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Dalle monete dei Longobardi a quelle dei Lorena

Roberto Monticini
Le "divise uniformi" degli impiegati
delle Poste Granducali - 1835

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A Vittorio Dini

Il Professore Vittorio Dini (1925-2018) è stato il mio “Prof.” di ginnastica all’Istituto Tecnico Commerciale di Arezzo “Michelangelo Buonarroti. Il Professor Dini è stato cofondatore degli Sbandieratori di Arezzo ed ideatore dei Giochi Olimpici della Bandiera e proprio per questa categoria mi aveva selezionato facendomi partecipare alle gare di mezzofondo.

Il Professor Dini successivamente è diventato docente di antropologia culturale e sociologia alle Università di Urbino, Perugia e Siena-Arezzo, in tal ruolo è stato anche il “Prof.” di mia moglie Giovanna.
Transitando Lui casualmente per via San Domenico, mi sorprese a fumare sulla porta di casa, soffermatosi amabilmente per un saluto, abbiamo dato vita ad un piacevole discorrere amalgamando reminiscenze con innesti del presente, includendovi anche il mio interesse per la filatelia. Qualche giorno dopo nella nostra cassetta delle lettere ho trovato questo biglietto:

“per Roberto e Giovanna
Grazie per la cortese accoglienza e per avermi fatto “sentire” la vostra bella casa. Nel plico troverete degli indicatori (indice, scopi della ricerca e qualche saggio sulle monografie).
Per cominciare, a mio parere, ci dovrebbero essere dei riferimenti alle monete barbariche (goti, longobardi, germani, austriaci); quando avete buttato giù liberamente una traccia, datemi una telefonata. Grazie.
Vittorio”

Dalle monete dei Longobardi a quelle dei Lorena

Oggi, nel 3° millennio, correntemente parliamo di “soldi”, “denari”, “quattrini” e, senza ricorrere a speciali sottigliezze lessicali, usiamo indifferentemente or l’uno or l’altro vocabolo, perché, secondo essi, nel linguaggio quotidiano si equivalgono e quindi rimandano ad un’immagine mentale di quantità di moneta non particolarmente rilevante.

Questo significato è arrivato fino ai nostri giorni perché queste particolari monete, a differenza delle aristocratiche “crazie”, “duetti” e “paoli” delle quali nell’arco di soli 150 anni (a far data dal 1861 – Unità d’Italia - ) se ne è perduta la memoria, potevano trovare posto anche nelle tasche, se non proprio della povera gente, almeno in quelle dei ceti popolari, i quali quindi ne hanno tramandato il sostanziale significato di generazione in generazione.

L’insieme di tutte queste “parole” monetarie costituiva il sistema di monetazione cosiddetto “duodecimale” nato con Carlo Magno ed ancora in uso nella Toscana Granducale degli Asburgo-Lorena (1738-1860).
Il sistema si presentava piuttosto complesso: 1 lira toscana era suddivisa in 12 crazie oppure in 20 soldi, oppure in 240 denari; 1 crazia equivaleva a 20 denari, 1 soldo a 12 denari; 1 quattrino era formato da 4 denari, mentre 1 duetto lo era da 8 denari; per fare 1 paolo occorrevano 8 crazie ovvero a corrispondenti 160 denari. Una corretta indicazione di costo, ad esempio quella per pagare una “Tassa di Posta delle lettere” era indicata: –– . 8 . 4 (0 lire, 8 soldi, 4 denari).

Con l’instaurazione del Regno d’Italia viene soppresso il sistema duodecimale e tutto il suo complesso e problematico sistema monetario. Con il superamento di questo arcaico sistema scompare anche la CRAZIA = KREUZER (da Kreuz – croce) di origine germanica.

Il potere dei nuovi regnanti, legati da vincoli di parentela con i francesi, ma su opposta sponda con gli austriaci, trova negli ideali risorgimentali che si vanno diffondendo in quel periodo, utili alleati e quindi in nome della Unità d’Italia porta a buon fine il compito di eliminare le monete di origine austriaca che hanno dominato per alcuni secoli.

Retrocedendo ancora ben oltre ed arrivando ai primi Barbari/Tedeschi invasori delle italiche terre, la storia ci dice che di monete, loro ne sapevano davvero poco a differenza dei Greci e Romani i quali attribuivano ad esse valore intrinseco convenzionale, valore di scambio ed una concettualità a grandi linee simile a quella odierna.

Ma quali furono le cause che avevano indotto l’abbandono di quelle che erano le funzioni della moneta prima di allora? In generale la cultura stessa dei “barbari” invasori, in particolare il non voler rappresentare in moneta i propri re-dei-eroi come invece facevano i romani, nonchè la mancanza di un forte potere centrale in grado di regolamentare il batter moneta (ricordiamo che vigeva un potere decentrato, quello dei Duchi) ed ancora, forse causa prima, il riconoscere alla violenza ed al baratto un potere di acquisto maggiore della moneta. Tutte queste cause producono minore circolazione della moneta, la indeboliscono come mezzo di scambio e di pagamento (nel tempo e nello spazio) non la fanno più universalmente riconoscere in quanto tale, inoltre ad aumentare il suo deprezzamento contribuisce non poco anche il vezzo di essere utilizzata come motivo ornamentale della persona.

La prima occupazione longobarda in Italia è sicuramente caratterizzata da scarso scambio culturale tra occupanti e occupati: la moneta è oggetto ornamentale e di oreficeria, il modello è di tipo bizantino, simile quindi a quella moneta che trovano ed acquisiscono durante i loro saccheggi.

Tremisse è il nome della moneta longobarda: la sua funzione è poco monetaria e molto ornamentale: in Italia e nell’Europa germanica sono stati ritrovati tremissi montati a collana.

Nella nostra area, la Tuscia, il tremisse viene coniato a partire dalla prima metà del VII secolo: i metalli utilizzati sono oro ed argento, non il bronzo. La produzione ed i ritrovamenti sono scarsi, ma questo è giustificabile dal fatto che le monete utilizzate precedentemente sono ancora sufficienti a garantire le necessità di circolazione e quindi viene ad esse riconosciuto il necessario valore di scambio (ieri come oggi, in ogni contesto socio-economico, le monete degli occupanti non sono mai ben accettate).

Fino al regno di Cunincperto (688-700) la moneta longobarda imita e riproduce il volto degli imperatori morti: in genere Giustiniano I e Giustino II; con Cunincperto abbiamo la prima produzione nazionale di moneta, l’effigie ed il nome impressi sono i propri accompagnati dalla figura di San Michele armato. Il busto del re e la figura del santo permangono anche nelle successive coniazioni, le immagini sono però più stilizzate e la moneta perde peso. Il tremisse in Tuscia ha sul davanti il nome dell’Imperatore (Eraclis prima, Costante II poi) sul retro una croce. Nei periodi successivi appare nella moneta anche l’epigrafe della città che l’ha coniata, queste sembrano essere: Lucca, Pistoia, Pisa ma vi è anche qualche altra città, forse Firenze, che era autorizzata a battere moneta.

Con Desiderio (756-774) la coniazione sembra unificarsi su tutto il territorio del regno, ora le raffigurazioni nelle monete sono più simili tra di loro e non è più possibile individuare una produzione Padana, della Tuscia o meridionale; qualche studioso ritiene che la zecca potesse essere itinerante al seguito del Re, la città che lo ospitava e che batteva moneta, proprio per la sovrana presenza prendeva l’appellativo di Flavia. Stilisticamente le nuove monete fan propri gli aspetti figurativi di quelle della Tuscia con i nomi delle città preceduti dalla definizione Flavia intorno ad una stella inserita in un cerchio.

Dai Longobardi in Tuscia agli Asburgo-Lorena in Toscana, dal tremisse alla crazia passano molti secoli, Arezzo nel frattempo riacquista, per poi riperdere ancora dopo la battaglia di Campaldino, gran parte del potere e dell’importanza che aveva nel periodo etrusco-romano. In un diploma del 1052 Arrigo III da Zurigo concede la Vescovo Arnaldo la licenza per batter monete “secondo la pia largizione degli antecessori.. “, ciò vuol dire che i Vescovi e la comunità di Arezzo coniavano monete già da prima e seguitarono a farlo prima in proprio e sotto Firenze poi.

Marchionali, grossi, bolognini, denari, piccioli, e quattrini sono i nomi delle monete che si ritiene coniate ad Arezzo.

I grossi hanno sul davanti un’immagine cara agli aretini quella di San Donato, sul retro una croce rappresentativa sia della Curia che del Comune aretino (anche se non sempre contestualmente), ma peraltro riportata anche in altre monete dell’epoca non coniate in Arezzo.

Forse a molti non è sfuggita la somiglianza tra la croce espressa in queste monete del XIII e XIV secolo definita “tipica” della monetazione aretina e quella “tipica” del tremisse aureo delle Zecche della Tuscia.

Un caso? Forse lo stesso per cui il Kreutzer è la moneta medioevale d’argento coniata nel Tirolo nel 1271 (doppia croce sul rovescio), utilizzata in Germania e Austria, e successivamente con il nome di Caratano circolante a Trento e Venezia e la Crazia, la moneta così chiamata da 5 quattrini che ha circolato in Toscana almeno dal 1500 fino ai Lorena, porta un nome derivato dal tedesco "Kreutzer" o "Kreuzer", cioè “croce”.

Roberto Monticini

Questo è quanto commissionato e fa parte delle 110 schede riunite in “Goti Longobardi Franchi Austriaci Tedeschi NELLE MEMORIE POPOLARI TOSCANE Immaginario e realtà fra bene e male 541 d.c. -1918, Istituto di ricerche sulla civiltà appenninica - Sestino - Arezzo, 2006”, Vittorio Dini e Roland Gunter - “Intra Tevere et Arno”.

La copia donata a me e Giovanna, in ultima pagina, registra questa dedica di Sua mano: “Alla ricerca della pignatta di monete tu hai, invece, saputo trovare il senso armonioso del tempo.”

Qui è possibile scaricare la versione pubblicata >>>

Bibliografia:
Enzo Droandi, in: Prospettive per nuovi studi sulla monetazione aretina nel medioevo, Estratto dal Bollettino del Rotary Club di Arezzo n. 850 del 5 gennaio 1976, Poligrafico Aretino.

Le immagine sono state scaricate da wikipedia.org, di cui sono sostenitore

Roberto Monticini


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