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Ma la Toscana è Estero!

Thomas Mathà (AIEP)
Le "divise uniformi" degli impiegati
delle Poste Granducali - 1835

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Negli Antichi Stati Italiani non vi era il generale obbligo di prepagare (o “affrancare”) le lettere da parte del mittente, ma sussisteva la necessità del prepagamento forzato fino al confine per le missive dirette all’estero. Questo aveva la sua ragione perché se non esisteva una specifica convenzione bilaterale (molto frequente sino al 1840/1850) che disciplinava le reciproche incombenze sul tratto di percorso, (almeno) una delle due amministrazioni coinvolte (se vi erano stati di transito era ancora più difficile) rischiava di non incassare nulla per il proprio servizio reso.

Il problema non si poneva se la lettera era diretta all’interno di uno stato, l’amministrazione, anche se il mittente preferiva non pagare l’importo richiesto dalla tariffa per il rispettivo percorso, le poste lo riscattavano dal destinatario all’arrivo.

Ma immaginiamo una lettera da Firenze (Toscana) a Roma (Stato Pontificio) che partiva senza aver pagato nulla, in assenza di una specifica regola (e sebbene tra i due stati dal 1823 esistevano convenzioni postali bilaterali) le poste toscane non riuscivano a percepire una benedetta crazia per il trasporto fino a Castiglion Fiorentino (ufficio postale di scambio previsto dalla convenzione tosco-pontificia del 1841).

Fig. 1: Da Firenze a Roma 1849, 3 crazie pagate dal mittente fino al confine pontificio,
7 bajocchi pagati dal destinatario all’arrivo.

 

Solo l’amministrazione pontificia a Roma riusciva a chiedere al destinatario l’importo per la propria tratta di servizio, ma non era tenuta a dividere questo incasso con i colleghi toscani. Il bello è che, guardando la tariffa pontificia (nel periodo la Notificazione del Cardinale Tosti del novembre 1844) prevedeva per le lettere (non prepagate) dall’estero un importo più elevato che per le lettere interne. Sempre riferendosi al caso precedente, se la lettera veniva quindi spedita da Perugia (al confine della Toscana) e diretta a Roma avrebbe pagato 3 bajocchi (tassa dovuta per lettere nella stessa distanza, ma tra direzioni non a contatto). Invece una lettera proveniente dalla Toscana e diretta nella prima distanza doveva essere tassata per 7 bajocchi (+ 4 baj!).

Le poste pontificie spiegavano all’utenza l’importo maggiore in generale per necessità di regolarsi con le amministrazioni postali estere, ma, come abbiamo visto, la convenzione tosco-pontificia non aveva previsto alcun obbligo per questi casi ed al confine l’amministrazione consegnava gratuitamente i plichi… Lascio al lettore la conclusione.

Quindi, l’amministrazione postale doveva essere attenta quando prendeva in consegna lettere dirette all’estero. E ogni tanto scappava una “estera”, come ci insegna questa interessante lettera.

La missiva partiva a Roma il 21 settembre 1844 ed era diretta a “Perugia p(er) Castiglion-Fiorentino”. Questa prassi di scrivere prima (di regola in lettere più piccole) il luogo di transito e successivamente (e in lettere più grandi) il luogo di destinazione nell’ottocento era molto frequente. La lettera reca il bollo dell’Ufficio “Direzione di Roma” (l’unico caso dell’intera amministrazione pontificia dove nel bollo datario di un ufficio postale è rilevabile la denominazione DIREZIONE).

Orbene, possiamo immaginare che la lettera era stata gettata in una buca dell’ufficio postale, e l’impiegato (probabilmente distratto, non rendendosi conto che Castiglion Fiorentino era Toscana e quindi estero, o, altra teoria possibile, l’occhio era caduto solo su Perugia) dava corso all’inoltro della lettera, tassandola per 3 bajocchi (come abbiamo visto prima la tassa per giungere da Roma a Perugia).

Fig. 2: Da Roma a Perugia p(er) Castiglion-Fiorentino 1844

Fig. 3: retro della lettera con i diversi bolli di transito e di arrivo

Fig. 4: Le strade postali nello Stato Pontificio,
con il percorso Roma-Civitacastellana-Foligno-Perugia-Castiglion Fiorentino.


Nella capitale umbra la lettera si era invece fermata (bollo lineare sul retro PERUGIA) ed i colleghi dell’ufficio postale di Perugia, accortosi dell’errore, e non potendo riscuotere la tassa di 3 baj, la cancellavano e la rispedivano pertanto a Roma. Probabilmente in quel momento i postali perugini annotavano in alto della lettera “Diretta all’Estero” (“cari Romani, Toscana è Estero!”), annotando la lettera pure nel registro delle lettere inesitate (numero 559, in alto a sinistra della lettera).

La lettera arrivava a Roma (timbro d’arrivo 23 SETTEMBRE sul retro), ed ora si doveva trovare il mittente che doveva regolarizzare la missiva. Solo quando questo era stato trovato (un miracolo, considerando che nulla risultava sulla soprascritta; ma le poste erano abili, dovendo recuperare l’importo non pagato) il percorso poteva proseguire. E come ci svela il secondo bollo della direzione di Roma, oltre un mese dopo, il 26 ottobre era finalmente individuato.

A tal punto, le poste pontificie, che prima avevano tassato la lettera ancora una volta di 3 bajocchi (per il tratto Perugia-Roma), cancellavano il 3, avendolo pagato il mittente distratto (egli non poteva gettare la lettera per l’estero nella buca, ma consegnarla all’ufficio postale per il pagamento dell’impostazione).

Non è escluso che il povero mittente ripreso doveva anche pagare la prima tassa di 3 (Roma-Perugia), quindi totale 6 bajocchi… (conoscendo l’“abilità” delle poste pontificie ad incassare).

Ma v’era di più!

Il mittente, oltre l’importo per il disguido perugino, ora doveva pagare ovviamente l’impostazione per l’estero di 5 baj, che risulta pagata, confermata dal bollino rosso “5” in uso all’ufficio postale romano.

Fig. 5: Il bollo di impostazione di 5 baj da parte dell’ufficio postale di Roma.


Ora si poteva formare il pacco per Perugia, che includeva la lettera, e che veniva scambiata poi con l’ufficio di Castiglion Fiorentino, che nel caso era anche il luogo di destinazione. Il bollo di arrivo della cittadina Toscana del 29 ottobre rassegna infine il buon esito del viaggio. Allegria!

Thomas Mathà AIEP
10-04-2022


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