venerdì 27 aprile 1945
Territorio a nord
Mussolini catturato dai partigiani
La
colonna con Mussolini partita il 25 aprile nel tardo pomeriggio
dalla Prefettura di Milano, si era diretta alla volta di Como dove
Mussolini aveva trascorso la notte, ma poi aveva proseguito quasi subito
verso Menaggio, lungo la sponda occidentale del lago (anziché verso la
più sicura sponda orientale, come proposto dal capo del Partito Fascista
Repubblicano Alessandro Pavolini). Mussolini trascorre l’ultima notte da
uomo libero, la notte sul 27, pernottando in un albergo del piccolo
comune di Grandola, a pochi chilometri dal confine svizzero.
Il 27 aprile Mussolini, insieme a pochi fedeli e a Claretta Petacci, che
lo aveva frattanto raggiunto, ridiscende verso il lago. I gerarchi
facevano parte di uno sparuto gruppo di fascisti diretti in Valtellina.
tra i quali Mussolini, A essi, nella notte, a Menaggio sulla statale
Regina, si era aggiunto un convoglio militare tedesco in ritirata,
composto da trentotto autocarri e da circa duecento soldati della Flak,
la contraerea tedesca, al comando del capitano Hans Fallmeyer e la
colonna di Pavolini, che arrivato a Como in mattinata aveva subito
proseguito lungo il lago.
La colonna di Pavolini, in testa alla quale c’è l’autoblinda della XXXVI
Brigata Nera di Lucca di Idreno Utimperghe, viene bloccata dai
partigiani della 52° Brigata d’assalto Garibaldi “Luigi Clerici” al
comando di Pier Luigi Bellini delle Stelle “Pedro” tra Musso e Dongo,
alle ore 7.30 del 27 aprile 1945.
Inizia una estenuante trattativa tra i tedeschi ed i partigiani. Da una
parte alcuni partigiani, comandati da Pedro, fiorentino, accompagnato
dall’interprete Aimone Canape di Dongo. Dall’altra: Francesco Barracu,
Medaglia d’Oro, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei
ministri della RSI; Vito Casalinuovo, colonnello della GNR, ufficiale
d’ordinanza del Duce; Idreno Utimperghe, comandante della XXXVIa Brigata
Nera di Lucca
Il comandante della colonna tedesca, il capitano Hans Fallmeyer,
comandante dei tedeschi, riferisce che vi sono accordi tra i comandi
superiori: i tedeschi non devono attaccare i partigiani, che però devono
lasciare transitare la colonna che intende tornare in Germania passando
per Merano.
Pedro comunica ai tedeschi che, per lasciarli transitare, deve andare a Chiavenna per consultarsi con il suo superiore: Dionisio Gambaruto
“Nicola”.
Il comandante Pedro e il comandante tedesco Fallmeyer, con Michele
Moretti “Pietro” ed il cittadino svizzero Alois Hoffman, che funge da
interprete, si recano a Chiavenna.
“Alle ore 13 circa fecero ritorno i parlamentari e il comandante Pedro
ci comunicò che il comando di Chiavenna aveva deciso di lasciar passare
i tedeschi armati senza fare uso delle armi; nessun italiano però doveva
passare con la colonna stessa e per cui noi dovevamo visitare tutte le
macchine per tale scopo. Per cui fu deciso di far proseguire la colonna
fino a Dongo dove ebbe luogo la visita a tutti gli automezzi”:
così scrive il Brigadiere della Guardia di Finanza Giorgio Buffelli
nella sua relazione sui fatti di Dongo.
Mussolini
intanto viene convinto dal tenente SS Birzer, incaricato di
custodirlo dal suo comando poco prima della partenza da Gargnano, a
nascondersi su un camion tedesco indossando un cappotto da sottufficiale
e un elmetto, ma durante l’ispezione, Mussolini, nascosto sul quarto
autocarro della colonna, targato WH 529507, quasi sulla piazza del
paese, viene riconosciuto dal calzolaio Giuseppe Negri, “Biondino” che
lo segnala al vice commissario Urbano Lazzaro “Bill” il quale sale sul
camion e lo arresta.
Mussolini viene portato nel Municipio di Dongo ma I comandanti
partigiani ritengono non sufficientemente sicuro la permanenza di
Mussolini a Dongo e, verso le ore 18, Pedro e Bill decidono di portarlo
in luogo più sicuro ed isolato. Il brigadiere Giorgio Buffelli,
suggerisce la casermetta della Guardia di Finanza di Germasino, sui
monti sopra Dongo, distante 6 chilometri.
Qui Mussolini è condotto, unitamente a Paolo Porta, comandante della XIa
Brigata Nera “Cesare Rodini” di Como. Porta è comasco, molto noto nella
provincia e sul lago di Como. E’ avvocato, fratello di Carla Porta Musa
(1902-2012), nota scrittrice. E’ un accanito fumatore, tanto che il
particolare è annotato dal Brigadiere Giorgio Buffelli nella sua
relazione: “L’ex Federale di Como che fumava molto e pregava sempre che
lo accompagnassimo fuori perché sapeva che al Duce il fumo dava
fastidio, anche dopo cena mi chiese delle sigarette.”
Mussolini e Porta rimasero assieme, nella casermetta, sino alle ore 1.10
del 28 aprile, quando Pedro venne a prelevare Mussolini che si avviò al
suo destino. Porta rimase a Germasino fino a poco prima della
fucilazione che avverrà il giorno dopo (28 aprile). Arrivato davanti al
plotone di esecuzione, dopo che padre Accursio, dei francescani di Dongo,
ha impartito ai fucilandi l’assoluzione generale, chiede l’ultima
sigaretta, e la ottiene, proprio da Luca Schenini, che conosce. Nel
confermarne l’identità, il nipote ing.Angelo Gerli (figlio di Angela
Maria, l’altra sorella del Federale) che nel 1945 aveva otto anni, così
mi ha detto: “Ho trascorso le estati nella casa dello zio, nel centro di
Como, vicino a Palazzo Terragni. Fumava molto; era un personaggio
originale: lo zio aveva il brevetto di volo ma non la patente di guida
automobilistica!”
Durante la notte Mussolini viene ricongiunto con Claretta Petacci e
insieme si pensa di trasferirli a Brunate per poi condurli in un secondo
tempo a Milano, ma durante il percorso numerosi posti di blocco
convincono gli accompagnatori Luigi Canali “Neri”, Michele Moretti
“Pietro” e Giuseppina Tuissi “Gianna” a desistere e a trovare una
diversa destinazione.
Per questo vengono portati a Bonzanigo. Intorno alle ore 3.00 di notte
del 28 aprile, Mussolini e la Petacci sono quindi fatti scendere dalle
vetture ed alloggiare a Bonzanigo, una frazione di Mezzegra, presso la
famiglia De Maria, conoscenti di lunga data del "capitano Neri" e di cui
il capo partigiano si fida ciecamente. Il piantonamento notturno è
effettuato dai partigiani Cantoni e Frangi, "Pedro" con l'autista Dante
Mastalli ritorna a Dongo, mentre "Neri", "Gianna" e "Pietro" con
l'autista "Carletto Scassamacchine" si dirigono verso Como.
ULTIMI ACCORDI IN SVIZZERA PER LA RESA TEDESCA
Con l’azione concertata in Svizzera, il gruppo di persone partite da
Chiasso, dopo essere stato preso di mira dalle armi partigiane che,
grazie all’intervento di Scotti viene subito fatto tacere, raggiunge
villa Locatelli di Cernobbio dove si trova, circondato dai partigiani,
il generale Wolff. Dopo un lungo patteggiamento i partigiani permettono
a Wolff di andare con queste persone che lo conducono in Svizzere dove
giunge alle 2,30 del mattino. Con Zimmer e Waibel, Wolff parte subito
per Lugano.
Durante il viaggio notturno, Wolff descrive a Waibel e Zimmer i
drammatici eventi vissuti negli ultimi due giorni. Tutti i suoi
tentativi di aprirsi un varco da Cernobbio verso Bolzano o verso Milano,
erano falliti per via della resistenza partigiana. Da Cernobbio il
generale era rimasto sempre in contatto telefonico con Rauff,
evidentemente i partigiani avevano dimenticato di interrompere le linee
telefoniche; aveva così saputo del fallito tentativo di Rauff di
andargli incontro da Milano dove le truppe tedesche, su ordine di Wolff,
si stanno comportando in modo totalmente passivo e hanno ritirato le
loro postazioni protettive all’interno degli edifici, così da evitare
qualunque incidente con i partigiani.
Tedeschi
e partigiani, quindi, si fronteggiano senza combattersi, mentre tra
le case da loro occupate il traffico sulle strade si animano sempre più
e circolano numerose auto con bandiere rosse. C’è voluta tutta
l’autorità di Wolff per tenere a freno il carattere impetuoso di Rauff
ed evitare che i tedeschi attaccassero battaglia anche a Milano. E’
veramente dura per Rauff dover assistere allo sviluppo di questi eventi
senza poter fare nulla.
Il gruppo arriva a Lugano dopo le 3, in una camera d’albergo vengono
discusse con il generale Wolff le misure che si debbono subito adottare.
Al colloquio sono presenti, in parte anche il barone Parrilli e von
Gaevernitz. Wolff vuole proclamare immediatamente la resa. La sua ultima
tesi, dice, è quella di farlo portare, attraverso il territorio
partigiano, a Milano, da dove lancerebbe alle truppe tedesche un appello
alla capitolazione tramite le stazioni radio. Ecco il testo
dell’appello:
“Nelle ultime 48 ore la situazione militare è precipitata. Un
collegamento con il governo del Reich non esiste più. Il comando
responsabile per il settore italiano ha deciso perciò di agire in forma
autonoma.
Il soldato tedesco del fronte sud, agendo generosamente e combattendo
con valore fino all’ultimo, si è conquistato anche l’apprezzamento
dell’avversario. Il comando tedesco in Italia, conscio delle sue
altissime responsabilità nei confronti del popolo tedesco, ha fatto sì
che la sua condotta militare e politica al fronte e nelle retrovie
corrispondesse sempre ai principi di base di una nazione civile in cui
si riconosce con orgoglio, adesso come prima. Occorre evitare assurdi
spargimenti di sangue e cieche distruzioni, così che le ultime forze
ancora disponibili siano salve per la ricostruzione.
Noi sottoscritti capi responsabili ordiniamo pertanto, a tutti i reparti
tedeschi e non tedeschi a noi subordinati, di cessare i combattimenti il
giorno….., alle ore….. Non devono essere eseguite distruzioni. In tutti i
casi va conservata la disciplina e vanno obbedite le disposizioni del
comando.
Le truppe alleate in arrivo apprezzano la nostra condotta e assegneranno
a noi e ai compagni d’arme nostri alleati un trattamento onorevole.
Anche nella sventura noi vogliamo rimanere forti e impedire che la
Germania precipiti nel caos”.
Waibel però sconsiglia vivamente Wolff dal porre in atto questo piano
perché le sue prospettive di successo sono, a suo parere, molto dubbie.
Come essere certi di far giungere Wolff sano e salvo a Milano? La
stazione radio potrebbe essere già in mano dei partigiani. E se tutto
filasse liscio chi può garantire che la Werhmacht e le SS ubbidiranno
all’appello? Secondo Waibel è invece necessario che ora Wolff si rechi
nel suo nuovo quartier generale di Bolzano, onde influire, con tutto il
peso della sua personalità, sulla messa in atto della resa e propone,
quindi, al generale di raggiungere Bolzano dopo essersi portato,
attraverso la Svizzera, al confine austriaco. Wolff acconsente e lascia
cadere il progetto milanese.
I mediatori svizzeri, in particolare Waibel e Parrilli che conoscono il
temperamento di Rauff, sono molto preoccupati per la situazione di
Milano. Da un momento all’altro, temono possa scoppiare un combattimento
nelle strade. Per evitare che, proprio all’ultima ora, la città possa
subire gravi danni, pregano perciò il generale Wolff di impartire un
ordine scritto a Rauff affinché questi si astenga da qualunque
provocazione e che, all’arrivo degli americani, offra la resa.
Prima delle 6 del mattino, Wolff ha preparato il documento e Waibel lo
consegna a Parrilli perché lo faccia pervenire a Rauff.
Wolff, Zimmer e Waibel prendono il primo treno del mattino; ad Arth –
Goldau li sta attendendo, con la sua auto, il dottor Husmann
accompagnato dai due parlamentari tedeschi, Wenner e von Schweinitz,
stufi di attendere senza fare nulla la decisione di Caserta, ai quali
Wolff ordina di tornare a Lucerna.
Il viaggio verso il confine austriaco per far andare Wolff a Bolzano,
prosegue con la macchine di Husmann, sono rimasti in quattro: Wolff,
Zimmer, Husmann e Waibel che, dopo due ore telefona a Lucerna e viene a
sapere che la decisione dell’AFHQ è finalmente arrivata: domani 28
aprile, un aereo privato preleverà Waibel e i due parlamentari (Wenner e
Von Schweinitz) ad Annecy per portarli a Caserta.
Finalmente è giunto il momento tanto atteso dai mediatori svizzeri che
tanto si sono adoperati per il raggiungimento di questo importantissimo,
anche se ormai un po’ tardivo, traguardo.
A Buchs, ove sta affluendo un numero sempre crescente di profughi dal
sud della Germania, vengono organizzati gli ultimi preparativi per il
passaggio del confine franco – austriaco di Wolff. Il generale consegna
a Waibel, perché la dia a a Wenner, la delega del maresciallo Graziani
per la capitolazione di tutte le forze armate e milizie neofasciste
italiane. A Waibel e Husmann, Wolff, consegna un suo personale scritto
con il quale li ringrazia per l’aiuto da loro dato nel corso delle
trattative. Infine Wolff prega vivamente Waibel di badare che il
delegato di von Vietinghoff, von Schweinitz, non frapponga inutili
difficoltà alla resa.
Alle 16 Wolff giunge alla frontiera. Si presenta in abiti civili
alla sentinella tedesca che rimane esterrefatta di fronte al superiore;
da Feldkirch viene fatta venire subito un’auto. Per mantenere i contatti
con Wolff, Zimmer viene lasciato alla frontiera austriaca mentre, pieni
di fiducia, Waibel e Husmann tornano a Zurigo. Sul diretto notturno
Zurigo – Ginevra incontrano, oltre ai due parlamentari, Wenner e von
Schweinitz, il dottor Mayr von Baldegg e Gero von Gaevernitz. Innanzi
tutto debbono sbrigare due questioni di frontiera, la prima per entrare
in Francia (a Ginevra), l’altra al confine austriaco, presso Feldkirch:
lì, infatti, devono far passare il fidato marconista Walter, con un
codice speciale e tutte le sue attrezzature. Questo Walter si recherà
quindi al quartier generale tedesco di Bolzano per stabilire un
collegamento diretto con A.F.H.Q. di Caserta. Giunti a Ginevra, Waibel,
discute con i due parlamentari, fin verso le 3 del mattino, sia
la situazione sia la tattica che dovranno adottare a Caserta.
ULTIME AZIONI DEI PARTIGIANI
A Genova, i partigiani riescono a fermare gli uomini della X MAS
e del capitano di marina, Max Berninghaus, che stanno minando il porto e
costringono anche questi ultimi irriducibili alla resa. Finisce così la
battaglia di Genova, costata 300 morti e 3000 feriti.
7000 tedeschi in trasferimento da Genova verso l’interno vengono
bloccati da 300 partigiani delle SAP contadine e tenuti a bada finché
non si arrendono al comando della divisione “Cichero”. Poco dopo la
batteria di Monte Moro, che minacciava il porto, ultima rimasta dei
difensori di Genova, si arrende all’arrivo degli americani.
A Torino, gli uomini di Barbato continuano ad attaccare i
capisaldi nazifascisti nel centro della città. Di fronte alla decisione
degli insorti, i nazifascisti cercano di scendere a trattative, i
fascisti offrendo la pacifica cessione dei poteri, i tedeschi
rinnovando, tramite l’arcivescovo, la proposta di risparmiare la città,
purché si permetta per 48 ore il traffico attraverso la città alle
truppe delle due divisioni: la 5^ e la 34^, circa 35000 uomini agli
ordine del generale Schlemmer. Il comando del CLN, che oggi, come ha già
fatto il comando Piazza, si è trasferito in fabbrica, respinge le
offerte nazifasciste. Intanto gli uomini di Barbato espugnano la caserma
fortificata delle brigate nere in via Asti e stringono i tedeschi in un
quadrilatero al centro della città, intorno a Corso Oporto, ove si trova
la sede del comando germanico. Di qui i tedeschi avanzano nuove
proposte, minacciando di trasformare Torino in una “nuova Varsavia”. Il
CLN respinge anche queste nuove proposte. Nella notte sul 28 le truppe
tedesche rimaste fuori riescono a rompere l’accerchiamento sulla Dora e
a mettersi sulla strada per Chivasso.
Nella
notte sul 27 si completa la liberazione di Milano, sino alla
vecchia cerchia dei Navigli. La resistenza fascista si è frantumata in
numerosi focolai, ma la maggior parte dei militi ha già abbandonato la
città consci che l’avventura è finita per sempre. Anche i numerosi
cecchini sono stati catturati o si sono arresi. I partigiani per
liberare Milano hanno avuto perdite molto relative: una trentina di
caduti.
Nelle foto: un marò della X^ Mas si arrende alle forze partigiane mentre
in piazza del Duomo si svolge una dimostrazione e un improvvisato
tribunale del popolo.
Insurrezione a
Padova (1) mentre i partigiani occupano Bormio, Balladore
e Sondalo. A sera, i repubblichini di Padova chiedono la resa mentre i
tedeschi della 26^ divisione resistono ancora, ma nella notte sul 28
firmano anch’essi la capitolazione. Viene catturato anche il generale von Alten, in fuga da Ferrara; vengono occupati i ponti sul Brenta e
impedita così la fuga a tedeschi e fascisti della X^ Mas. Il nemico
preso in trappola cannoneggia la città mietendo vittime fra i civili ma
anche tra i prigionieri tedeschi chiusi nelle caserme.
…………
(1) Alla fine dell’insurrezione Padova conterà 224 morti del CVL e
altrettanti feriti; i tedeschi 500 morti e 20000 prigionieri.
In provincia di Parma, nella sacca di Fornovo sono rimasti
intrappolati 17.000 fra tedeschi e fascisti con i quali le forze
partigiane si impegnano in attacchi con l’appoggio anche di reparti
alleati brasiliani appena giunti nella valle.
Provincia di Piacenza – Le formazioni partigiane, tre giorni dopo
l’ordine di attacco, hanno raggiunto agli obiettivi prefissati, Piacenza
è ormai quasi a portata di mitra e l’accerchiamento della città si va
completando. Giungono nella zona di combattimento alcuni carri armati
alleati, avanguardia di una colonna avanzante. L’incontro fra i soldati
delle nazioni unite e i patrioti italiani avviene così nel fragore della
battaglia. La XIV^ brigata raggiunge la zona della fabbrica Cementi ed è
già in contatto di fuoco con la linea nemica attestata a barriera
Farnesiana e sul pubblico passeggio. La brigata Oltrepò impegna
intanto,
fra Fossadello e Caorso, un reparto tedesco forte di 450
uomini, ossia l’ultima retroguardia rimasta sulla riva destra del Po. La
LXII^ e la XXXVIII^ brigata hanno raggiunto gli obiettivi assegnati e
stanno attuando il piano di occupazione dei centri di Cortemaggiore,
Monticelli d’Ongina, San Pietro in Cerro, Villanova
d’Arda. La brigata Inzani ha già occupato Pontenure e procede
a ventaglio sulla sinistra della via Emilia. I tedeschi sparano ancora
con mortai dalla città, provocando 18 caduti, gli ultimi fra le file
partigiane. A sera, elementi della II^ brigata si infiltrano nei
sobborghi della città.
Nella foto, in un esotico abbigliamento, un partigiano piacentino che
monta la guardia al comando di città.
La lotta infuria cruenta sulle montagne, lungo le linee di ripiegamento
tedesco, nelle province di Vicenza, Treviso e Belluno. Il maggior urto è
sostenuto nel Vicentino e in particolare nell’altopiano di Asiago, dalle
formazioni garibaldine “Garemi” e “Ortigara” (sorta nel febbraio dalla
fusione di altre brigate: “Mazzini”, “Sette Comuni”, “Giovane Italia”):
queste formazioni salvano gli impianti industriali a Schio, Valdagno,
Piovene, Arzignano, i più importanti del Veneto.
I combattimenti sono durissimi e continui sul Grappa, sul Pasubio,
sull’altopiano dei “Sette Comuni”. Le formazioni che operano in questa
zona perdono 900 uomini fra morti e feriti, mettono fuori combattimento
circa 5000 tedeschi e fanno 33000 prigionieri.
Ad Avarnis (Carnia), un solo partigiano affronta con una mitragliatrice
un reparto di SS. Viene ucciso, ma per vendetta, i tedeschi, trucidano
63 civili. Poco distante, i cosacchi in fuga, passano per le armi 23
abitanti di Ovaro. A Spilimbergo nel Friuli pattuglie di partigiani
guastatori osano attaccare dei carri Tigre che cannoneggiano il centro
abitato: un giovane, Lorenzo Agosti, viene ucciso dopo che ha distrutto
un carro con un panzerfaust strappato al nemico. Anche il campo di
aviazione di Aviano è teatro di una dura lotta, preso alle SS, perduto e
ripreso. I partigiani attaccano la 26^ divisione germanica riportando
gravi perdite.
L’ESERCITO ITALIANO DEL NORD: DELLE QUATTRO DIVISIONI
Il generale Farina comandante della divisione “San Marco”, è ad Acqui.
Un ufficiale inglese, il maggiore Johnston, capo della “British Military
Mission Western Liguria”, gli offre la resa. Farina la rifiuta. Nel suo
diario, il generale scrive oggi:
“Bruscamente lo congedo dicendogli che potrò prendere una decisione solo
dopo avere sentito il maresciallo Graziani. Ma parlare col maresciallo è
impresa che tento invano da ieri”.
Il grosso della divisione, intanto, sta ripiegando verso Alessandria e
il Po. E’ una colonna interminabile – salmerie, magazzini, gruppi
d’artiglieria, carriaggi – che la caccia anglo-americana mitraglia e
spezzona a lungo. Molti marò cadono, ma molti riescono a raggiungere
Alessandria e Valenza.
Graziani si trova ancora nel comando delle SS di Cernobbio, sul lago di
Como, circondato da un reparto partigiano. Il maresciallo - e con lui il
sottosegretario all’Aeronautica, generale Ruggero Bonomi, il capo della
segreteria militare del ministero, generale Rosario Sorrentino – vengono
presi in consegna dal capitano americano Emilio Daddario (vedi foto),
che è arrivato sin lì da solo, in divisa e su di un’auto scoperta con il
cofano fasciato dalla bandiera statunitense.
La sera, Graziani è a Milano e dorme all’Hotel Regina, prigioniero
dell’ufficiale alleato in un albergo ancora fortificato e pieno di SS
tedesche al comando di Rauff.
ULTIME RAPPRESAGLIE NAZIFASCISTE
Provincia di Brescia – A Rodengo – Saiano gli italiani agli
ordini dell’SS Sturmbannfuhrer Alois Thaler fucilano di notte sui
declini dietro la villa Fenroli sei giovani catturati nella zona. Poco
dopo i volontari SS fucilano il segretario comunale di Saiano e due
giovani.
Provincia di Cuneo – A Boves i tedeschi in ritirata
fucilano tre civili e due partigiani in località Chiesa Vecchia di
Boves. Una colonna di guastatori tedeschi passa per le armi in
piazza Italia a Boves il partigiano Vincenzo Franzoni di Vibo
Valentia.
Provincia di Mantova – A Pietole Virgilio nel giardino
attiguo alla villa Gobio, già comando della Gestapo, vengono
dissotterrate tre salme di seviziati, che non si riuscirà mai ad
identificare.
Provincia di Trento – Ad Ala una colonna di paracadutisti
in fuga verso il Brennero risale la stretta valle adiacente al monte
Carega e giunge a Giazza (Verona). Il parroco, don Domenico
Mercante, le si fa incontro nella speranza di evitare scontri. I
paracadutisti lo prendono come ostaggio e, dopo sette ore di marcia, lo
uccidono a Ala, al bivio di Pilcante. Insieme a lui viene eliminato un
soldato della Wehrmacht che, dichiarandosi cattolica, si è rifiutato di
fucilare il sacerdote.
Provincia di Treviso – A Castelfranco Veneto i tedeschi
impiccano tre civili.
Provincia di Vicenza – A Sandrigo il comandante della
divisione partigiana Ortigara, Giacomo Chilesotti, va con Giovanni Carli,
commissario della stessa unità, in località Longa di Schiavon per
trattare la resa dei tedeschi e recuperare il tesoro artistico trafugato
dai nazisti dalla sinagoga di Firenze e vengono passati per le armi dai
tedeschi in ritirata a Sandrigo. Sempre nel Vicentino, i tedeschi
in ritirata, uccidono il comandante della brigata “Ortigara”, Giacomo
Chilesotti, e il commissario politico, Giovanni Carli, che sono andati a
parlamentare la resa.
MOVIMENTI DI TRUPPE ALLEATA NEL SETTORE TIRRENICO
Reparti del 473° btg. (92^ div.) giungono a Genova.
Nella prima foto i reparti alleati che incrociano una colonna di
prigionieri tedeschi, nell’altra partigiani e militari alleati si
incontrano mentre i genieri creano un varco fra le rovine e la
popolazione torna nelle strade).
In provincia di Parma, una felice manovra culminata nel
combattimento di Collecchio, iniziato ieri, porta i brasiliani a
bloccare la ritirata delle truppe che, rappresentate soprattutto dalla
148^ Divisione, si trovano nella valle del Taro e in particolare nella
zona di Fornovo. I combattimenti si sono accesi a Segalara, a Respiccio,
Gaiano, Felegara e Madesano, dove robuste azioni sono state condotte
invano da reparti della 148^, dai resti dell’Intra, dal Bergamo ormai
privi di cannoni e dai bersaglieri di vari battaglioni italiani.
RESTANTI SETTORI
Continua
l’avanzata, ormai indisturbata, di tutte le divisioni delle due
Armate.
Oltre a Genova, vengono oggi conquistate moltissime località fra
le quali: Adria (RO), Cerea (VR), Codogno (MI), Legnago (VR),
Piacenza, Rovato (BS), Rovigo e Zoagli (GE).
Nella foto a fianco partigiani della formazione garibaldina “Gramsci”,
provenienti dalle colline dell’Oltrepò pavese, entrano a Milano.
I FRANCESI CERCANO DI APPROFITTARE DELLA SITUAZIONE
Confine italo - francese – La 1^ divisione di fanteria francese e la
27^ divisione di fanteria algerina, affiancate da contingenti francesi
di partigiani dell’interno, già attestati sul confine, entrano in
Italia e avanzano fino a 70 chilometri da Torino dove vengono fermati
dal generale Clark.
Riproduzione dell’articolo odierno del Corriere del Mattino di Firenze,
sulle operazioni in corso nel teatro di guerra italiano.
Territorio a sud
DAL DIARIO DI PUNTONI
“Continuano a giungere ottime notizie e si può ormai sperare
nella completa liberazione della Liguria, del Piemonte e della Lombardia
senza che si siano verificati – almeno a quanto si sa – gravi fatti di
sangue e grosse distruzioni. Gli angloamericani procedono alla
occupazione delle località sgomberate dai tedeschi nelle quali i C.L.N.
hanno assunto i poteri in attesa di trasmetterli al governo militare
alleato”.
DAL DIARIO DI MACMILLAN
Roma – “(…) Le notizie (dal fronte) migliorano ogni giorno. La
nostra offensiva in Italia è un vero e proprio trionfo. I tedeschi sono
in completa disfatta e ormai abbiamo già fatto 70.000 prigionieri.
Alle tre del pomeriggio è venuto Stone. Progetti relativi all’Italia
liberata e altre questioni particolari. (…)”.
MARIA JOSE’ A OBERHOFEN
In Svizzera giungono gli echi dell’esultanza degli italiani, ma
da Roma nessuno la manda a chiamare. A questo punto Maria Josè decide di
rompere gli indugi e, senza attendere permessi o autorizzazioni, di
affrontare l’avventura del ritorno in patria con le sole sue forze,
attraversando le Alpi a piedi. Parte oggi con lo zaino in spalla e gli
sci ai piedi. L’accompagnano il marchese Giovanni Resta Pallavicino e il
valdostano capitano degli alpini Alberto Deffeyes. Lasciata Martigny,
raggiunta in macchina da Oberhofen, sotto la neve, affrontano la lunga
marcia in montagna. La principessa ha trentanove anni, un fisico
atletico e una grande voglia di rivedere l’Italia. A un certo punto si
unisce alla comitiva il priore dell’ospizio del Gran San Bernardo,
monsignor Adam, lo stesso che le aveva offerto il the due anni prima. Al
valico fanno una breve sosta e Resta Pallavicino, che non si sente di
proseguire, torna a Glion a occuparsi dei piccoli principi.
Sul confine c’è una macchina in attesa circondata da partigiani
comunisti che sono venuti ad accoglierla. Con i partigiani seduti sui
parafanghi, la principessa compie il viaggio in macchina fino al
castello di Sarre, lo stesso da cui era partita la sera dell’8 settembre
1943. Il castello è stato saccheggiato e ora i partigiani lo hanno
trasformato in carcere per i fascisti fatti prigionieri in questi ultimi
giorni. Sarà la sua dimora provvisoria, nei giorni seguenti si
trasferirà nel castello di Racconigi.
STORIA POSTALE del 27 aprile
Da
“La Nazione” di Firenze:
Cartolina raccomandata affrancata regolarmente 3,60 (1,20 di cartolina
fuori distretto + 2,40 di raccomandazione aperta
Altra cartolina raccomandata e una cartolina affrancata 1,20 per fuori
distretto con ACS di Siracusa
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