il tramonto di un regno









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il tramonto di un regno


di Giancarlo MAGNONI

 

1° Periodo dall’11 giugno 1943 al 25 luglio 1943.
Territorio a nord della linea del fuoco: REGNO VITTORIO EMANUELE III° CON IL GOVERNO FASCISTA DI MUSSOLINI.

Nello stesso periodo, in tutto il restante territorio insulare e peninsulare italiano il fascismo è sottoposto ad aspre, anche se forzatamente sommesse, critiche per la evidente debolezza che l'Esercito Italiano sta dimostrando di fronte all'invasione Alleata (Mussolini aveva asserito in un discorso pubblico che una eventuale invasione sarebbe stata bloccata sul "bagnasciuga").
La popolazione è sfiduciata nei riguardi della tanto decantata vittoria delle armi dell’Asse italo - tedesco. Il consenso popolare del re vacilla sempre più.
 

24 luglio - Alle 17 prende avvio quella che sarà l'ultima riunione del Gran Consiglio con Scorza, segretario del partito, che ordina il "saluto al Duce". La precedente riunione si era tenuta il 7 settembre 1939..
Nella riproduzione la posizione assunta dai gerarchi intorno al tavolo, con il pallino rosso sono indicati coloro (19) che voteranno per l’Ordine del Giorno Grandi di cui riporto le parti essenziali:
"Il Gran Consiglio, riunendosi in questi giorni di supremo cimento, volge innanzi tutto il pensiero agli eroici combattenti d'ogni arma che, a fianco con la fiera gente di Sicilia, in cui più alta risplende l'univoca fede del popolo italiano,…..Esaminata la situazione interna ed internazionale e la condotta politica e militare della guerra……afferma la necessità dell'unione morale e materiale di tutti gli italiani….. dichiara che a tale scopo è necessario l'immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali; invita il Capo del Governo a pregare la Maestà del Re……affinché egli voglia, per l'onore e la salvezza della Patria, assumere con l'effettivo comando delle Forze

Armate di terra, di mare e dell'aria, secondo l'articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione, che le nostre istituzioni a lui attribuiscono; istituzioni che sono sempre state in tutta la nostra storia nazionale il retaggio glorioso della nostra augusta dinastia di Savoia".

L’approvazione a maggioranza di questo ordine del giorno darà al Re l’opportunità di sostituire Mussolini dalla carica di primo ministro e segnerà la fine del Fascismo

 

L’INCONTRO A VILLA SAVOIA

Alle 17, Mussolini, seguito dal segretario De Cesare, si dirige verso il re che è apparso sulla soglia di Villa Savoia. Dopo i convenevoli di rito, il duce segue Vittorio Emanuele nel suo studio. Il colloquio, che segnerà la fine di un regime durato vent’anni, durerà venti minuti. Un incontro senza testimoni, salvo Puntoni appostato fuori del salotto. Il segretario De Cesare viene trattenuto in un salottino, attiguo al vestibolo.
 


 

Secondo il generale Puntoni (primo aiutante di campo del Re), è Mussolini che prende la parola per primo con un’esposizione sulla situazione militare e sull’andamento della seduta del Gran Consiglio. Mussolini trova il re “agitatissimo”. Il re vede Mussolini come un uomo “distrutto”. Quando Vittorio Emanuele inizia a parlare viene subito al sodo, dice che data la situazione militare (per i fatti di Sicilia) e quella interna che si è venuta a creare nelle ultime ore, si sente costretto, suo malgrado e con molto rincrescimento, a compiere un passo che soltanto le circostanze gli impongono: “devo pregarvi di lasciare il vostro posto e di lasciarmi libero di affidare ad altri il governo…”. Sembra anche che gli abbia fatto subito il nome di Badoglio come suo successore. Mussolini che non si aspettava il “licenziamento”, ha portato con se il “libro delle leggi” per dimostrare al sovrano che il voto del Gran Consiglio non è valido ma non ne parla nemmeno. Capisce che la decisione del re è irrevocabile. Tenta qualche debole reazione, poi sembra si sia accasciato su un divano mormorando: “E io, ora, cosa debbo fare?..” e “Allora è tutto finito…”. Puntoni assicura di avere sentito distintamente il re mentre dice: “Rispondo io, con la mia testa, della vostra sicurezza personale. Statene certo…”.

 

IL FERMO DI MUSSOLINI - Alle 17,20, Mussolini e De Cesare compaiono sulla soglia della villa. Il re li saluta rapidamente e rientra. Scesa la scaletta di sinistra dell’ingresso, Mussolini si vede venire incontro due ufficiali dei carabinieri: il capitano Raffaele Aversa (1) e il capitano Paolo Vigneri. Poco lontano, sull’attenti, tre vicebrigadieri: Sante Zanon, Romeo Cianfriglia e Domenico Bertuzzi. Tre campioni di lotta greco – romana. Vigneri dice a Mussolini: “Duce, in nome di Sua Maestà vi preghiamo di seguirci per sottrarvi a eventuali violenze della folla”. Mussolini replica che non ce n’è bisogno, che non crede sia necessaria tutta questa cautela, ma Vigneri insiste dichiarando che deve eseguire un ordine. Mussolini, dirigendosi verso l’esterno dove sono parcheggiate le auto della “presidenziale”, dice a Vigneri: “Allora seguitemi”. Il capitano lo ferma trattenendolo con una leggera pressione al gomito e ribatte: “Dovete venire con la nostra auto”. Così Mussolini, in silenzio, segue i due ufficiali verso il retro della villa, dove sosta un’autoambulanza. Ha un attimo di esitazione, poi sale seguito da De Cesare. Vi prendono posto anche i due ufficiali e i tre vicebrigadieri, mentre due agenti armati si mettono sui predellini della cabina. Dopo una ventina di minuti, l’ambulanza entra nella caserma dei carabinieri Podgora in via Gallonio (in Trastevere).

La defenestrazione di Mussolini comporterà, da subito, l’odio per il re da parte di tutti i fascisti anche se in un primo momento questi sembravano tutti essersi dissolti nel nulla.
 

STORIA POSTALE

La lettera a lato spedita il 25 luglio dall’Albania, mostra il volto del re, di fronte e di profilo, nel giorno che oltre alla caduta del fascismo segna anche l’inizio del suo rapido declino.

Nei giorni successivi le varie Direzioni Provinciali delle Poste invitarono gli uffici dipendenti a togliere dai timbri postali la datazione dell’era fascista in numeri romani. Forse vi fu anche l’iniziativa degli stessi dipendenti. I primi timbri senza la data fascista furono quelli delle poste militari.