovanni in tale occasione si rifiutò di fornire agli inviati dal duca carri e foraggio per i cavalli. Questo rifiuto fu interpretato dalle autorità austriache (è noto infatti che il duca era imparentato con gli Asburg), come un gesto di notevole gravità e quasi di insubordinazione; dopo breve tempo si aggiunse anche l’accusa, non confermata durante l’inchiesta, di frequentare quasi quotidianamente l’accampamento dei soldati piemontesi che stazionavano in zona con lo scopo di assumere e portare notizie che potevano essere utili alla causa antiaustriaca. Fu tratto in arresto alla fine di ottobre dello stesso anno, ma fu rilasciato dopo una ventina di giorni per sopravvenuta amnistia generale concessa dal feldmaresciallo Radetzky. Subì altri due arresti l’anno successivo: il primo, dal 2 al 7 febbraio 1849, per possesso illegale di armi, il secondo con l’accusa, risultata poi infondata, di aver favorito l’ingresso in città di una spia piemontese incaricata di indagare su lavori di fortificazione. Da entrambe le accuse venne repentinamente prosciolto; poté così ritornare alla conduzione dell’azienda agricola di Susano, non tralasciando però di mantenere contatti con persone di chiara fama antigovernativa. Pur non avendo preso parte alla prima riunione che si svolse la sera del 2 novembre 1850 nella casa Benintendi sita nell’allora via S. Maurizio, oggi via Giovanni Chiassi, lo troviamo poi coinvolto a vario titolo nella congiura di Belfiore. Don Enrico Tazzoli, ben conoscendo la sua agiatezza economica e le sue idee politiche, gli chiese, e ottenne, una notevole somma di danaro che sarebbe servito a dare impulso alla causa. Quando nel giugno 1852 fu decifrato il registro nel quale don Tazzoli segnava, con estrema meticolosità, e forse con eccessiva ingenuità e leggerezza, i nomi di quanti effettuavano versamenti per il sostentamento della società segreta, comparve fra i tanti anche quello di Giovanni che venne tratto in arresto il 17 giugno. Pochi giorni dopo subì un primo stringente interrogatorio, ma notevoli accuse a suo carico erano già affiorate durante l’interrogatorio di Luigi Castellazzo ed egli ovviamente non poté negare l’evidenza. Ammise di avere effettuato un prestito di 7.000 lire per l’acquisto di cartelle mazziniane ma di non averne smerciate ad altre persone. Come risulta dalla sentenza emessa il giorno 28 febbraio egli si dichiarò sinceramente pentito per quanto aveva commesso. Questo suo atteggiamento gli evitò una pena più dura dei soli dodici anni ai ferri che gli venne inflitta. Le sue ammissioni di coinvolgimento in vari avvenimenti come l’acquisto del famoso torchio da parte di Tito Speri e fatto giungere in segreto, ma non tanto, a Mantova, l’affiliazione di altri personaggi palesemente antiaustriaci, le missioni compiute in altre città per constatare, di persona e con altri congiurati, lo stato delle fortificazioni, furono valutate positivamente dalle autorità inquirenti. Soprattutto fu il pensiero delle due figlie, ancora in giovane età, che si sarebbero trovate senza alcun familiare che le potesse accudire, a spingerlo ad una profonda riflessione e ad ammettere le sue colpe. Anche sui rapporti con il cugino Giuseppe, dal quale aveva ottenuto un’ingente somma per l’acquisto di cartelle del prestito mazziniano egli cercò di giustificarsi affermando, ma ciò è poco credibile, di non averlo affiliato negando pure la sua conoscenza e frequentazione di vari personaggi di volta in volta coinvolti nelle inchieste.
Questo suo atteggiamento gli evitò, come sottolineato in precedenza, la condanna alla pena capitale comminata a Carlo Montanari, all’innocente don Bartolomeo Grazioli e a Tito Speri, ed eseguita il 3 marzo 1853, che venne, per clemenza del feldmaresciallo Radetzky, commutata in dodici anni di carcere ai ferri da scontarsi nella fortezza di Josephstadt in Boemia.
Così pochi giorni dopo la lettura della sentenza, assieme a un ventina di altri sventurati, si avviò in quella che fu la sua “dimora” per circa tre anni e mezzo. A seguito dell’amnistia del dicembre 1856 tutti condannati italiani nei vari processi che si erano svolti a Mantova, con la sola esclusione del latitante Giovanni Acerbi di Castel Goffredo, furono prosciolti e così, nei primi giorni del 1857, poté fare ritorno a Susano. Nel frattempo però il contratto per la conduzione del fondo che, fino al 1852 lo aveva visto grande e attento amministratore, era decaduto ed egli, avendone i mezzi, acquistò terreni a Villimpenta dove si trasferì assieme alle figlie rimanendovi fino alla morte avvenuta nel 1894. La sua onestà e il prestigio di cui godeva fra la popolazione fecero sì che nelle elezioni amministrative del 1867 venisse chiamato a far parte della Giunta comunale rivestendo la carica di assessore e, dal 1876 al 1881, quella di sindaco. Alcune delle lettere, poche per la verità (poteva infatti scrivere a casa solamente ogni tre mesi), inviate alle figlie sono conservate presso il museo a lui dedicato; più numerose sono quelle che esse indirizzarono a lui e sono in parte custodite nello stesso museo e nelle collezioni di appassionati filatelisti. Riportiamo qui di seguito brani tratti da alcune di esse. Quelle che ho potuto visionare furono scritte quasi certamente dalla figlia maggiore Elisa, anche se a fianco della sua firma compare il nome di Emilia, recano tutte lo stesso identico indirizzo, probabilmente indicato dalle autorità di polizia che, come di consueto per tale tipo di corrispondenza, le sottoponeva a censura: All’I.R. Comando di Fortezza Nella lettera spedita da Susano il 15 luglio 1853, che ritengo una delle prime a lui indirizzate, troviamo scritto: Amatissimo Padre, Le sue Amorosiss.me Affettuosis.me Figlie Meno di un mese dopo, il 5 agosto, le figlie così scrivevano: Amatissimo Padre Le sue aff.me Figlie
Carissimo Pappà Le Sue aff.me Figlie
Il 26 marzo 1854, quindi poco più di un anno dopo la condanna, le figlie, rivelando notevoli doti di intraprendenza nella conduzione del fondo, scrivono: Amatissimo Padre La lettera, firmata sempre dalle affettuosissime figlie, termina con i soliti saluti di amici e parenti e l’invito a che viva di buon umore.
Nella missiva spedita, sempre da Susano, il 7 giugno 1854, Elisa ed Emilia si dicono molto preoccupate per il fatto di non ricevere con regolarità sue notizie: Amatissimo Padre
Mentre le precedenti furono regolarmente affrancate con francobolli da 45 centesimi dell’emissione del 1850 del Regno Lombardo Veneto, queste non recano alcun francobollo ma riportano bolli che ne attestano la spedizione franca: infatti su una, oltre al bollo circolare con dicitura tedesca (MANTUA) e data (giorno e mese) ne vennero impressi altri due, in doppio riquadro, uno con la dicitura FRANCO e un altro, sempre in doppio riquadro (VALORE DICHIARATO) timbro che compare anche sull’altra lettera. In quella spedita il 5 luglio erano contenuti N°. 80 fiorini in carta – pezzi da 10 N° 4 – pezzi da 5 N° 4 – pezzi da 2 N° 3 – pezzi da 1 N° 14 mentre quella del 3 settembre conteneva fiorini 30. B.N. (banconote) in pezzi 6 da fiorini 5.
Ecco quanto recano scritto all’interno: Le Sue aff.me Figlie Amatissimo Padre Le Amorosissime sue figlie APPENDICE Ecco come viene descritto dalla Polizia austriaca Giovanni Nuvolari nel “Prospetto degli individui della Città e Provincia di Mantova, i quali siccome resi osservabili per parte presa ai trabusti (sic) politici 1848, e massime spiegate successivamente pure in senso antipolitico”: Nuvolari Giovanni fu Angelo di Barbassolo sotto Roncoferrao. Vediamo nella sentenza pubblicata il giorno 28 febbraio a carico di ben 27 inquisiti, fra cui don Bartolomeo Grazioli, Tito Speri e Carlo Montanari che salirono sul patibolo il 3 marzo successivo, le parti che riguardano il nostro:
Bibliografia Bazzi A., Giovanni Nuvolari, patriota mantovano sfuggito alla forca nel 1853 in “Quadrante Padano” a. VI (1985);
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