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La donna e la religione islamica | ||||
di Giancarla CEPPI (da filateliareligiosa.it 10/2013) | |||||
Camminando per le strade delle città europee è sempre più
usuale incontrare donne, provenienti dai paesi arabi, che porta
no il velo. Veli che coprono la capigliatura in modi sempre più
accurati. Questo è l'aspetto più appariscente che definisce l'appartenenza religiosa musulmana, praticante o meno che sia. Tuttavia sarebbe limitativo fermarsi all'aspetto del velo per affrontare la questione femminile nella religione islamica. Da un punto di vista strettamente religioso nel Corano non c'è una sura di Maometto che prescriva il velo. Per certo la legislazione dei paesi dove l'Islam è la religione dominante, prescrive i comportamenti da tenersi verso le donne nel matrimonio sia questo poligamico che monogamico, e ogni paese ha la sua particolare legislazione. In Egitto, ad esempio, dove ammesso il matrimonio poligamico, la legislazione stabilisce alcuni vantaggi legittimi a favore della prima moglie. Quel che è altrettanto certo è che non esiste altra religione in cui
la giurisdizione è così prescrittiva nei confronti della donna come quella islamica. Sia nella pratica sociale che nella stessa pratica religiosa. Alcune moschee di paesi arabi sono vietate alle
donne, mentre in altre c'è un apposito spazio a loro destinato. Per il Corano uno dei diritti fondamentali della donna musulmana quello di non essere considerata oggetto di piacere, ed è
solo per questo che la legge islamica incoraggia la modestia
nell’abbigliamento, per preservare la sua dignità e mantenere il
rispetto nei suoi confronti (fonte sura 24 v. 31, la “sura delle
donne”). La modestia nell’abbigliamento è obbligatoria anche
per l’uomo nell’Islam, perchè entrambi non devono tentare gli
altri con gesti, parole od ornamenti. Ecco perchè la donna musulmana indossa il velo, come le nostre donne lo indossavano in
chiesa per coprire i capelli, la copertura integrale del viso non
appartiene alla vera legge islamica, è una delle tante estremizzazioni adottate per esaltare le differenze dall’Occidente e combattere ogni forma di modernità, compreso l’emancipato ruolo
della donna. La forma più grave di questa estremizzazione è l'infibulazione, cioè la mutilazione genitale femminile, le cui
origini sono legate a tradizioni dell’antico Egitto (da qui il nome di infibulazione faraonica). Si calcola che in Egitto, nonostante la pratica sia stata vietata, ancora tra l’85% e il 95% delle
donne abbia subito l’infibulazione, ma è la Somalia, definita il
paese delle donne cucite, a raggiungere la percentuale più alta,
il 98%! L’infibulazione viene praticata in società a carattere patriarcale in cui la donna è considerata inferiore e la sessualità
femminile è vista come istinto impuro, che deve essere controllato. In questo modo la donna contribuisce a salvaguardare
l’onore della famiglia, che diventa una componente così essenziale della propria vita da far dimenticare il dolore provocato
dall’infibulazione. La donna desidera essere infibulata per evitare l’emarginazione, per non disonorare la propria famiglia comincia a credere in qualcosa che la priva della propria naturale
sessualità, della dignità, e questo perchè la sua vita societaria
possa essere uguale alle altre donne e per riuscire a crearsi una
famiglia, perchè una donna non infibulata è difficile che trovi
marito. Ma è proprio nel Corano che le donne musulmane possono trovare la forza per riappropriarsi del loro vero ruolo. Il Corano
chiaramente enuncia: “la ricerca del sapere è un obbligo per
ogni musulmano e ogni musulmana; l’uomo e la donna devono
compiere lo stesso cammino di conoscenza davanti al creatore”. Negare la conoscenza alle donne, negarle la libertà, privarle di ogni diritto e perfino della loro sessualità, significa tradire e calpestare l’Islam e tutta la sua cultura.
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