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La donna e la religione islamica
di Giancarla CEPPI (da filateliareligiosa.it 10/2013)

Camminando per le strade delle citt€à europee  è sempre pi‚ù usuale incontrare donne, provenienti dai paesi arabi, che porta no il velo. Veli che coprono la capigliatura in modi sempre pi‚ù accurati. Questo è l'aspetto più‚ appariscente che definisce l'appartenenza religiosa musulmana, praticante o meno che sia.
Con l'inizio del processo di modernizzazione in paesi come l'Algeria, l'Egitto o la stessa Tunisia, sembrava che l'uso del velo, specie per le donne giovani, stesse scomparendo. In seguito peròƒ al processo di occidentalizzazione che si potrebbe dire forzata, proprio dalle università è partito un movimento di studentesse che, per rivendicare la loro identità€, iniziarono a portare il velo. Dalle università€ il costume si  diffuso sempre più‚ in tutte le categorie sociali. Il dibattito sul velo nei paesi occidentali ha coinvolto soprattutto la Francia, dove nei luoghi e nelle funzioni pubbliche viene proibito alla donne di indossarlo. Anche a Torino l'imam Bouchta organizzƒ una manifestazione con l'intento di rivendicare il diritto delle donne mussulmane di essere ritratte con il velo nei documenti di identità€.

Tuttavia sarebbe limitativo fermarsi all'aspetto del velo per affrontare la questione femminile nella religione islamica. Da un punto di vista strettamente religioso nel Corano non c'è una sura di Maometto che prescriva il velo. Per certo la legislazione dei paesi dove l'Islam è la religione dominante, prescrive i comportamenti da tenersi verso le donne nel matrimonio sia questo poligamico che monogamico, e ogni paese ha la sua particolare legislazione. In Egitto, ad esempio, dove  ammesso il matrimonio poligamico, la legislazione stabilisce alcuni vantaggi legittimi a favore della prima moglie.

Quel che è altrettanto certo è che non esiste altra religione in cui la giurisdizione è così„ prescrittiva nei confronti della donna come quella islamica. Sia nella pratica sociale che nella stessa pratica religiosa. Alcune moschee di paesi arabi sono vietate alle donne, mentre in altre c'è un apposito spazio a loro destinato.
Riguardo all'assiduità€ della pratica religiosa, per quanto ci  dato di capire, questa è maggiore o minore a seconda del grado di assimilazione della donna nel paese ospitante. Sicuramente per quelle nate in Italia, si assiste a comportamenti differenziati compreso l'uso o meno del velo. Con l'avanzare dell'età€ e soprattutto con il matrimonio, i comportamenti cambiano e nella maggior parte dei casi c'è un adattamento alla regola dominante.
Normalmente non frequentano la moschea per la pratica religiosa, a meno che non sia particolarmente vicina: non c'è alcuna prescrizione infatti, a differenza della religione cattolica per la partecipazione alla messa.
Occorre precisare che il concetto di donna nella religione islamica nasce da un’interpretazione rigida e non corretta del Corano, come scorretta è la subordinazione all’uomo applicata in molti paesi. Per il Corano la donna è equivalente all’uomo: “Voi avete dei diritti verso le vostre donne, ma anche le vostre donne hanno dei diritti verso di voi”. Quindi l’attuale condizione non dipende dalla religione, ma dalla sua strumentalizzazione. Come insegna la storia, l’uomo spesso ha strumentalizzato religione e spiritualit€ per i propri interessi.

Per il Corano uno dei diritti fondamentali della donna musulmana  quello di non essere considerata oggetto di piacere, ed è solo per questo che la legge islamica incoraggia la modestia nell’abbigliamento, per preservare la sua dignit€à e mantenere il rispetto nei suoi confronti (fonte sura 24 v. 31, la “sura delle donne”). La modestia nell’abbigliamento è obbligatoria anche per l’uomo nell’Islam, perchèˆ entrambi non devono tentare gli altri con gesti, parole od ornamenti. Ecco perchèˆ la donna musulmana indossa il velo, come le nostre donne lo indossavano in chiesa per coprire i capelli, la copertura integrale del viso non appartiene alla vera legge islamica, è una delle tante estremizzazioni adottate per esaltare le differenze dall’Occidente e combattere ogni forma di modernit€à, compreso l’emancipato ruolo della donna. La forma pi‚ù grave di questa estremizzazione è l'infibulazione, cioè la mutilazione genitale femminile, le cui origini sono legate a tradizioni dell’antico Egitto (da qui il nome di infibulazione faraonica). Si calcola che in Egitto, nonostante la pratica sia stata vietata, ancora tra l’85% e il 95% delle donne abbia subito l’infibulazione, ma è la Somalia, definita il paese delle donne cucite, a raggiungere la percentuale pi‚ù alta, il 98%! L’infibulazione viene praticata in società€ a carattere patriarcale in cui la donna è considerata inferiore e la sessualit€à femminile è vista come istinto impuro, che deve essere controllato. In questo modo la donna contribuisce a salvaguardare l’onore della famiglia, che diventa una componente così„ essenziale della propria vita da far dimenticare il dolore provocato dall’infibulazione. La donna desidera essere infibulata per evitare l’emarginazione, per non disonorare la propria famiglia comincia a credere in qualcosa che la priva della propria naturale sessualit€à, della dignit€à, e questo perchèˆ la sua vita societaria possa essere uguale alle altre donne e per riuscire a crearsi una famiglia, perchèˆ una donna non infibulata è difficile che trovi marito.
Va sottolineato perƒò un aspetto fondamentale: tutta questa crudeltà€ non è menzionata nel Corano, non è dunque islamicamente lecita alcuna forma fisica di dolore e soprattutto l’infibulazione che rechi danno fisico alla donna. Ne è considerato accettabile nell’Islam che sia limitato il piacere sessuale della donna. E'‰ l’uomo a distorcere le parole del Corano, per utilizzarle come meglio crede, e infatti l’infibulazione viene consigliata, spacciandola come sistema utile a mantenere intatta la purezza della donna e utilizzata per dar sicurezza all’uomo. Così„ continua a perpetuarsi lo scambio fra persona e società€: la donna perde la propria individualità€ e i propri diritti fondamentali, in cambio viene accettata dal gruppo, riconosciuta degna di farne parte, al prezzo di innumerevoli rinunce e sofferenze. Non c’è prezzo da pagare alla società€ per acquistare una propria dimensione d’esistenza.

Ma è proprio nel Corano che le donne musulmane possono trovare la forza per riappropriarsi del loro vero ruolo. Il Corano chiaramente enuncia: “la ricerca del sapere è un obbligo per ogni musulmano e ogni musulmana; l’uomo e la donna devono compiere lo stesso cammino di conoscenza davanti al creatore”.
La vera legge islamica incita alla conoscenza: “‰E' dovere dei genitori provvedere all’istruzione dei figli, maschi e femmine”.
Istruzione, sapere e intelligenza devono appartenere al musulmano, indipendentemente che sia di sesso femminile o maschile, perchèˆ ambo i sessi vivano con coscienza la loro fede, nella verit€à dell’Islam, che va accettata liberamente e osservata perchˆè si conosce profondamente e non perchèˆ imposta. Il sapere, secondo il Corano, è la condizione per essere musulmani, quindi l’ignoranza “imposta” alle donne in ancora troppi paesi arabi, non è conforme alla legge islamica.

Negare la conoscenza alle donne, negarle la libertà€, privarle di ogni diritto e perfino della loro sessualit€à, significa tradire e calpestare l’Islam e tutta la sua cultura.